A chi pensa(va) che la minaccia del terrorismo di matrice islamica (o al-qaedista) fosse solo un’invenzione di qualche paranoico gli eventi di questi ultimi giorni dovrebbero far cambiare idea. Qualcuno potrà forse obiettare che si tratta di tentativi raffazzonati o che sono episodi minoritari. In realtà ne basta uno coronato dal successo, a fronte di tanti fallimenti, perché la minaccia sia concreta e vada affrontata seriamente, come commenta per esempio David Aaronovitch sul Times di ieri. Tanto per cominciare, chiamando le cose con il loro nome ed evitando di nobilitare i terroristi con il nome di “guerriglieri”, “insorgenti”, “miliziani” e via eufemistizzando.
Forse, visto che noi “infedeli” siamo le potenziali vittime future, è giunta l’ora di prendere sul serio certi princìpi islamici, in particolare quello che divide il mondo in dar-al islam, ovvero i territori sottoposti all’imperio religioso, politico e giuridico dell’Islam, e in dar al-harb, ovvero “dimora della guerra”, con cui s’identificano tutti i territori esterni all’Islam e che, in quanto tali, devono essere portati all’interno dell’Islam. A maggior ragione se si tratta di terre già conquistate (e poi perse) dall’Islam. Lo strumento per riportare questi territori sotto la giurisdizione islamica è quel famoso jihad di cui tanto si parla e che risponde, per l’appunto, a un’esigenza ideologica e religiosa e non è una “reazione” alla povertà in cui vivrebbero.
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