PROGETTO E DESTINO: il «diventa ciò che sei» pindarico e la sua scomposizione nel campo psicoterapeutico. Brani liberamente tratti e adattati da: MARIO TREVI, Il lavoro psicoterapeutico. Limiti e controversie, THEORIA 1993. Dal Blog di Gabriele De Ritis

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http://www.gabrielederitis.it/?p=590

Su: RACCONTARSI di Duccio Demetrio, Raffaello Cortina edizioni, in Ai confini dello sguardo di Gabriele De Ritis

Raccontarsi,

Il sottotitolo è L’autobiografia come cura di sé. Il volume Raccontarsi di Duccio Demetrio è stato pubblicato dall’editore Raffaello Cortina nel 1996; la Libera Università dell’Autobiografia è stata fondata da lui ad Anghiari assieme a Saverio Tutino nel 1999.

«Arriva un momento nell’età adulta in cui si avverte il desiderio di raccontare la propria storia di vita. Per fare un po’ d’ordine dentro di sé e capire il presente, per ritrovare emozioni perdute e sapere come si è diventati, chi dobbiamo ringraziare o dimenticare. Quando questo bisogno ci sorprende, il racconto di quello che abbiamo fatto, amato sofferto, inizia a prendere forma. Diventa scrittura di sé e alimenta l’esaltante passione di voler lasciare traccia di noi a chi verrà dopo o ci sarà accanto. Sperimentiamo così il “pensiero autobiografico”, che richiede metodo, coraggio, ma procura, al contempo, non poco benessere».

SEGUE

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Raccontarsi : Ai confini dello sguardo

Gabriele De Ritis: "Ci sono posti che sono solo località geografiche …"

LUOGHI del LARIO e oltre ...

Ci sono posti che sono solo località geografiche: possono essere raggiunti fisicamente da noi nei nostri viaggi senza che si riesca a conquistare lo ’spirito del luogo’. Ce ne andiamo via delusi e stanchi, per aver cercato invano; forse, anche disgustati, per un senso di noia che ci assale, per il tempo dedicato inutilmente alla valorizzazione di angoli suggestivi o di prodotti dell’arte, non importa quanto preziosi.

Giacomo Leopardi ha descritto ampiamente il senso di un’esperienza esemplare perché ‘vissuta’: ogni luogo si trasformava in ’sito’ per lui quando, dopo averne fatto ripetutamente esperienza, poteva collegarvi un ricordo. Lo spazio si faceva, dunque, tempo: rimembranza. E «una ricordanza, una ripetizione» era per lui tanto più cara, quanto più vago e indefinito era il segno che lasciava nella memoria ‘linguistica’ del cuore…

Ci sono siti che non ci appartengono. Eppure, ci sono familiari; suscitano in noi emozioni vive, anche solo a contemplarli…

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Gabriele trova le parole giuste per un mio tratto di personalità: il SENTIMENTO DEL TEMPO, domenica 6 novembre 2016

Gabriele De Ritis :

Grazie per il tuo sentimento del tempo, Paolo.

Trovi un posto per tutte le cose belle.

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OGNI VIVENTE DOTATO DELLA CAPACITÀ DI PENSARE E PENSARSI STA SULLA TERRA ERRANDO FRA TEMPO, LUOGO, EROS, POLIS E DESTINO

occorrerà capire bene cosa implichi il motto DIVENTA CIÒ CHE SEI, da CAMMINARSI DENTRO di Gabriele De Ritis

occorrerà capire bene cosa implichi il motto DIVENTA CIÒ CHE SEI. Una persona deve essere aiutata a realizzare la proprianatura, più che a passare a vivere quella che a noi sembra la forma di vita migliore. Allora, tornare a vivere ‘libera-mente’ significa imparare a riconoscere e ad accettare come un dato il proprio Sé. A questo deve conformarsi la vera o pretesa libertà dell’Io. Ogni eventuale integrazione o «riparazione» del proprio nucleo originario non comporterà mai un mutamento sostanziale o un annullamento di quella parte di sé che «non piace». Su questa base teorica e metodologica l’asserto di partenza si potrà chiarire, allora, con le espressioni popolari «SII TE STESSO», «NON TRADIRE TE STESSO». La fuoriuscita dalla tossicodipendenza coinciderà, per il resto della vita della persona, con l’accettazione del proprio DESTINO.

DIVENTA CIÒ CHE NON SEI», ovvero la possibilità del mutamento. L’esperienza ci ha insegnato che il PROGETTO supera il destino quando si avverte come possibile la trasformazione della propria vita sotto la spinta di mete ideali, per quanto esse siano arginate dal principio di realtà. L’utopia, l’esodo, la speranza non sono esiti negati dalla psicoterapia. Rispetto al «diventa ciò che sei», il «diventa ciò che non sei» non si pone come opposto che lo esclude ma come elemento complementare. Si tratta di far interagire ‘libera-mente’ i due momenti nella relazione terapeutica, orientando l’ascolto nella direzione suggerita dalle modificazioni che intervengono nel ‘campo’ e dai ‘punti di resistenza’ che affiorano.

NON DIVENTARE CIÒ CHE SEI» o della liberazione limitata dai condizionamenti. Sia i condizionamenti naturali che i condizionamenti culturali costituiscono una determinazione che occulta una natura più originaria che non possiamo escludere di poter realizzare nel corso della nostra vita. Non saremo noi a suggerire all’utente questa meta come senz’altro desiderabile, in quanto essa si mostrerà spontaneamente e in forme imprevedibili nello spazio terapeutico. La problematicità di quest’ultimo decide sul corso che prenderanno le cose. L’altro si dislocherà ‘libera-mente’ sotto la guida accorta dell’operatore.

NON DIVENTARE CIÒ CHE NON SEI: fedeltà al dato originario e perseverazione nella libertà finita. Solo apparentemente siamo ritornati al primitivo «diventa ciò che sei». In realtà, il progetto (diventare) si adegua al destino (ciò che sei) con un movimento che potremmo dire centrifugo, mentre nella forma originaria il movimento è, per così dire, centripeto. Qui si ammette la possibilità di diventare «altro», pertanto di assumere forme, norme, stereotipi e modalità forniti dai modelli storici diffusi in una determinata cultura, e questa possibilità è assunta come rischio di fuga da sé, come pericolo di infedeltà al dato originario. Tuttavia questa possibilità, per quanto astratta, comporta quella libertà senza la quale ogni imperativo non avrebbe senso. Si tratta di una libertà finita, una libertà che si esercita all’interno di condizioni sia pure non del tutto necessitanti. La possibilità di essere se stessi assume valore proprio perché viene preservata questa libertà finita. L’altro oscillerà ‘libera-mente’ dentro la personale dialettica libertà-necessità.

DA  Contributi a una cultura dell’Ascolto CAMMINARSI DENTRO (314): Progetto e destino : Ai confini dello sguardo.

Caro Paolo … G D R, 26 novembre 2014

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caro gabriele
la tua lettera di compleanno è, come le altre volte, calda, vicina, affettuosa, coinvolgente, tenera, sapiente ….
​in più punti mi ha commosso fino alle lacrime. non c’è nulla da fare : cedo alla “funzione sentimento”
le tue parole sulla malattia sono vere e giuste. da pesare e ripetere: “siamo soli nella malattia: solo noi possiamo “amministrarla”, seguendo o meno quello che ci vien detto di fare”
ma è sul libro che ti sono ancora più grato.
è da leggere esattamente come dici: a partire da un qualsiasi punto (ottimo quindi la terza parte che mette al centro i “problemi”). è come una mappa nelle politiche sociali. e i capitoli della seconda parte sono le chiavi di lettura (molto aperte e molteplici) che si possono adottare per pensare e quindi agire in questi sistemi operativi
tu hai capito la struttura e mi confermi che funziona
da qui la mia gratitudine: l’autore ha trovato il lettore
sei un caro amico, sei un mio contemporaneo, sei un “attore” nei mondi sociali
è bello, molto bello, averti conosciuto, conoscerti.
e, per finire, voglio ancora ricordarti che sei stato tu ad “iniziarmi” al pensiero filosofico di Emanuele Severino. Ti assicuro che le tue spinte iniziali mi hanno molto aiutato. Parlo, ormai di qualche anno fa
vorrei finire con questa pagina di pietro citati che conosci e che bene racconta il nostro incontro e la nostra amicizia:
il mio sogno estivo: una conversazione (non prevaricante e unilaterale) tra amici, lungo i corridoi di un giardino che si affaccia sul lago. Audio Lettura da: Pietro Citati, L’ARTE DELLA CONVERSAZIONE, in L’ARMONIA DEL MONDO, RCS libri, 1998
​ecco: ci sei e ci siamo riusciti ad avvicinarci a questo modo di ​stare in rapporto
abbraccio e saluti cari

http://paolodel1948.com/2014/11/26/caro-paolo-g-d-r/

scrive G DR sul mio libro

Ciao, Paolo.
Nella mattinata di oggi ho ricevuto un bel plico giallo che conteneva il tuo libro.
All’emozione di averlo in mano si è aggiunta l’emozione più grande della dedica.
Ho sfogliato tutte le pagine subito, per respirare l’aria che vi hai trasfuso.
Ho riconosciuto subito Tullio-Altan, i riferimenti legislativi, le tue belle mappe, gli schemi, le sintesi brevi.
Sarà oggetto di studio. Lo farò conoscere a tutti i miei ‘amici’ e conoscenti.
Ti sono grato della tua fatica, perché sei riuscito a raccogliere tutto quello che occorre sapere e lo hai trasfuso in quadri tematici in cui i piani di realtà sono tutti contemplati. L’articolazione del pensiero è efficace.
Se queste sono le prime impressioni, ad una lettura superficiale di brani di apertura e di qualche pagina teorica, pregusto con piacere lo studio aprrofondito.
È opera di consultazione, poi. La documentazione mi è nota, per tutto il lavoro preparatorio di questi anni che ho seguito un po’.
Ti dimostrerò la mia gratitudine facendo conoscere l’opera a tutti gli Operatori sociali del territorio.
Porterò il libro con me.
Da una settimana ho avviato un Corso di formazione sull’ascolto in cui porterò il tuo libro.
Le idee si chiariscono. Grazie.
Ti abbraccio a lungo con riconoscenza.
Ti dirò i guadagni che sicuramente ricaverò dalla lettura e dallo studio.
Ti voglio bene.
G


tu sei il mio amico del cuore. nessuno ha usato parole così dense e che fanno già parte di me: come sai prendo sul serio Carlo Tullio Altan …

tu hai già colto la densità che sono riuscito ad esprimere in questo libro che sento ormai come l'”opus” compiuta della mie esistenza lavorativa dedicata alla formazione.

conserverò con cura questa lettera. vera lettera, come quelle che si scrivevano prima dell’epoca internettiana.

ti devo gratitudine. un abbraccio affettuoso,

mio carissimo contemporaneo.

paolo

lettera di Gabriele DR per il mio ultimo giorno di lavoro alla università

Caro Paolo,
nel tuo annuncio c’è un sentimento del tempo che mi è sempre piaciuto in te: scandisci le epoche della vita, stagione per stagione, a tutto assegnando una data di inizio e un termine.

Questa lucida consapevolezza è indizio chiaro, per chi non ti conosce, di limpidezza morale e di fermezza politica.

Chi si onora di esserti amico – in un tempo come il nostro di facili aperture – conosce anche più profondamente la coscienza che è in te dei guasti di una certa politica, degli errori storici, della miopia imperante di fronte alla invadente presenza musulmana. Chi ti ha seguito in questi anni fecondi per te avverte il velo di amarezza, giustamente non dissimulata, racchiusa in quel NON iniziale. Si dice di chi va in pensione che va incontro al ‘meritato riposo’, ma tu forse hai dovuto scegliere questo congedo per rispettare i nuovi ritmi della natura che è in te e che ti impone una consapevolezza nuova.
Quando, nel 2000, fui colpito da infarto coronarico, Claudio Risé mi scrisse una lettera umanissima in cui fraternamente mi indicava il “tempo che resta” – come abbiamo imparato a chiamarlo assieme a te – come una nuova fase della vita in cui dovevo fare i conti da vicino con la mia fragilità: si trattava solo di un passaggio, dopo tutto. Si trattava di adattarsi a un altro ritmo. Diventava obbligo il piacere di passeggiare, certo, ma la nuova vita sarebbe stata non meno bella e piacevole. L’incanto delle cose non era perduto. Tutte le cose belle che avevo lungamente amato non cessavano di esercitare su di me il loro fascino. È stato così. Presto ho dimenticato perfino di essere stato colpito da malattia. Il mio cardiochirurgo mi disse che non ero più cardiopatico. Il cuore aveva ripreso a funzionare come prima. Non ho mai smesso di mandare messaggi positivi al sistema immunitario.
Anche tu devi far sapere al tuo che hai una tremenda voglia di vivere, come diciamo noi di Exodus. Che ci sono tante persone che ti amano, che ti stimano… Qualcuno forse prega segretamente per te, che sia preservato ancora a lungo, avendo già sperimentato abbondantemente cosa sia malattia.
Prossimamente mi procurerò il tuo libro, che è un autentico dono per noi che ti amiamo: in esso si condensano gli anni più fecondi della tua vita laboriosa e della tua appassionata ricerca. I tuoi siti sono autentici giacimenti della conoscenza. I giovani possono contare su un patrimonio scientifico non di parte.
Mi procurerò il tuo libro per godermi quello che hai lungamente annunciato con il materiale depositato in rete per i tuoi alunni.
Ti prego soltanto di credere al mio affetto e a quello di chi oggi partecipa con te a questo ulteriore ‘passaggio’ della tua vita. Dobbiamo abbandonarci alla vita andando incontro ad essa come ci viene incontro. Sappi di non essere solo. Oltre all’affetto di Luciana puoi contare su quello di tanti che ti stimano e che traggono motivo di onore dal tuo riconoscimento più impirtante: essere annoverati nella schiera dei tuoi amici.

Ti abbraccio lungamente.
gabriele DR

come non condividere la tua gioia per una fatica che si compie

Caro Paolo,
come non condividere la tua gioia per una fatica che si compie, dopo anni di studio e di lavoro appassionato?
Aspetto con ansia l’uscita del libro che raccomanderò a tutti gli amici che so interessati al tema e alle Istituzioni locali perché se ne servano.
Ti abbraccio.
G

Gabriele De Ritis su “Noelle, i cigni e il cerchio dell’apparire”

Antologia del TEMPO che resta

qui il mio audio, da cui è partito Gabriele per il suo bellissimo messaggio:

Non una figura incappucciata 

dove la scala curva nell’oscurità
rattrappita sotto un mantello fluttuante!
Non occhi gialli nella stanza di notte,
che fissano da una superficie di ragnatela grigia!
E non il battito d’ala di un condor,
quando il ruggito della vita inizia
come un suono mai udito prima!
Ma in un pomeriggio di sole,
in una strada di campagna,
dove erbacce viola fioriscono
lungo una staccionata sconnessa,
e il campo è stato spigolato, e l’aria è ferma,
vedere contro la luce del sole qualcosa di nero,
come una macchia con un bordo iridescente –
questo è il segnale per occhi di seconda vista…
e io vidi quello.

EDGAR LEE MASTERS

Occorre esercizio di…

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Gabriele: “Abbiamo scelto il campo della formazione delle coscienze. Solo il tempo ci dice quello che abbiamo seminato”

Caro Paolo,
come abitatore del tempo sai bene cosa comporti fermarsi a riflettere, per misurare la distanza che ci separa dai nostri simili: giorni come questo servono anche a questi ‘calcoli’.
Non commettere, però, l’errore di contare gli amici e di separare quelli che ti sono (più) vicini dalle persone giovani e meno giovani che forse taceranno o procederanno dimentichi di te: non facciamo che tutto sia lì, davanti a noi, a folgorarci con la luce radente dell’incontrovertibile, come direbbe uno dei tuoi Maestri. Non andrà ascritto a segno di inimicizia un mancato gesto: rimanda la tua mente ai giorni felici, al confidente discorrere comune, al retto conversare, alla vicinanza silenziosa.
Cosa sappiamo noi delle persone che ci stimano discretamente, e che pure si nutrono delle nostre fatiche intellettuali, e progrediscono in chiarezza e saggezza?
‘Al di sopra’ dell’amicizia e dell’amore collochiamo pure quei sentimenti di venerazione e di riconoscenza che punteggiano le giornate di studio e di riflessione.
Abbiamo scelto il campo della formazione delle coscienze. Solo il tempo ci dice quello che abbiamo seminato.
Ti sia maestro di vita oggi il filosofo che disse di sé che aveva passato la vita a perdonare e a ringraziare. Immagino per il bene ricevuto.
“… perché, alla fine, solo il Bene è degno di considerazione”.
Non ti manchi mai il pensiero forte del mio affetto e della mia ammirazione per la tua limpidezza morale.
Saluta per me la tua Luciana.
Ti voglio bene.

l’augurio di “saper stare” dentro alla possibilità, Paolo e Luciana, 31 dicembre 2012

L’ERRORE E LA POSSIBILITA’

Chi non spera l’insperabile non lo scoprirà,

poiché è chiuso alla ricerca

Eraclito

Dove eravamo rimasti?

Esattamente un anno fa eravamo qui: “Continua il tempo della crisi e, proprio per questo, il 2012 sarà più che mai centrato sulle risorse della Polis, ossia sul vincolo del “tenersi assieme”, perché nessuno può farcela da solo” (31 dicembre 2011 )

Qualcuno ha tenuto la barra del timone e, nonostante una ciurma tutt’altro che responsabile, ha evitato che la nave affondasse.

Una crisi sociale, culturale, personale come quella in cui ancora siamo, mostra l’evidenza dei fatti: abbiamo attraversato decenni di ERRORI.

Il significato letterale di errare è: vagare e sbagliare.Ancora più precisamente è: mancare il bersaglio.

La storia insegna, solo dopo gli eventi, che sempre si cade in errore perchè le nostre menti seguono lo schema idea-realizzazione-esito.

Tuttavia, nel nostro tempo più che mai, dovremmo prendere atto che l’esito non dipende mai unicamente dagli ideali che hanno mosso il progetto iniziale (sempre che la storia del “secolo breve” abbia insegnato qualcosa).

Ogni risultato da ciascuno di noi auspicato dipende dalle infinite altre volontà che sono in gioco a livello planetario.

Prendiamone coscienza: non sappiamo e non possiamo più fare previsioni.

Ma, proprio per questo, ogni persona diventa protagonista della POSSIBILITA’.

Possibile deriva da posse, cioè da potis esse,  nel senso di “essere padrone di”. Il primo significato è “ciò che posso fare” o “ottenere”. In senso più ampio, possibile è “ciò che può accadere”, verificarsi, entrare nella nostra esperienza.

E’ proprio la situazione di incertezza che incrementa la responsabilità dell’agire di ciascuno.

Sostiene Massimo Cacciari:

anche laddove tu non riesca a definire un senso, puoi cercare di agire come se in quel momento ne andasse della tua vita nella sua interezza. Noi siamo chiamati comunque a decidere, a risolverci. L’interrogarci è una risoluzione

BUON FUTURO

con l’augurio di “saper stare” dentro alla possibilità

Paolo e Luciana, 31 dicembre 2012

Fonti:

Eraclito, Fr CXIX, nella traduzione di Giorgio Colli

voce Possibilità di V. Mathieu in: Enciclopedia filosofica Bompiani, pag 8821

Massimo Cacciari, lezione su Storie ed errore, Monza 23 febbraio 2012

da Gabriele, anche per i miei 64 anni

Caro Paolo,
ho atteso lungamente questa giornata. Sono andato più volte a spiare la data, per timore che passasse senza aver dato un cenno della mia presenza.
Su quest’ultima sto scrivendo un ‘libro’ da mesi che ho intitolato: “La presenza dell’altro, oltre il suo mero apparire”. Conterrà tutto quello che so a proposito della relazione con l’altro, sull’invisibile dell’esperienza personale, sui modi in cui è possibile un accesso alla conoscenza, al contatto, allo scambio emotivo e sentimentale. Occorrerà molto tempo prima che il lavoro acquisti una veste definitiva. La direzione, tuttavia, è segnata.
Il libro di Hadot, “Ricordati di vivere”, sugli esercizi spirituali prediletti da Goethe, si apre proprio con la ‘presenza’, l’unica dea che egli fosse disposto a venerare.
La presenza e il presente sono le vere dimensioni della salute, del benessere, della felicità. Sappiamo quanto sia facile per tutti noi smarrire la strada, ritrovarsi in un vicolo cieco, magari dopo aver percorso convinti una lunga strada fatta di progetti, speranze, illusioni.
Speranza e illusione si mescolano e si confondono, facendoci vedere come desiderabile anche ciò che non corrisponde ai nostri interessi e alla nostra felicità.
Ritrovare la strada non è poi ritrovare il presente dei propri compiti, delle radici, dei sogni?

Parlo di ‘presenza’, perché spero di essere presente nella tua vita, come credo che tu lo sia nella mia. Parlo spesso di te. Utilizzo le cose belle che pubblichi, per far conoscere la tua terra, la tua casa, le cose che riscaldano la tua vita.
Raccomando agli amici la lettura delle pagine scritte da Luciana sulla malattia, perché trovino la dimensione giusta in cui pensarla. La vecchiaia con i suoi mali non deve essere una iattura, un destino atroce. Possiamo rendere umano tutto ciò che la sorte ci riserva. Ogni tanto riascolto la lettura di Strand che mi spedisti, per risentire la voce di Luciana. I tuoi video mi regalano la stessa emozione.
Siamo stati abituati troppo, però, a pensare in termini di emozione. Io preferisco pensare ai nostri sentimenti, alla vita del nostro sentire nella sua forma più profonda, perché mai disgiunta dal valore degli oggetti d’amore.
È ‘presenza’ il tuo sentire, la cura che riservi alle cose a cui ti dedichi, a partire dal tuo lavoro, che hai saputo arrichire a dismisura con gli strumenti di conoscenza che pubblichi in rete. È piacevole notare quanto sia diventata ricca la tua giornata, se provo ad immaginare di mettere in fila tutto ciò che riferisci. Più chiaro mi sembra il ritmo delle settimane e quello delle stagioni, immaginando il succedersi delle opere. Ti sei rivelato nel tempo sempre più operoso. Questo ti rendere più amabile, perché fa risaltare la fecondità delle tue conoscenze, assieme al pregio dell’esperienza ‘estetica’: i viaggi, le vacanzine, le conferenze, il cinema, la musica, la terra comasca.

Ho dovuto fare ricorso a tutte le tue produzioni per renderti presente e non patire troppo la lontananza, ma nel tuo caso è possibile dire, parafrasando Steiner, che sei «vera presenza» nella mia vita. Di tutto ciò che ti appartiene giunge a me distinta l’eco, che rimanda con ritmo incalzante immagini, suoni, voci, altre presenze. Le tue parole sono sempre forti: portano il timbro della tua forte personalità. Essa è tale perché sostenuta da un forte sentire. Le passioni civili di un tempo sono state temperate dal tempo, ma sono state rese acuminate dal fuoco della critica, a cui ricorri sempre per giudicare un tempo sempre più insensato e ingiusto.

Sono ben presenti a noi i Maestri, coloro che ci hanno preceduto, tutti quelli che abbiamo amato e che ci hanno insegnato a credere che ci salveremo, perché abbiamo ricevuto amore, quindi ne riceveremo ancora.
La tua vita operosa è segnata in parte oggi dal disincanto che consegue alla conoscenza sempre più chiara delle vicissitudini della politica, che immagino ti rattristerà, perché non sa vedere cosa sia più conveniente e giusto fare nell’interesse del maggior numero di persone. È compito arduo farci i conti per noi, che eravamo sostenuti da narrazioni ideali in cui abbiamo lungamente creduto. Più difficile consistere in un tempo in cui tutto cambia fin troppo rapidamente, portandosi via anche le cose buone, che credevamo acquisite per sempre. In mezzo a questo disordine, tu riesci a trovare l’orientamento e lo divulghi, giustamente convinto che servirà.
Se non basteranno le ragioni culturali e ideali, contribuirà a farle apparire credibili la tua autorità morale. Di tutte le qualità che si possono riconoscere in un uomo io credo che l’autenticità sia la più grande. Così ti vedo io oggi. Ti penso serenamente immerso nelle certezze raggiunte, giustamente inquieto per il tuo futuro di ‘pensionato’, altrettanto giustamente arrabbiato per l’ingiustizia patita, ma sempre felice di essere compagno di Luciana, figlio della tua terra, produttore instancabile di vera conoscenza.
Quando ti penso, immagino che le immancabili malinconie saranno dissipate dalla musica di Nina, dal frastuono delle rive del lago affollate in tempo di alta stagione, ma sempre in armonia con la terra, che hai saputo eleggere a madre riconoscente e amica.

Ti prego di non smettere mai di credere che non ci siamo incontrati per caso. Aspettavo un amico, che intervenisse nella mia vita a riscaldarla con le sue virtù e con la sua virile sensibilità. Ogni tua apparizione mi conferma nell’idea che non mi ero sbagliato ad eleggerti ad amico, non solo perché il cuore dettava il sentimento. C’eri tu, ben presente a me.
Di questo ti sono grato, perché contribuisci a dare senso alla mia vita. Il pensiero va a te oggi con affettuosa riconoscenza.
Un abbraccio lungo e forte.
Gabriele

COMUNICAZIONE INTERNETTIANA DEGENERATA IN VIOLENZA LINGUISTICA. Per non dimenticare una deturpazione personale avvenuto su Facebook

Per conservatorismo del passato e per non ripetere errori, ricordo qui una comunicazione deturpante attivata da alcuni “amici”  che usano in modo disinvolto e spregiativo le parole per attaccare innanzitutto la PERSONA e non le sue OPINIONI

Paolo Ferrario in bilanci di fine anno

Insegna il Cristo: amerai il tuo prossimo come te stesso, / ma non dimenticare mai che è un altro. 
ANTONIO MACHADO

«Prossimo, infatti, è ciò che differisce inesorabilmente da noi. Prossimo è soltanto ciò che possiamo concepire come avente un proprio carattere e un proprio luogo distinti dal nostro carattere e dal luogo che noi occupiamo. L’ansia di eliminare la distanza non produce comunità, ma, all’opposto, ne dissolve la stessa idea. Può produrre comunità, invece, soltanto uno sguardo che custodisca l’altro nella sua distinzione, un’attenzione che lo comprenda proprio sulla base del riconoscimento della sua distanza. L’intelligenza del prossimo non consiste nell’afferrarlo, nel catturarlo, nel cercare di identificarlo a noi, ma nell’ospitarlo come il perfettamente distinto». (Massimo Cacciari)

L’altro è il prossimo da amare. Ma l’amore come arma, strumento e modalità conoscitiva è più che un sentimento: «amore non vuol dire amare». L’amore del prossimo consiste nel riconoscimento di una situazione critica e nella disponibilità a farsene carico. Il linguaggio non religioso chiama ciò responsabilità. Tra etica della convinzione ed etica della responsabilità a costituire compito è ormai quest’ultima.

Le pulsioni di morte che sono state inoculate nella società civile daranno i loro frutti. E se non ne daranno di eclatanti, sarà comunque morte, sotto altre forme. Le donne di Adolf Hitler pare che si siano suicidate tutte. E’ stato scritto che l’uomo emanava gelo. Oggi siamo dominati da personalità prive di sensibilità. C’è una terza via tra Eros e Thanathos?

Ieri alle 10.54

MP

Oh mamma, cosa mi tocca leggere proprio oggi! E’ tornato Calderon dela Barca! Ragazzi, ve lo dico in tutta amicizia, ma ve lo devo dire: avete proprio deciso di diventare paranoici? Spero di no. Anche perch… Mostra tuttoé coltivare questo genere di ossessione per il catastrofismo il male e la morte ottiene unicamente di rinforzare e amplificare esponenzialmente la crescita e la diffusione di quello stesso morbo letale che invece voi vorreste denunciare. In questo modo però non solo non lo combattete, ma rischiate all’opposto di diventare i suoi migliori interpreti e alleati. Rendetevene conto. Einstein, nella sua geniale essenzialità, ha provato a spiegarci come non sia mai possibile risolvere un problema usando lo stesso tipo di pensiero (o di spirito, diremo meglio in questo caso) che lo ha prodotto. E se mai abbia ancora un qualche significato per voi, di nuovo buon Natale!

BL

mi dispiace Massimo ma continui a non cogliere!

MP

Caro … , è la stessa cosa che vi sto dicendo io. E’ lo stesso vicolo cieco. Non vedete? La differenza è che, personalmente non sono mai nemmeno lontanamente sfiorato dall’idea di poter cogliere tutto, e nemmeno nulla di assolutamente vero. Ci… Mostra tuttoò che colgo distintamente è soltanto che siamo portatori di visioni e verità individuali radicalmente diverse. E che però esse trovano il loro senso e il loro superamento in leggi superiori che a nessuno di noi è dato di conoscere, ma sulla cui fiducia può tuttavia essere fondato il sentimento etico che detta atti e atteggiamenti di cui ciascuno si rende individualmente responsabile.

BL

Non ho detto cogliere tutto, …, ho detto cogliere, cosa? ma l’hai detto anche tu all’inizio, lo spirito (“non condivido il tuo spirito”), poi hai aggiunto “ma comprendo il tuo punto”, che poi non risulta vero, perch… Mostra tutto è se non si condivide lo spirito non si può neppure comprendere il punto. E lo spirito è il “senso” della cosa di cui si parla, è quello che va colto, percepito, attraverso quel “sentire” che è l’unica umile e vera guida alla realtà dell’essenza umana, che si fonda nel rapporto con l’altro da me, col diverso, che va salvaguardato, sempre, non respinto, e senza la quale ogni visione è astratta, potenzialmente errata e criminale. Il “senso” si fa allora etica e esercizio alla percezione del dolore dell’altro, del mondo, e dell’orrore dello stato di coscienza in cui questo non viene sentito. Per cui non venirci a fare la morale … , oltretutto nel nostro campo di lavoro che per noi è tutta la nostra vita, rischi di essere irrispettoso e offensivo. Tu in che campo lavori scusa? Sono mai venuto lì a dirti che sbagli? Capisco che sei in buona fede e che cerchi sinceramente il dialogo non noi (altrimenti non avrei fatto ciò che ho fatto), per cui allora ti dico che ci siamo, anche noi siamo qui per questo, ma ti devi porre in ascolto, umilmente, dell’umano in noi sofferente che ci chiede aiuto [!!! mia sottolineatura , Paolo]  Solo così ci possiamo veramente dare la mano, senza ipocrisie ratzingeriane (che santifica il papa “degli ebrei” e poi dice che lo ha fatto per motivi di fede e non storici, separando drammaticamente le due cose). Solo così possiamo “aiutarci” reciprocamente, come hai detto.

BL

Una terza via tra Eros e Thanathos c’è e la conosci anche bene. Si trova nel cuore, non nella testa.

GDR

Conosco questa via: ha informato di sé tutta la mia vita, quando ho fatto politica, quando ero nel sindacato, da quando (dal 1989) faccio ‘volontariato’.
Recentemente, l’ho rivestita di dignità teorica, chiamandola pensiero del cuore. La sua archeologia è segnata con il sangue di Etty Hillesum, Marina Cvetaeva e tutti gli altri imperdonabili.
Si potrebbe dire di loro con Musil che sono uomini postumi: manifestano un’inesauribile molteplicità di ragioni. “L’uomo postumo ha ‘troppe’ ragioni, per accontentarsi di una verità semplice (“ogni verità è semplice – ma non è questa una doppia menzogna?”). L’uomo postumo trascorre per infinite maschere senza fissarsi in nessuna. E “questo mette paura”, è il suo Unheimliches” (Cacciari, Dallo Steinhof).
L’esperienza del ‘cum’ – di cui si sostanzia la mia vita – si riassume oggi nella relazione educativa. Lo ‘spazio linguistico’ che siamo perennemente impegnati a costruire come “comunità di parlanti (K.O.Apel) è la via che si costruisce insieme e che sola ci consente di procedere, non importa se viandanti o pellegrini, sicuramente tutti in esodo dallo ‘spirito del tempo’. … Mostra tutto
Ha ragione Esposito a riaffermare la non esistenza delle comunità: esse non sono mai esistite. Ho scritto per me e per chi lavora nel campo delle relazioni d’aiuto che la comunità non esiste, non è già da data: è il da farsi. Essa è il ‘luogo’ in cui si fa l’esperienza del ‘cum’. Si incontreranno in essa ‘nemici’, ossia ‘stranieri’. Con essi si dovrà non solo intrecciare un dialogo, ma trovare la dimensione del noi, dentro la quale soltanto si dà quella prossimità che non è l’indistinto dell’intersoggettività impersonale, ma sempre di nuovo un Terzo da dare, da riconoscere: la dimensione della Giustizia, che si fonda ponendo ogni distinto nella sua luce, esaminandolo con cura, riconoscendo all’altro ciò che gli spetta. “Analizzare ogni grumo, amare la distinzione, riconoscere a ciascuno i suoi diritti, distinguendosi l’un altro – questa sarebbe giustizia. […] Per esercitare una tale giustizia in grande stile, un uomo deve poter sentire in se stesso la lotta tra distinti poteri, e non volere che nessuno tramonti, lasciare che la loro lotta continui” (Cacciari). ‘Noi’ siamo impegnati “nell’impresa ricorrente di conversione di un mondo non intrinsecamente nostro in una realtà con altri durevolmente condivisa” (S.Veca, Dell’incertezza).

BL

I personaggi che hai citato, Etty e Marina in primis, sono i maestri che ci insegnano a percepire il dolore dell’altro e del mondo, e il modo di elaboralo in termini di specificamente umano. Ti riporto una frase del libro che sto leggendo in questo momento: “L’armonizzazione degli affetti è definita da Stern innanzitutto come un tratto … Mostra tuttocaratteristico della relazione intersoggettiva. Ed è immediatamente evidente come un’intersoggettività vera, profonda, una comunicazione autentica tra soggetti, non possa prescindere dalla partecipazione di ciascuno allo stato affettivo dell’altro.” (Il pensiero emozionale. Un percorso tra teorie cognitive e

MP

Caro … , a me sembra che il problema sia precisamente la tua generica pretesa di saperci indicare verit… Mostra tuttoà oggettive e universali. A tutti i miei “mi piace” tu mi opponi la ragione, salvo poi indicare nel “sentire” l’unica vera nostra guida. Ma quanti criteri di verità hai?! Ad ogni modo, su come la ragione medesima sia storicamente giunta a riconoscere i suoi stessi limiti non mi pare il caso di tornare. Né mi sembra necessario sottolineare l’intrinseca soggettività del sentimento. Piuttosto, ti invito a rileggere il mio precedente commento: vedrai che non mi riferivo (solo) a chi pretende di cogliere tutto (figura ovviamente retorica), ma sostanzialmente a chi pretendere di poter cogliere anche solo la più piccola frazione di verità assoluta, universale, appunto (che cioè possa valere per tutti, te e me inclusi). E, scusami, ma la tua accusa di incoerenza è in ogni caso un puro sofisma. Io posso benissimo comprendere il punto tuo e di … perché esso trova presa in me, attraverso un’infinita serie di elementi culturali comuni, sentimenti e impulsi, noti e ben radicati, che mi appartengono senz’altro e che risuonano chiari e forti alle vostre parole (io vi ho ascoltato), e tuttavia posso contemporaneamente superarlo, non abbandonandomi alla sua tentazione e dissociandomi anzi dallo spirito che esso esprime, in virtù di una dialettica trascendentale che da figura spirituale si fa carne e vita nella mia personale esistenza (potete voi ascoltarla?). Il senso della cosa di cui si parla, infatti, e dello spirito che essa sottende insieme a infinite altre, non lo si apprende per intuito o per inferenza logica, ma esperendo gli effetti ultimi che tali cose producono nel mondo reale. E a quali conseguenze nefaste conduca quello spirito l’ho ben potuto sperimentare nel corso della mia vita. Resta poi sospetto il contrasto tra la vostra voglia di amore e di concreta accettazione dell’altro da una parte, e il vostro acrimonioso, traboccante e profondo disprezzo per il nemico che pensate di avere individuato (o anche solo per la diversa visione che io qui vi oppongo), in cui non sembrate vedere precisamente l’Altro di cui parlate e che dite di voler salvaguardare. Questa violenza spirituale a me non fa meno orrore del dolore del mondo, perché li vedo come facce della stessa moneta. E su questa materia, caro … , voler accampare diritti “professionali” mi sembra del tutto fuori luogo, per voler usare un’espressione benevola. Questa tua concezione asimmetrica e autoritaria della comunicazione e del rapporto, spero ti renda conto che non è ammissibile, visto che non sono un tuo cliente. Né intendo minimamente sindacare su come tu ti conduci privatamente con i tuoi pazienti, cosa che, d’altra parte, non mi sembra di avere mai fatto. Allora, di quale “campo di lavoro” (tralascio il lapsus) parli, scusa? Della vita? Dell’esistenza umana? Dello spirito? Della coscienza sociale? Dell’essere uomini tra gli uomini? Su questi temi tu vorresti davvero avanzare una qualsiasi pretesa di autorità superiore? Pensi che qualcuno lo possa? Voglio sperare di averti frainteso, perché altrimenti dovrei preoccuparmi sul serio. Non è certo per il mestiere che fai, che mi interessava stabilire una relazione con te, e nemmeno per una mia personale necessità. Non posso allora che ricevere le tue parole come il segnale della volontà di interrompere un confronto che evidentemente ritieni privo di significato e di valore. Tutto al contrario di quell’esercizio etico all’ascolto dell’altro, che promuovi a parole. Se così è, aderisco volentieri alla tua richiesta inespressa di non venir più chiamato a rispondere di ciò che scrivi, visto che scambi per moralismo irrispettoso un modo diverso dell’esserci (proprio uno di quelli che dici di voler tenere in massimo conto, torno a sottolinearlo), espresso magari qua e là nei toni un po’ rudi del dialogo schietto, ma sempre franco e leale nelle intenzioni, faticosamente attinto in tutta coscienza (anche con grande dispendio di tempo sottratto ad altre attività molto più gratificanti) alla mia esperienza di vita e al mio concreto e costruttivo impegno materiale e spirituale nel mondo, e tra gli uomini.

MP

Caro …, non c’era assolutamente bisogno che mi ricordassi il valore del tuo straordinario impegno sociale e umano. Fin dal principio, se ricordi, ti avevo espresso tutta la mia incondizionata ammirazione e stima in tal senso. Ma, perdonami, non puoi per questo chiedermi di apprezzare altrettanto incondizionatamente anche quelle apocalittiche… Mostra tutto profezie di sventura e di morte che talvolta agiti. Né di condividere lo spirito che anima i tuoi più categorici e sferzanti giudizi morali, prima ancora che politici. Ho sempre avuto ben chiaro che il tuo impegno all’accoglienza e all’aiuto riguarda specificamente i tossicomani e i tanti altri individui diversamente disagiati. Mi piacerebbe però che si evitasse di confondere questo lodevolissimo interesse per la persona sofferente, con il più generale interesse per “l’Altro”, inteso come categoria dello spirito (tema quanto mai di moda, e mai come oggi fonte di equivoci e di banalizzazioni). A chi riflette, è del tutto evidente che sono due cose molto diverse, e che la prima non implica la seconda. E’ semplicemente questo che ho tentato di sottolineare nei miei post precedenti. Perché lo ritengo così importante? Perché sussiste una altrettanto evidente correlazione diretta tra la mancanza di apertura all’Altro e l’incapacità politica di immaginare forme sostenibili di convivenza globale. Ora, io credo che questo sia ormai diventato oggi un tema cruciale ineludibile e sempre più urgente da affrontare, almeno tra quanti non vogliano fare la fine di Sansone tra i filistei. E ho fatto riferimento a una precisa idea filosofica che circola in proposito in questi anni negli ambienti accademici. Immaginavo potesse servire a portare la discussione su questioni di merito, tanto più tra chi è votato alla cura del prossimo, senza che nessuno avesse a inalberarsi, svicolare, o trincerarsi dietro improbabili argomentazioni circa l’astrattezza della questione, il chi avrebbe titolarità a disquisire di cosa, ecc. (mi riferisco qui a … , evidentemente, non a te). La giudichi anche tu una proposta così irricevibile?

GDR

Caro …,
non mi sono abbandonato alla costruzione di un ‘curriculum’ o alla restituzione di ‘tranches de vie’ per esaltare meriti personali. Piuttosto, ho cercato di definire meglio quello che faccio, per chiarire il significato che attribuisco ai versi di Machado distribuiti per Natale a destra e a manca. Quei versi, peraltro, sono accompagnati nel mio post alla posizione più bella di Cacciari che, da saggi apparsi su MicroMega e con “Geo-filosofia dell’Europa” e “l’Arcipelago” insiste sulla dialettica hospes-hostis: noi non sapremo mai chi sia quello che entra in casa. Potrebbe rivelarsi hospes oppure hostis. Questo comporterà violenza e non possiamo farci nulla. Cioè, continuerà a lungo. Secondo lui, il destino dell’Europa è in quell’immagine dell’arcipelago che rinvia alle culture che debbono coesistere, meglio se imparassero a convivere.
Certo, con Machado intendevo alludere polemicamente alle posizioni di rifiuto della presenza straniera, invocata nei giorni feriali dai padroni e padroncini che se ne servono quando hanno bisogno di manodopera da pagare come fa loro più comodo, tenendo le persone in condizione di precarietà totale. Io credo che conculcare le culture altre e – ciò che è più grave – le religioni sia pericoloso: nel musulmano vilipeso e negato i dinieghi produrranno effetti positivi? L’insulto gratuito e preventivo, il disprezzo e la guerra aperta non sono il contrario dell’amore, comunque inteso? Non starò a scomodare su questo termine il giovane Hegel e con lui la lunga schiera di coloro che ne hanno fatto la bandiera dell’Occidente cristiano. D’altra parte, incazzarsi per i Crocifissi, per le radici cristiane dell’Europa e per la Croce sulle bandiere non dovrebbe poi accompagnarsi con quello che il Cristianesimo di fatto è sempre stato, almeno ‘programmaticamente’? Sappiamo bene che nemmeno i cristiani riescono ad amare il loro prossimo – al riguardo, molti hanno perfino le idee confuse – , ma quel ‘nomos’ è tale proprio perché non coincide con un compito facile: è scandalo.

In verità, in apertura di questa lunga discussione tu avevi subito risposto: Eh, se solo ce ne ricordassimo quando serve!, generando forse fraintendimenti. Ti riferivi al dovere della solidarietà nei confronti del Presidente del Consiglio? Dovevamo tutti prosternarci? Rinunciare ai nostri sentimenti politici? Conosci un solo uomo o una sola donna di destra che abbiano fatto un passo indietro in questi giorni? Si può dire che la violenza verbale sia aumentata! E con essa le minacce. I dossier che vengono preparati nell’ombra sono carezze? solidarietà a Putin? Io sto dalla parte di Annna Politkovskaia, che è stata assassinata per avere scritto la verità sulla Cecenia. E’ questa acrimonia? E’ odio? sicuramente, io odio i nemici della libertà. Se Berlusconi metterà le mani sulla Costituzione di tutti per attribuirsi tutti i poteri, tu pensi che resteremo a guardare?…

MP

Caro … , posso solo dire che apprezzo l’onestà con la quale nei tuoi ultimi post ammetti due fatti determinanti, capaci di spiegare da soli quasi tutto. Primo, che il vostro concetto di “Altro” include solo coloro che si trovano nella contingenza del dolore e del bisogno. Questo vi preclude a mio parere la visione del problema generale e della sua radice. Secondo, che non mi hai ascoltato. Quando riuscissi a farlo, troveresti la mia personale risposta a tutte le domande che mi poni in quello che ho già scritto.

GDR

Scusa ma non capisco ancora.
Machado e Cacciari non vanno alla radice del problema?
Non c’è alcun nesso tra i tossicomani e gli stranieri?

MP

Nella mia interpretazione essi vanno sì, entrambi, perfettamente alla radice, nella misura in cui, appunto, non riducono l'”altro” al tossicomane, al sofferente, al bisognoso, o a chi non ha lo stesso passaporto.

MIE LETTERE PRIVATE CON MP

caro …
ho letto con estremo disagio una conflittuale conversazione fra … , … e te.
Anche se non meriterebbe di essere definita “conversazione”,  parola che implica qualche zona di rispetto personale.
Mi spiace perchè stimo sia … che … , anche se sono lontanissimo dalle loro posizioni che vivo come unilaterali, talvolta violente e a-dialogiche.
Mi sono invece riconosciuto sulle tue argomentazioni, che mi ricopierò per rifletterci sopra.
C’è dunque un problema, oggi, anche fra chi dovrebbe usare la lanterna della ragione. Il problema è l’egoriferimento, usando un linguaggio psicologico o l’aureferenzialità, usando un linguaggio sociologico.
A furia di crescere in comunicazione vengono a mancare i dati comuni su cui imbastire perfino il parlato.
E la politica (che ha contato moltissimo nella mia vita essendo sato un militante del Pci dal 1973 fino al 2001) è il terreno più divisivo.
Non mi resta che rinunciare alla discussione politica. Ero stato insultato – sono pre-vecchio e me la prendo molto – in una conversazione sulle politiche di respingimento della immigrazione clandestina e da quel momento ho deciso di astenermi dalla conversazione politica, che sempre degenera nell’insulto personale, come è capitato pure a te.
Ho deciso dunque di lavorare sui dati, sulle informazioni (in fondo poi è il mio mestiere) e di evitare conflitti verbali.
però ci tenevo a dirti il mio personale consenso – per quello che conta: Uno. le opinioni contano Uno e non Tutti come pensano certi ideologismi (sì è l’deologia a parlare, non loro. C’è qualcosa di intrinsecamente totalitario nel pensiero della sinistra, tanto più quando si salda a quello dei cattolici) … dicevo che volevo dirti il mio personale consenso a quanto hai detto ed alla sorpresa di come anche un avveduto come … abbia perso il controllo. A conferma di quanto dicevo
buoni giorni e buon futuro
Paolo Ferrario

Grazie, Paolo! Apprezzo molto la tua solidarietà. A volte queste discussioni mi fanno sentire un alieno che parla una lingua diversa e incomprensibile. Mi fa piacere scoprire che, invece, non è esattamente così e che c’è anzi qualcuno che può addirittura riconoscersi in ciò che dico. Questo mi è decisamente di conforto. In effetti il problema dell’egoriferimento a cui tu fai cenno è intrinsecamente legato all’incapacità assoluta di concedere pari dignità a un “altro” come categoria esistenziale e di pensiero. Il brutale furore politico, incrociato con livori di fegato e di pancia, sembra accecare ogni coscienza critica. Manca del tutto la consapevolezza dei problemi che concernono le visioni del mondo, il criterio di verità e il nesso tra pensiero e azione. Ma, quel che è peggio, manca la volontà di trovare una via d’uscita sostenibile e dignitosa per tutti, e si preferisce anzi votarsi alla fine di Sansone, come ho scritto nell’ultimo post (perché la querelle sta continuando, purtroppo).
Anch’io sono continuamente tentato di sottrarmi a questo genere di discussioni. Le trovo anch’io snervanti, faticose, dolorose, mortificanti. In effetti in FB ho eliminato diversi “amici” la cui unica occupazione era risultata essere la diffusione quotidiana di decine di post e link di velenosa propaganda politica, più o meno strisciante. Questa virulenta violenza a-dialettica e ideologica, come giustamente fai notare tu, a me fa orrore, come ho scritto poco fa a … , quanto i più grandi orrori del mondo, che vedo fondarsi in quello stesso spirito. Trovo che avveleni mortalmente le menti e i cuori, prima ancora che il clima sociale.
Quando fosti insultato tu, mi accorsi benissimo che avevi eliminato il tuo post e tenni a far presente a … come l’unico effetto concreto sortito dal quel modo, suo e dei suoi tanti sostenitori, di perorare la causa dell’accoglienza e dell’integrazione, fosse intanto stato quello di isolarti e di respingerti. Purtroppo tu ed io, insieme a milioni d’altri, non sembriamo rientrare nella loro categoria di “prossimo”.
Insomma, anch’io ho la forte tentazione di evitare queste discussioni. Ma a un certo punto sento che deve prevalere il dovere morale di far valere la mia posizione. E accetto quindi la fatica e il tormento dello scontro, nella convinzione personale che se la mia opinione vale qualcosa, può valerlo solo in quanto espressa. Non mi sono per altro mai applicato alla propaganda partitica, che non rientra attualmente nei miei interessi e non appartiene neanche alle mie abituali forme espressive, ma soltanto in valutazioni filosofiche assolutamente pre-politiche, sulla cui riflessione vedo fondarsi l’unica speranza di una futura globalità organica e vitale.
Sarebbe bello poter lavorare insieme alla costruzione di qualcosa, fosse anche “solo” una visione da proporre.
Comunque grazie, e tanti cari auguri anche a te!
MP

Caro …

Grazie per la tua risposta alla mia lettera

Ho letto il proseguimento della interazione comunicativa . Non riesco a chiamarla dialogo.

Tu tenti un ragionamento argomentativo. … risponde con esclusivi epitaffi valoriali.

Ho già provato ad argomentare con lui sul piano dei dati e delle informazioni: impossibile farlo. Non c’è terreno di confronto.

Ti assicuro che mi spiace. Con lui mi unisce tutto: l’età (entrambi del 1948), il lavoro (insegnanti), la militanza (pci), la voglia di stare sulle tecnologie internettiane. Eppure tutte le volte che ho provato a confrontarmi sul piano politico viene fuori la nagazione del rapporto.

Perché questo avviene?

Secondo me perché quando l’ideologia (o meglio il costrutto ideologico) prende possesso sul discorso non c’è più la persona, con i suoi dubbi, le informazioni sempre limitate e da confrontare, la capacità di distinguere dentro il groviglio dei fatti

Sottilineo alcuni punti di mia condivisione rispetto a quanto scrivi nella lettera che mi hai inviato
1 Manca del tutto la consapevolezza dei problemi che concernono le visioni del mondo, il criterio di verità e il nesso tra pensiero e azione

2        l’unico effetto concreto sortito dal quel modo, suo e dei suoi tanti sostenitori, di perorare la causa dell’accoglienza e dell’integrazione, fosse intanto stato quello di isolarti e di respingerti

3        ho la forte tentazione di evitare queste discussioni. Ma a un certo punto sento che deve prevalere il dovere morale di far valere la mia posizione 

Punto 1: quando manca perlomeno una analisi comune della situazione c’è una afasia del linguaggio. Ti immagini se i costituenti del 1946/1948 avrebbero potuto scrivere la Costituzione in un clima di amico/nemico come quello di oggi. La mia diagnosi è che questo avviene perché E’ PIU’ FACILE (ed è bene che lo sia) ESPRIMERE OPINIONI SU QUESTO STRUMENTO TECNOLOGICO CHE E’ UNA TASTIERA ED UNO SCHERMO. E’ talmente facile che la parola perde la sua forza di rappresentare la realtà. La facilità mette in ombra la dura fatica della analisi dei dati e del rapporto pensiero/azione, di cui parli. Quello che indichi è un punto fermo e forte .

Punto 2 : è andata proprio come dici. Mi sono ritirato perché immaginavo una prosecuzione di linciaggio talebano nei miei confronti. E dato che non porgo mai l’altra guancia, questo fa male alla mia pressione alta e dunque al cuore. Perché rischiare di morire per un duello linguistico in cui le parole non hanno più il loro significato “sacro”. Che è quello di nominare le cose e mi sono ritirato.

Punto 3. Se hai la forza di stare su questi confronti fai bene a starci.  Anche se , per realismo, dovresti sapere che sul terreno ideologico ogni conversazione esce sconfitta

Conclusione: credo proprio che sulle questioni che attanagliano  il confronto culturale di questi tempi abbiamo qualche affinità, un “idem sentire” che mi auguro caratterizzi i processi di pensiero di molti. Non ho ottimismo che sia così, ma volgio sperarci.

E comunque saranno gli elettori (fantastica la democrazia delle urne: una opinione un voto) a decidere.

Con approcci così estremi il centrodestra governerà (bene su alcuni problemi, male si altri) per un bel ciclo ancora

Bene

Sono contento della nostra chiacchierata

Se avrai altri spunti di riflessione sarei contento di prenderne coscienza.

Sono persona di buone letture ma il mio punto di riferimento è questo saggio di carlo tullio altan (il docente che più ha influito sulla mia formazione)

Nel suo schema individuo/cultura società c’è il metodo per comprendere qualcosa delle questioni che abbiano accostato. Se vuoi leggerlo è qui (te lo mando anche via e.mail: dimmi se l’avrai ricevuto così mi confermi che l’indirizzo che hai è quello giusto):

http://tempocheresta.blogspot.com/2009/02/carlo-tullio-altan-modelli-concettuali.html

Ancora buoni giorni ed anni

Paolo Ferrario

Gabriele De Ritis: “Fare oggi gli auguri a te senza farli contemporaneamente a lei sarebbe stupido: se tu sei la persona speciale che sei è merito suo, è grandemente merito suo”

Ciao, Paolo.
Ti ho lasciato gli Auguri su Skype e su Tracce e Sentieri.
Questa giornata non finirà a mezzanotte, perché subito dopo e per un po’ continuerai ad avere 62 anni. Voglio dire che le parole eccezionali di oggi non sono indispensabili, oggi.

Oggi devi sapere semplicemente che ti voglio bene, perché sei simpatico, onesto, gentile ma robusto, illuminato con passione, generoso e severo, paziente ma fermo, attento all’amicizia e alle cose vere.

La lista delle tue qualità è ben nota a Luciana, che è in cima alla lista: il dono più importante che la vita ti abbia dato è lei. E se è andata così non è senza una ragione.

Destino è parola che tu conosci bene. Sai cosa significhi per noi. La vita ci viene incontro come noi andiamo incontro ad essa. Sui tuoi sentieri non potevi incontrare che lei.
Fare oggi gli auguri a te senza farli contemporaneamente a lei sarebbe stupido: se tu sei la persona speciale che sei è merito suo, è grandemente merito suo. A lei è dovuta gratitudine, perché se posso sentirti come amico e sentirmi ricco della tua amicizia, è perché lei ha contribuito a fare di te la persona aperta che sei.
I tempi di ferro che viviamo apparentemente non sono di ferro, ma le nostre sorti, come le sorti di tanti nostri connazionali in certi giorni mi sembrano appese a un filo. Occorrono qualità civiche forti e chiara lungimiranza per non lasciarsi andare alla rassegnazione. Parlare di speranza, tuttavia, è ardito pensiero e cieco sentire: cosa possiamo sperare?
In questi tempi difficili, poter pensare con gratitudine a qualcuno è motivo di conforto e ragione sufficiente per andare avanti. Non so se tu sia dello stesso parere, ma per me è così: la piccola schiera di persone pulite – di cui tu fai parte – a cui penso è solo la punta di un iceberg a cui amo pensare quando sono solo con i miei pensieri.
Oggi voglio pensare che l’Italia sia piena di persone come te. Questo pensiero mi convince del fatto che ci salveremo. Prevarranno ragione e onesto sentire.
Con questa speranza, ti abbraccio fraternamente.
A presto.
Gabriele

Gabriele De Ritis: "Tu hai nella natura e nella storia che hai contribuito a costruire là dove vivi i giusti confini. Custodire la linea che ti separa dall'altro da te è ininterrotto lavoro quotidiano, ma anche esercizio spirituale: è quell'imparare a morire giorno dopo giorno che le forme della saggezza che abbiamo scelto ci insegnano"

Caro Paolo,

ho appena finito di leggere una prima volta il tuo preziosissimo saggio. Non mi è sfuggito nemmeno il più piccolo riferimento alle cose da te sentite e pensate in questi anni. La lettura è favorita dalla chiara struttura del testo, che si apre e si chiude con movimento giustamente circolare: partire e tornare per te ha un senso. Dai luoghi che ti hanno dato la vita ti allontani, sapendo bene che la meta della tua vita è la stessa origine da cui vieni: la tua terra, dove più volte sei nato. I diversi piani di realtà che attraversi si compongono bene nella sintesi breve che ci è stata richiesta. Le suggestioni offerte dagli Autori da te frequentati sono materiale fertile a cui tornare, per farlo fruttare ancora, come tu dici.
E’ stato detto da Nietzsche che chi non ha un padre se lo deve dare. Parafrasandolo liberamente, si potrebbe dire che se non si ha una Patria occorre darsela. Tu hai salde radici. Dunque, devi usare ancora la tua voce per rendere sito ciò che per i viandanti distratti è forse solo meta turistica o curiosità erudita. 
La massa imponente delle cose che ereditiamo da chi nei secoli ha lasciato traccia della vita di un territorio non può certo essere disprezzata. Tuttavia, c’è più anima forse nel tuo breve scritto che non nei più dotti testi geografici ed economici che parlino di una terra. Ti esorto, allora, a scrivere ancora su paese, dimora, ambiente, come riesci a fare felicemente. 
A proposito della scrittura, io penso – al di là delle competenze formali, che pure possiedi – che si scrive con la mente e con il cuore, con anima e sentimento. E tu possiedi una mente ospitale e un cuore indomito e un’anima viva e attenta e sentimenti che non ami ostentare in forme sdolcinate e facili.
In tempi in cui è facile straripare, tracimare, invadere i territori confinanti, la sobrietà a cui siamo chiamati è compito gradevole. Non è certo la misura dei classici che avremo da praticare, essendo la vita ormai lontana dal mondo chiuso dell’antico: si sono spalancati davanti a noi i tesori dell’infinito che la scienza dischiude per noi. Per questo, darsi dei limiti è doveroso e saggio.
Tu hai nella natura e nella storia che hai contribuito a costruire là dove vivi i giusti confini. Custodire la linea che ti separa dall’altro da te è ininterrotto lavoro quotidiano, ma anche esercizio spirituale: è quell’imparare a morire giorno dopo giorno che le forme della saggezza che abbiamo scelto ci insegnano. 
Coltivare la tua anima è compito felicemente avviato. Ti auguro di proseguire indefinitamente con Luciana in quest’opera. Altro non è dato fare, se non consistere dignitosamente qui e ora, sulla terra che calpestiamo, con il passo che richiedono i giorni e le ore della vita. 
Che il tempo ti sia sempre propizio e che porti solo buone nuove chi bussa alla tua porta.
Gabriele 

Gabriele De Ritis mi scrive il 9 ottobre 2020:

Gabriele De Ritis

Caro Paolo, nel tempo trascorso da questa breve lettera siamo cresciuti ancora, abbiamo affrontato con gli occhi spalancati le vicissitudini politiche di questi, anni, che hanno reso tutti più poveri.

Il primato del valore della conoscenza non verrà mai meno per noi, che ne facciamo sempre fondamento di moralità.

Siamo smentiti quotidianamente nelle nostre convinzioni dalla tracotanza di ignoranti di ogni genere, ma non dalla silenziosa prudenza di tanti giovani che coltivano le idee che illuminano la vita, rendendola degna di essere vissuta.

Il tuo insegnamento universitario, fatto di buone pratiche, costituisce un seme destinato a dare frutti copiosi. Lasci tracce inequivocabili del tuo passaggio. Immagino che sarai non solo stimato ma anche amato, per la tua limpidezza morale.Da lontano seguo quello che pubblichi, arrivando ad immaginare l’orizzonte della tua cultura personale.

Mi piace chiamare vita buona questo tuo modo di condurti, sempre partecipe e riconoscente per le cose buone che ricevi in dono. Gli animali, l’orto, il territorio, le memorie e Luciana, il bene più grande, riscaldano sempre la tua vita.

A me piace pensarti così, ricco dei tuoi beni e sempre impegnato a ringraziare.Non credere che abbia smesso di pensarti assieme a Luciana e ad augurarti pace e serenità. Sei un uomo giusto, cosa puoi chiedere di più per te?Ti abbraccio affettuosamente, augurandoti una lunga vita felice.

L’angelo necessario è figura della volontà della mente di sollevarsi al di sopra del dolore e della morte … Gabriele De Ritis

Questo angelo viene da un cimitero monumentale. Il fiore che stringe tra le mani è rivolto verso il basso. Per me significa un amore perduto, malinconia d’amore, consapevolezza della perdita, miseria e abbandono. Ma angelo e fiore sono! Un transito necessario, questo. Occorre fare ripetutamente l’esperienza del dolore, per temprare l’anima. L’angelo necessario è figura della volontà della mente di sollevarsi al di sopra del dolore e della morte, per affermare la parola possibile, la felicità dell’opera. La trascendenza personale è tutta qui, in questo scorcio d’opera: ho tagliato l’immagine per dire questo frammento. Non per amore del frammento e del caduco! Piuttosto, per fermare in immagine lo sforzo da compiere: da questo ‘particolare’, che è il quotidiano, si tratta sempre di nuovo di risalire alla sorgente (Die Quelle). Da lì soltanto è possibile contemplare la vita e darle senso.
Per me la sorgente è la donna. E’ lei la figura che salva. Per tutta la vita non ho fatto altro che onorare tutte le donne che ho incontrato, nei modi in cui la vita mi ha consentito di farlo.

Non bisogna logorare gli angeli. : Ai confini dello sguardo

Io me li immagino sempre al tramonto, nel crepuscolo delle periferie o in aperta campagna, in quel lungo e quieto istante in cui le cose restano sole alle spalle del tramonto, e i diversi colori sembrano ricordi o presentimenti di altri colori. Non bisogna logorarli troppo gli angeli; sono le ultime divinità che ospitiamo e magari volano via. JORGE LUIS BORGES

Le parole del poeta argentino che precedono l’immagine conclusiva alludono alla funzione crepuscolare degli angeli, giacché è proprio quando le cose cedono il passo alla quiete della sera che rivelano la loro capacità di stare, e assieme ai colori essi sembrano custodire il ricordo di altre cose e di altri colori. Più che svelare per noi il significato nascosto delle cose, infatti, gli angeli si limitano a indicare un transito, a volte un’intransitabile utopia: sono messaggeri di luce che annunciano eventi del mundus imaginalis, cioè della dimensione invisibile in cui le cose attendono di venire a noi.

in: CAMMINARSI DENTRO (114): Non bisogna logorare gli angeli. : Ai confini dello sguardo

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Gabriele De Ritis sull'emozione estetica, sul giudizio estetico

Del rito rappresentato dalla visione in una sala cinematografica posso dire questo: ho provato l’emozione più grande con Blade Runner, in un cinema d’essai a Roma. Il film era appena uscito. Andammo a Roma, spinti da un presagio. Sentivamo che doveva trattarsi di una cosa importante. Schermo gigante. Prime file. Schiacciato dallo schermo e dai suoni.

Purtroppo, quello che accade la prima volta non si ripete uguale tutte le volte che rivediamo un film.
Cerco di dimenticare, per provare a rivedere come se fosse la prima volta. Adotto tutti i trucchi possibili. Lascio passare anche anni prima di tornare a vedere un film. Lo custodisco gelosamente, perché non vada perduto. Aspetto il momento propizio. Mi accade di pensare a volte: questo è il momento di rivedere… Ma è raro che accada.
Perciò ho scritto nel titolo del mio sito: salvare l’emozione estetica. Siamo bastardi. Ci lasciamo imbastardire il gusto dai mille stimoli che ci arrivano. Bisognerebbe chiudersi in un cenobio, per preservare la capacità di fruizione estetica. Anche la traccia lasciata in noi dai film visti è labile, come la nostra memoria (parlo di quella maschile): la nostalgia della Bellezza forse proviene dal fatto di essere ‘scemati di memoria’.
E’ bello poter dire: ricordo la tua bellezza.

E’ importante ‘degeneralizzare’, per non essere accusati di generalizzare. C’è una tendenza diffusa ad evitare il concetto. E’ come quando ‘la gente’ dice: non puoi giudicare. Oppure: chi sei tu, per giudicare? Dovrei spaventarmi! Poi, però, mi riprendo e mi ritrovo a pensare che chi si esprime così è un deficiente, nel senso letterale ed etimologico del termine: che manca, che è privo, che difetta. I deficienti e i corrotti non giudicano. Ai secondi non conviene.
Per il cinema e per l’arte, è la stessa cosa. I deficienti dicono: mi piace, non mi piace. Come quando mangiano il gelato al pistacchio. Che a loro piace.
Assenza di educazione estetica. Naturalmente, non si richiede la laurea in Filosofia, con tesi di Estetica!
Io non capisco niente di pittura. Dunque, sarei un deficiente se mi mettessi a dire della pittura cosa provo quando mi ritrovo di fronte a un quadro. Ci provo. Mi documento. Ma non ho una grande educazione all’immagine. Non conosco tutta la Storia delle arti figurative, dunque sono ignorante. L’ignorante si trasforma in deficiente quando vorrebbe impedire di giudicare a chi ha i mezzi per farlo.
Allora, “salvare l’emozione estetica” significa questo ed altre cose ancora.Mostra tutto
Per il cinema, vale la stessa cosa. Brunetta ha scritto: “Il cinema è memoria”. E va bene. Salvo poi discutere su cosa intendiamo con lui per memoria.

Questo vuol dire che tu capisci di cinema più di me. Lo conosci meglio. Essendo poi un membro del genere umano femminile, hai una memoria più forte della mia. Se il cinema è memoria, lo è anche in questo senso minimo, per cominciare: è memoria storica, certo; memoria del costume del tempo… E’, però, anche traccia che genera memoria, cioè identità. Ecco il punto. Oltre ad essere un membro del genere umano maschile, io forse faccio derivare la mia identità più dalle idee che dalle immagini. Capisci perché sono più ignorante? e potenzialmente più deficiente?
Detto questo, parteciperò a questa dotta discussione con contributi di idee. Ad esempio, il “Francesco” della Cavani mi commuove per quello che vi si dice. Certo, anche per la pioggia, per la recitazione, per la fotografia, per il montaggio… E’ sconvolgente quello che dicono in quel film.

da una conversazione di Gabriele De Ritis con Renata, su FaceBook

Gabriele De Ritis: … Tu non credi, però, che il nostro compito ora sia quello di ringraziare per ogni nuovo giorno che ci sia concesso? …

La pace raggiunta con la tranquillità dell’anima – che non è la mera quiete né la serenità di un giorno né la contentezza per i doni ricevuti – è ciò che consente di contemplare la vita dall’alto della collina, alla maniera di Alce Nero, e come lui ringraziare per il bene ricevuto e dire sì alla vita, a tutta la vita che è santa e buona. Alce Nero ha la visione dell’intera storia del suo popolo, al culmine della sua esistenza. Egli è commosso davanti a tutte le creature. Anche un filo d’erba è buono e santo per lui. Per questo, la sua è una Grande Visione.
A me accade di provare quella pace. Riesco a contemplare la vita senza grandi affanni, come se fossi un grande vecchio. So che una malattia – un’altra malattia – potrebbe intervenire a turbare questa pace, introducendo inquietudine e sconcerto.
Tu non credi, però, che il nostro compito ora sia quello di ringraziare per ogni nuovo giorno che ci sia concesso, gustando la sazietà che è propria dell’età matura?
Io avverto un sentore di eternità nell’emozione rinnovata che provo ogni giorno a contatto con le persone che amo e con le nuove esistenze che si affacciano all’orizzonte in cerca di un sorriso, del conforto della parola e di una vicinanza che non si risolva soltanto nell’intervento a sostegno di.
L’istante eterno che si dà quando la mia libertà in modo disinteressato si ritrova nuda di fronte alla bellezza non è tutto ciò che si possa desiderare, soprattutto quando la fragilità esistenziale si fa domanda tacita, anelito inespresso, ma non per questo meno comprensibile?
E lo sguardo che ancora è lecito posare sul sacrario dell’anima di una donna – non importa se solo per un po’ e senza che nulla possa essere chiesto – non è ancora sentore di eternità, se dall’altra parte si mostrasse un sorriso, un cenno di complicità inconfessabile, una promessa di felicità affidata al retto conversare quotidiano?
Cos’altro possiamo noi sperare, di fronte al ritrarsi delle cose, nel momento stesso in cui si mostrano a noi, mentre l’anima consuma nell’Aperto il suo darsi, se non che quel silenzio sia silenzio per noi? che ciò che si nasconde alla vista valga per occhi di seconda vista, a significare che non c’eravamo sbagliati, che qui c’è ancora posto anche per noi?

Pensieri del cuore da luoghi instabili

Caro Paolo,
quando non mi lascio travolgere dall’ira per le angustie dei tempi che viviamo, assegno al cuore il compito di parlare. Sempre.
Il pensiero del cuore di James Hilmann e Baldo Lami è stato una scoperta teorica, ma posso dire che da tempo io lo pratico.
Debbo molto all’elegia e allo stile di Virginia Woolf. Anche gli scrittori riescono bene a mimare la scrittura ‘femminile’. Alludo all’Anima. Al fondo enigmatico e buio che Galimberti evoca con Platone per significare l’amore. E non è amore solo quello che riserviamo alla nostra donna. Piuttosto, c’è da dire che forse l’amore più vario e multiforme e imprevedibile e innocente e casto è quello che proviamo per le creature, per i siti, i luoghi dell’anima… i ricordi più cari.
D’altra parte, non accade anche a te di scoprire, dopo avere scritto, che la pagina che sta davanti a te quasi non ti appartiene, come se contenesse sensi che ti sfuggono, che ti superano?
Io credo ormai che scrivere sia non solo doveroso ma utile sempre, per far parlare la parte buia di noi. Ombra e Anima debbono avere voce, debbono poter esprimere quello che si agita in noi.
Io passo intere settimane a ruminare cose oscure o ad inseguire fili da annodare a qualche cosa – una frase sentita, una parola ben detta – per svegliarmi all’improvviso alla consapevolezza: viene fuori una frase mia, un periodo, un intero testo che scrivo di getto ‘in bella copia’. Appunto, “viene fuori”.
Ci sarebbe tanto da dire a proposito della scrittura, ma oggi è sabato.
Da noi c’è una paura diffusa per il terremoto, che è stato annunciato catastrofico da giovedì, per via di scosse ripetute che si succedono di giorno e di notte con frequenza inedita. Sora è su una faglia pericolosa. Siamo zona sismica di primo grado. Si prevedono da sempre terremoti distruttivi. Aspettiamo da cento anni il prossimo cataclisma. Io ho dormito vestito sul letto giovedì, ma già venerdì ho deciso che ho troppo da fare per pensare al terremoto: debbo coltivare la mia anima, giorno dopo giorno; non posso permettere all’immane di sconquassare i miei equilibri. Non temo la morte, dunque la sera indosso il mio caldo pigiama e trascorro dalle letture disordinate di sempre al MacBook appena acquistato, per non smettere di fare la mia parte. Nella casa, un nipotino di tre anni ha diritto alla vita serena e alla protezione degli adulti, che non debbono mai lasciarsi abbattere dai capricci della fortuna né dalla clava della forza, come diceva Foscolo.
Il testo a cui siamo stati sollecitati da Baldo prende forma per frammenti.
Ieri ho scritto: “Essere angelo a qualcuno è un atto d’amore”, intendendo per amore quello che il filosofo Curi dimostra ne “La cognizione dell’amore”: amore non è cieco; anzi, insegna a vedere. Non siamo forse noi nei Servizi quotidianamente impegnati ad ogni piè sospinto ad indicare mete, vie, parole, perché la vita di chi è stato più sfortunato di noi prenda finalmente forma o non precipiti nell’insignificanza, quando non ci siano luce e calore a sostenere i giorni?
Oggi ho scritto: “il segreto del perdono… è il perdono ‘segreto’, cioè silenzioso”. Io credo che non si debba mai chiedere perdono o, almeno, che l’implorazione sincera debba essere accompagnata da lunghe file di continuità, per restituire all’altro la possibilità di coltivare la fiducia distrutta. Resto sempre convinto del fatto che dobbiamo renderci degni di essere amati, anche se a volte l’amore lungamente atteso non assume le forme che vorremmo o non viene affatto.
Ti abbraccio, dal luogo instabile da cui ti scrivo.
Gabriele

CAMMINARSI DENTRO (51): Imparare a morire : le mie Pratiche filosofiche, di Gabriele De Ritis

Imparare a vivere, imparare a dialogare, imparare a morire, imparare a leggere sono i quattro esercizi spirituali suggeriti dalla cultura pagana, dentro le pratiche filosofiche adottate dall’uomo greco come esercizio morale e ‘terapia’ dell’anima.

Amicizie maschili

Nei miei decenni avrei desiderato coltivare amicizie maschili. Quelle amicizie talvolta ruvide ed anche un po’ complici che, tuttavia, rafforzano l’identità di genere.
Quelle di cui ho più nostalgia affondano alla fine degli anni sessanta, in quell’arco di tempo che va dai sedici ai ventiquattro. Allora la forza delle spinte all’entrata nell’età adulta mi portava ad intrecciare rapporti profondi, tutti ispirati alla scoperta delle finestre che si aprivano sul futuro. Si parlava, si parlava, si parlava per ore, per notti. Sono certo che nella mia attuale personalità ci sono e vivono ancora quelle radici lontane ed affondate nella memoria.
Poi LA si è dissolto in una bradipica posizione dirigenziale nella quale convive con un infarto severo, BCG si è suicidato, CB ha – quasi subito – abbandonato il suo anarchismo ideologico per una (devo dire modesta ed irrilevante) carriera accademica, LB mi liquidò già allora con uno sferzante “non hai spirito critico” (anche lui: burocratica e sedutissima carriera accademica) , CB  ha rafforzato il suo atteggiamento distanziante, alimentato da una grande percezione del suo Sè, AC è il più durevole, anche se i nostri idem sentire erano e restano troppo lontani per alimentare la longitudine della conversazione, GL è il fortunato reincontro alla soglia dei sessant’anni, dopo quello intenso dei vent’anni, anche se l’identificazione con il lavoro e il non-uso delle tecnologie internettiane disabilita la possibilità di camminare di più assieme.
Ora le tecnologie della rete mi consentono, sia pure nella forma degradata del virtuale (nel senso che il rapporto faccia a faccia ha un circuito sanguigno più intenso, anche se più complesso da gestire) provare a recuperare quall’amicizia maschile di cui parlavo nelle prime righe.
Da quando percorro Tracce e Sentieri ho avuto la fortuna di incontrare in più crocicchi Dodo (l’amico con cui vorrei passeggiare per strada o in campagna, perchè con lui l’arte della conversazione la si apprende coltivando l’empatia della osservazione del mondo) e JazzFromItaly, con il quale mi auguro che il Jazz faccia da substrato nutriente.
Questo stralcio biografico è stato attivato questa mattina da un Post-Citazione di Gabriele De Ritis (un blogger che si identifica sulla rete con la sua identità reale). Quello con Gabriele è un incontro su cui punto molto: stessa generazione, stessi compiti funzionali (attraversare la soglia dall’età adulta alla vecchiaia), stessa identità politica (militanza attiva nel Pci), letture ed anche esperienze welfaristiche in parte vicine, “idem sentire” su tantissimi temi (fra cui una frequentazione con il deludente Claudio Risè)
Insomma: sono piuttosto contento di questo incontro ed amicizia e vorrei tenerlo attivo.
Oggi Gabriele evoca un tema decisional-politico e vi allude il suo giudizio con questa citazione:

Allora, riassumendo: il trattato di Schengen non si tocca perche’ il governo romeno ha minacciato le prevedibili rappresaglie commerciali contro le fabbriche degli imprenditori del nord-est; il reato di clandestinita’ non sara’ introdotto perche’ anche Maroni ha capito che avrebbe provocato l’arresto e l’immediata espulsione di centinaia di migliaia di badanti e colf. Delle misure annunciate da Ghedini, il pacchetto sicurezza si riduce alla trasformazione delle caserme dismesse in nuovi lager (eufemisticamente denominati Cpt), ai rastrellamenti di massa, per cui oggi il governo spagnolo ci ha accusati di razzismo, alle ronde di Stato richieste da La Russa e alla caccia e ai pogrom autorizzati ai Rom. Ma se una giovane nomade viene accusata di aver cercato di rapire una bambina e per punizione il clan camorrista locale va ad incendiarle il campo, perche’ in Sicilia la famiglia mafiosa di Niscemi non va a bruciare le case dei 4 ragazzi che hanno ucciso la quattordicenne che era rimasta incinta di uno di loro? O a Verona le ronde padane non mettono a ferro e fuoco le abitazioni di quei ragazzi che hanno massacrato un loro compagno? Siamo nella patria del Diritto, delle certezza della pena, di Beccaria. La legge non dovrebbe essere uguale per tutti?
Un caro saluto.
Marino Bocchi.

La conversazione amicale dovrebbe avere, nelle mie intenzioni, lo spirito della sincerità.
Anche quella di “confessarsi”, aspettandosi attenzione e comprensione, e non la spocchia giudicante.
Ecco con Gabriele mi sono sentito abbastanza sicuro nell’interagire quasi immediatamente senza filtri di autocontrollo.
E gli ho risposto così:

parole prudenti e equilibrate.
ne ho bisogno, perchè io tendo al controllo ed alla chiarezza nelle relazioni.
è molto semplice: porta aperta se entri a casa mia (di proprietà o in affitto che sia). però i piedi sul tavolo non li metti e ti comporti con educazione. altrimenti: fuori. con l’aiuto delle forze di sicurezza.
sì: perchè nei film western sono sempre stato un simpatizzante degli sceriffi, come Burt Lancaster in “Io sono la legge”.
Tuttavia in me c’è un conflitto mobile fra Es ed Io, mediato dal Super Io.
Sono abbastanza provveduto per comprendere che non sempre è possibile trasferire sul piano collettivo quello che funziona sul piano delle relazioni primarie.
In tutta questa vicenda, nella quale sono molto a disagio – perchè in tema di multicilturalismo le mie pulsioni profonde sono vicinissime agli istinti torbidi della neodestra, mentre la mia testa è sulle grandi idee di platone, oggi evocato da akatalepsia, dell’illuminismo voltairiano, delle democrazie inclusive – osservo che la neodestra subisce condizionamenti esterni alla sua aggressività: le regole europee, la pervasività dei mercati, la logica delle convenienze, l’oggettività della sua collocazione geografica, l’assenza di materie prime che costringe a relazionarsi, nonostante la voglia di esercitare il potere dei forti.
La situazione è per me “educativa”: mi rendo conto che ho un continuo problema di civilizzarmi. e che la conquista della civilizzazione interiore è un processo continuo. E’ un apprendimento continuo.
A differenza dei soloni e soloncini della cultura “de sinistra” che sono puri, ben piazzati nelle loro scolpite convinzioni e che dubbi non hanno e che sono convinti delle loro spigolose opzioni culturali anche se la storia le ha levigate o addirittura spazzate via come fanno le onde del mare

Mi confermo che la filosofia del “ma anche” è quella che meglio mi rappresenta.

La conversazione si è, successivamente, sviluppata.

Gabriele:
Caro amalteo,
il tuo post di oggi mi trascina piacevolmente nella discussione sui nostri destini nazionali, sulle identità, sui limiti dell’accoglienza dello straniero
Ne avremo per molto, credo.
Una prima cosa che mi viene in mente è un’inchiesta di Repubblica di circa venti anni fa (non sono, però, sicuro che sia passato tanto tempo!). In essa Bocca, alla fine del ciclo di interventi, dava la parola a un demografo genovese, il quale disse più o meno: quest’ondata migratoria dureràduecento anni. Io non so se sia così. Mi piace pensare, però, che sia così, perché gli sconvolgimenti economici fatalmente spingono i poveri verso i Paesi ricchi.
La seconda cosa che mi viene in mente è racchiusa in un pezzo di Cacciari uscito su MicroMega, uno di quei testi che io amo chiamare definitivi (te lo spedirò): in esso Cacciari,parlando dello straniero, indicava come questione cruciale la dialettica hospes/hostis. Con la coppia, egli voleva indicare un’incertezza sulla realtà che sta fuori di noi: tu non saprai mai se quello che entra in casa tua si rivelerà Ospite o Nemico. Lo scoprirai dopo. Si può chiedere a chi bussa alla porta se è l’una o l’altra cosa? Cacciari afferma lì che ci sarebbe stata violenza e che essa avrebbe reso le cose difficili e che non c’era modo di pensare diversamente la nostra condizione di Ospiti. NeL’arcipelago, il volume che costituisce il dittico sull’Europa con Geofilosofia dell’Europa, egli afferma che il destino dell’Occidente è tramontare e il nostro tramonto come civiltà – l’eurocentrismo da cui proveniamo – usciva esaltato dal fatto che la vecchia Europa si realizza nel nuovo tempo con arcipelago di culture: questo è il nostro destino, accogliere le diversità e farle convivere. Altro, secondo lui, non è dato:

«Prossimo, infatti, è ciò che differisce «inesorabilmente» da noi. Prossimo è soltanto ciò che possiamo concepire come avente un proprio carattere e un proprio luogo distinti dal nostro carattere e dal luogo che noi occupiamo. L’ansia di eliminare la distanza non produce comunità, ma, all’opposto, ne dissolve la stessa idea. Può produrre comunità, invece, soltanto uno «sguardo» che custodisce l’altro nella sua distinzione, un’attenzione che lo comprenda proprio sulla base del riconoscimento della sua distanza. L’intelligenza del prossimo non consiste nell’afferrarlo, nel catturarlo, nel cercare di «identificarlo» a noi, ma nell’ospitarlo come il perfettamente distinto». L’altro è il prossimo da amare. Ma l’amore come arma, strumento e modalità conoscitiva è più che un sentimento: «amore non vuol dire amare». L’amore del prossimo consiste nel riconoscimento di una situazione critica e nella disponibilità a farsene carico. Il linguaggio non religioso chiama ciò «responsabilità». Tra etica della convinzione ed etica della responsabilità a costituire compito è ormai quest’ultima.

La terza cosa che mi viene in mente è quello che ci insegna la biopolitica – che ritrovi nella linea Foucault-Esposito e Foucault-Agamben: il paradigma immunitario non funziona: tutti i tentativi che saranno posti in essere per mettere al riparo il corpo sociale dal contatto, dal contagio, dall’assalto dello straniero non daranno frutti: l’ondata non si fermerà; entreranno nemici; saremo ‘meticci’, come dice Eco.
I disordini di Marsiglia di qualche anno fa indussero taluni a dire una cosa che potrebbe aiutarci: in una città ospite il numero degli stranieri non può mai superare la soglia del 25% delle presenze: oltre quella soglia, i residenti sentono la loro identità minacciata.
Mi viene in mente una quarta idea. Eco scriveva molti anni fa che il razzismo è un evento prossemico: lo misuri bene quando hai gli stranieri vicino casa, in numero grande, rumorosi e irrispettosi delle regole… Devi sapere che qui da me, a parte gli Albanesi arrivati con la caduta del regime di Hoxa, i Cinesi che crescono, non abbiamo avuto grandi numeri. Possiamo dire di non essere razzisti? di non avere paura? di essere buoni Italiani, mentre gli altri sono cattivi?
Tu scrivi oggi cose belle. Pronunci il mio nome. Questo mi procura una grande emozione. Avrei cose importante da dirti al riguardo, ma non c’è fretta. Fino a quando tu non mi perderai di vista, io non ti perderò di vista. La distanza è quella che è. Ho visto la tua foto sul tuo sito professionale, quindi riesco ad immaginarti nel tuo orto e quando il tuo sguardo si perde nella contemplazione della distesa del lago. Mi auguro che ci siano riservati buoni giorni e tanti ancora, per poter condividere pensieri misurati e per poter godere della musica di Nina. Altro non chiedo oggi. Non è poco.

Amalteo:
caro gabriele
tu poni due tipi di questione in tema di multiculturalismo.
il primo è quello della “ineluttibilità” di questi processi sociodemografici.
il secondo è di tipo etico: il rapporto con l’altro 
comprendo meglio su quali punti non riesco a stare sulla tua lunghezza d’onda di pensiero.
o meglio: la mia parte razionale comprende ed anche condivide.
la mia parte “senso comune” (emozioni, quotidianità) invece partecipa (con contraddizioni e disagio) alle altre ragioni – oggi incarnate dalla politica della neodestra- tese a regolare, a intervenire soggettivamente su questi processi di mutazione culturale.
insomma: ti confermo che non sono ostile al giro di vite messo in atto da questo governo.
motivo il mio argomentare.
l’ineluttabilità dei processi di spostamento di popolazione da una parte all’altra degli stati richiede regolazione. la francia era un paese colonialista che ha organizzato in una diversa prospettiva i processi di integrazione (ed ora ha il problema della violenza dei francesi di famiglia nosrafricana che nel periodo del ribellismo adolescenziale mettono a ferro e fuoco le banlieu delle aree metropolitane ) da noi TUTTO E’ AVVENUTO CON ESTREMA RAPIDITA’ (circa 20 anni) e con una sostanziale assenza di regole chiare , incentivate anche dala scarsa efficienza della burocrazia italiana.
questo ragionamento lo lego alla questione hospes/hostis che hai proposto citando massimo cacciari.
rispondo con una immagine: apro la porta e c’è uno straniero (un solo straniero, magari con una compagna: uno o due , insomma) oppure apro la porta e fuori ci sono 20 stranieri, che non parlano la mia lingua, di cui non capisco le intenzioni ed alcuni dei quali mi appaiono pericolosi.
insomma: la QUANTITA’ fa la QUALITA’ delle relazioni.
se poi aggiungo la oggettiva pericolosità della religione islamica (nella sua variante “normale”, o “moderata” come si dice ed in quella estremista/fondamantalista) e del SEGNO CHIARO rappresentato dal 11 settembre 2001 riesco a mettere in fila qualche tratto culturale che spiega la mia insofefrenza ed anche la mia paura.
quella che ha fatto votare nel modo che sappiamo gli elettori del 13 aprile
lo stesso massimo cacciari (che comunque è un filosofo tragico e che ha una visione fosca ed apocalittica sul futuro) ha reagito con la sua consueta durezza a coloro che citano i dati istat (che parlano di una no allarmistica situazione di reati). più o meno ha detto: “me ne frego dei dati istat. il sentimento di insicurezza è un DATO tanto quanto i numeri.”
conclusione: non vedo in modo negativo i segni di dura chiarezza con cui si risponde alla criminalità oggettivamante indotta da migrazioni che hanno favorito lo spostamento di criminali dell’est e dei paesi di religione islamica.
grazie per i tuoi testi su cui rifletterò ancora