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I Maneskin cantano
CORALINE
al festival di Sanremo, 1 febbraio 2022:
QUI CORALINE CON IL TESTO DELLA CANZONE:
Ma dimmi le tue verità
Coraline, Coraline, dimmi le tue verità
Coraline, Coraline, dimmi le tue verità
Coraline, Coraline, dimmi le tue verità
Coraline Coraline
Coraline bella come il sole
Guerriera dal cuore zelante
Capelli come rose rosse
Preziosi quei fili di rame amore portali da me
Se senti campane cantare
Vedrai Coraline che piange
Che prende il dolore degli altri
E poi lo porta dentro lei
Coraline, Coraline, dimmi le tue verità
Coraline, Coraline, dimmi le tue verità
Coraline, Coraline, dimmi le tue verità
Coraline, Coraline
Però lei sa la verità
Non è per tutti andare avanti
Con il cuore che è diviso in due metà
È freddo già
È una bambina però sente
Come un peso e prima o poi si spezzerà
La gente dirà: “Non vale niente”
Non riesce neanche a uscire da una misera porta
Ma un giorno, una volta lei ci riuscirà
E ho detto a Coraline che può crescere
Prendere le sue cose e poi partire
Ma sente un mostro che la tiene in gabbia
Che le ricopre la strada di mine
E ho detto a Coraline che può crescere
Prendere le sue cose e poi partire
Ma Coraline non vuole mangiare no
Sì Coraline vorrebbe sparire
E Coraline piange
Coraline ha l’ansia
Coraline vuole il mare ma ha paura dell’acqua
E forse il mare è dentro di lei
E ogni parola è un’ascia
Un taglio sulla schiena
Come una zattera che naviga
In un fiume in piena
E forse il fiume è dentro di lei, di lei
Sarò il fuoco ed il freddo
Riparo d’inverno
Sarò ciò che respiri
Capirò cosa hai dentro
E sarò l’acqua da bere
Il significato del bene
Sarò anche un soldato
O la luce di sera
E in cambio non chiedo niente
Soltanto un sorriso
Ogni tua piccola lacrima è oceano sopra al mio viso
E in cambio non chiedo niente
Solo un po’ di tempo
Sarò vessillo, scudo
O la tua spada d’argento e
E Coraline piange
Coraline ha l’ansia
Coraline vuole il mare
Ma ha paura dell’acqua
E forse il mare è dentro di lei
E ogni parola è un’ascia
Un taglio sulla schiena
Come una zattera che naviga
In un fiume in piena
E forse il fiume è dentro di lei, di lei
E dimmi le tue verità
Coraline, Coraline, dimmi le tue verità
Coraline, Coraline, dimmi le tue verità
Coraline, Coraline, dimmi le tue verità
Coraline, Coraline
Coraline, bella come il sole
Ha perso il frutto del suo ventre
Non ha conosciuto l’amore
Ma un padre che di padre è niente
Le han detto in città c’è un castello
Con mura talmente potenti
Che se ci vai a vivere dentro
Non potrà colpirti più niente
Non potrà colpirti più niente
Fonte: LyricFind
Compositori: David Damiano / Ethan Torchio / Thomas Raggi / Victoria De Angelis
Il significato della canzone:
“Protagonista della storia “Coraline”, una bambina che non trova il suo spazio nel mondo, in un percorso speranzoso verso la luce, costellato da momenti bui. La ballad rock del gruppo romano trova i suoi connotati già nella prima strofa della canzone, dove il frontman Damiano canta: “Se senti campane cantare vedrai Coraline che piange, che prende il dolore degli altri, e poi lo porta dentro lei”. Il brano cerca di affrontare anche il periodo della crescita della giovane donna, in cui non viene riposta nessuna fiducia, un sentimento che traumatizza Coraline nel suo processo evolutivo
continua su: https://www.fanpage.it/spettacolo/eventi/il-testo-e-il-significato-di-coraline-la-favola-dei-maneskin-sulladolescenza-senza-lieto-fine/
https://www.fanpage.it/
Festival di Sanremo Bugo canta ‘E invece sì’ St 20214 min Nella finale della quinta serata Bugo canta sul palco dell’Ariston il brano ‘E invece sì’ in gara al Festival di Sanremo 2021
VAI A:
Festival di Sanremo – S2021 – Bugo canta ‘E invece sì’ – Video – RaiPlay
Radio2 a Sanremo 2021
Rai Radio2 è in diretta dal Glass Box del Teatro Ariston, a pochi metri dal palcoscenico del Festival di Sanremo con tutti i protagonisti della 71a edizione! Andrea Delogu, Ema Stokholma e Gino Castaldo sono al “centro del Festival” su Rai Radio2 per commentare lo spettacolo, la musica e le canzoni e per accogliere gli artisti dopo ogni esibizione per un primo commento a caldo.
vai a:
Radio2 a Sanremo – RaiPlay
Su Rai 1 al via il LXXI Festival della canzone italiana con Amadeus (ore 20.40).Ilaria Ravarino su Il Messaggero: «Amadeus non conferma e non smentisce. […] Quando […] Fiorello gigioneggiava in collegamento con Domenica in, annunciando a Mara Venier “lo scoop dell’anno”, e cioè “Ama vuole fare il Sanremo ter, perché questo è l’anno della rinascita, il prossimo sarà quello del boom”, quella frase, più che una battuta, aveva il sapore di una autocandidatura. “Non confermo e non smentisco: pensiamo al festival che sta per cominciare”, ha risposto Amadeus, sfilando abilmente l’edizione 2022 dalle mani dell’eterno delfino Alessandro Cattelan, ormai libero dal legame con X Factor (“L’Amadeus Tre? Non ne so niente – è stata la sua reazione –. Guardavo l’Inter”). Il festival che sta per cominciare, appunto. […] Un festival “che non risolve i mali del mondo – ha concesso Amadeus –, ma può regalare cinque serate di spensieratezza”. […] Sanremo proporrà in apertura l’esibizione di Diodato con la sua Fai rumore, ospitando sul palco, accanto alla co-conduttrice Matilda De Angelis, anche la cantante Loredana Bertè e l’infermiera Alessia Bonari, già vista a settembre sul red carpet della Mostra di Venezia, oltre a 13 big e a 4 giovani. Mercoledì, con la cantante Elodie a co-condurre, sul palco saliranno il marciatore azzurro Alex Schwazer e i tre componenti de Il Volo, con un omaggio a Ennio Morricone. Giovedì, serata delle cover, sarà la volta della supermodella Vittoria Ceretti, con i Negramaro, Siniša Mihajlović e Zlatan Ibrahimović, mentre venerdì gli onori di casa li farà la giornalista Barbara Palombelli, con Alessandra Amoroso, Mahmood e la direttrice d’orchestra Beatrice Venezi. Per la chiusura i conduttori Amadeus e Fiorello saranno affiancati da quattro co-conduttrici, Ornella Vanoni, Serena Rossi, Simona Ventura e Giovanna Botteri, mentre gli sportivi Federica Pellegrini e Alberto Tomba saranno gli ospiti di giornata. Per ognuna delle cinque serate il musicista Achille Lauro sarà impegnato sul palco dell’Ariston nella costruzione di quadri artistici (tra i suoi complici anche la cantante Emma e l’attrice Monica Guerritore), mentre, secondo indiscrezioni, potrebbero fare un’incursione durante una delle serate anche Claudio Santamaria, Francesca Barra e Vanessa Incontrada. “Lady Gaga? – ha azzardato Fiorello durante il tg – Roma-Sanremo col jet privato è un attimo”».
Ginevra canta “Vortice” – AmaSanremo del 29/10/2020
(1314) Ginevra canta “Vortice” – AmaSanremo del 29/10/2020 – YouTube
Diodato – Fai Rumore (Video Ufficiale) [Sanremo 2020]
(434) Diodato – Fai Rumore (Video Ufficiale) [Sanremo 2020] – YouTube
Rarities di Lucio Battisti. La Repubblica: «Ha cantato anche in altre lingue ed è l’autore di canzoni (fatto non sempre risaputo in alcuni casi) portate al successo da altri. Dagli archivi di Lucio Battisti continuano a uscire brani poco conosciuti (almeno nella sua versione) o praticamente sconosciuti in Italia. A riportarli alla ribalta, ci pensa il cofanetto Rarities. […] Nella raccolta (che uscirà in due versioni: lp e cd, entrambe accompagnate da un commento traccia per traccia) trovano spazio brani che Battisti ha affidato ad altri interpreti, come la notissima La spada nel cuore, portata al successo da Patty Pravo e Little Tony al Festival di Sanremo del 1970, o Le formiche, conosciuta nella versione di Wilma Goich, fino a La farfalla impazzita, un successo del Sanremo edizione 1968, dove fu cantata da Johnny Dorelli e Paul Anka. E poi una magnifica versione di Vendo casa, resa celebre dall’esecuzione dei Dik Dik; Per una lira, uno dei primissimi brani scritti da Battisti; La folla corsa, conosciuta grazie alla Formula 3, e una versione extended del capolavoro Pensieri e parole. Una parte dell’antologia è riservata alla produzione più esotica del cantautore, quella in cui si cimenta con altre lingue. Due brani in inglese, To feel in love e Only, che facevano parte dell’album Images del 1977, pensato per il mercato anglosassone, che non ottenne però il successo sperato. Poi altri brani cantati in spagnolo e francese».
La prima serata della 70esima edizione del Festival di Sanremo ha fatto registrare oltre dieci milioni di spettatori, con una media del 52,2% di share.
Un risultato che migliora quello dello scorso anno, quando la prima serata del Baglioni bis aveva fatto segnare una media del 49,5% di share con 10 milioni 86 mila telespettatori.
Quella registrata martedì è la media più alta per la prima serata dal 2005, quando il Festival condotto da Paolo Bonolis raggiunse il 54,1%
Chi l’ha detto che “sono solo canzonette”?
La domanda si riproporrà anche quest’anno, in occasione del Festival di Sanremo. Eppure Marcel Proust aveva già provato ad avvertirci:
“Non disprezzate la cattiva musica. Il suo posto è nullo nella storia dell’arte, ma immenso nella storia sentimentale della società”.
E, qualche tempo dopo, anche Enzo Jannacci sosteneva un’altra tesi:
“Questa è la canzone intelligente che farà cantar tutta la gente, questa è la canzone intelligente che farà ballar che farà ballar …”.
Il festival di Sanremo, nonostante i suoi 60 anni, continua a rimanere un pezzo della cultura italiana ed è quasi un rito popolare. Vale davvero la pena di viverlo attutendo i pregiudizi intellettuali e provando a comprendere quanto conti per ciascuno di noi la musica e quanto si leghi alla nostra vita.
Il termine “musica” è in stretta assonanza con l’arte delle Muse e, alla sua origine, indicava un insieme di tecniche e attività ispirate alla bellezza e al piacere. Nella mitologia greca le Muse erano le nove figlie di Zeus e di Mnemosine (la Memoria).
E’ questa associazione di piacere, bellezza e capacità di ricordare che ci interessa evocare e inseguire.
Proviamo a fare un lavoro di immaginazione storica che ci conduca alle origini, riflettendo sul fatto che, prima ancora del linguaggio come modalità di comunicazione fra umani, c’era già la musica.
Erano i suoni della pioggia, dei tuoni, del vento, degli animali, della natura che, fuori dai luoghi di riparo, riempivano in modo anche inquietante l’ambiente esterno.
Il neuroscienziato Daniel Levitin ha prodotto una grande mole di dati e informazioni a sostegno della primaria importanza della musica nell’evoluzione umana: essa si è evoluta, fino ad acquisire autonomia e a diventare arte, proprio per promuovere lo sviluppo cognitivo.
In Fatti di Musica (This is Your Brain on Music, 2006), Codice edizioni dice:
“La musica può essere l’attività che preparò i nostri avi pre-umani alla comunicazione verbale e alla flessibilità cognitiva necessaria a diventare umani”.
Lo comprova il fatto che, in ogni società conosciuta, musica e danza sono forme espressive universali. E’ solo negli ultimi 500 anni che la musica è diventata un’attività per spettatori:
“l’idea del concerto musicale – dice ancora Levitin – in cui una classe di “esperti” si esibisce per un pubblico riconoscente è praticamente assente nella nostra storia come specie”.
E’ in questo lunghissimo orizzonte evolutivo che possiamo ripensare il nostro piacere nell’ascoltare (o vedere ed ascoltare) la musica.
Quello che cerchiamo è un’esperienza delle emozioni.
Potremmo dire ancora meglio: ci educhiamo ad entrare in rapporto con le nostre emozioni. La musica serve a trasmettere sentimenti attraverso un rapporto fra i gesti fisici e il suono. Il felice compito del musicista è di mettere assieme il suo stato mentale ed emotivo per comunicarlo a noi: e così facendo, dentro di noi si sviluppa un apprendimento esistenziale.
Ma facciamo una prova, visto che internet ce lo permette. Osserviamo come Nina Simone costruisce con il corpo, le mani e la voce il suo meraviglioso Four Woman:
E ancora, guardiamo la faccia beata di Gary Peacock mentre imbocca il paesaggio musicale di quel capolavoro di improvvisazione del Trio Keith Jarrett che è Prism:
In queste due interpretazioni si può percepire cos’è la bellezza e come si struttura dentro una relazione.
Ma leggiamo anche le migliaia di commenti che i visitatori di tutto il mondo lasciano: ci renderemo conto che stiamo partecipando ad una esperienza sociale priva di barriere geografiche. Sono solo due esempi (fra i più alti) di quanta strada sia stata fatta nell’evoluzione umana di cui abbiamo parlato.
Ogni volta che un bambino canticchia una filastrocca per imparare le tabelline o un adulto intona una canzone della sua infanzia o adolescenza si riattiva quel processo di crescita evolutiva che abbiamo appena raccontato in modo sommario. Sempre nella prospettiva di legarci alla nostra concreta esperienza, il gruppo di autori cui si rifà Levitin sostiene che il punto di svolta per il gusto musicale si colloca attorno ai 10 anni:
“Da adulti, la musica che ricordiamo con nostalgia, quella che ricordiamo come nostra, corrisponde a quella che abbiamo sentito in quegli anni”.
E’ talmente forte quella impronta che anche nella patologia del morbo di Alzheimer molti degli anziani che ne soffrono riescono a ricordare canzoni imparate in quell’arco di età. Ciò avviene perché quelli sono gli anni della scoperta di sé e, proprio per questo, sono densi di emozione.
Ecco perché il festival di Sanremo può “farci bene”: perché ci aiuta a fissare momenti della nostra biografia e a ricordarli nella forma cantata. Ed anche a canticchiarli come sto facendo ora, mentre scrivo.
Quelli della mia generazione (1948) ricordano alcune canzoni che fanno parte sia della storia culturale italiana, sia di quella personale.
Nel 1951 non c’era ancora la televisione e anche il disco (poi cassetta, Cd e oggi file Mp3) era lontanissimo dalla funzione che svolge attualmente. In quella situazione oggi inimmaginabile la canzone più bella di fu “Grazie dei fior” cantata da Nilla Pizzi:
“Grazie dei fior/fra tutti gli altri li ho riconosciuti/mi han fatto male, eppure li ho graditi/son rose rosse e parlano d’amor”.
Nel 1958 a “Volare” nella mente e nei cuori è lo scatenato refrain di Domenico Modugno: “Poi d’improvviso venivo dal vento rapito/e incominciavo a volare nel cielo infinito” (Nel blu dipinto di blu).
Son passati 50 anni e il motivo è inscritto nella memoria. E’ bello trovarsi a cantarlo.
Nel 1961, a testimoniare una blanda mutazione di costume, Adriano Celentano irrompe sullo schermo televisivo in una scatenata rumba-rock:
“Con 24 mila baci/oggi saprai perché l’amore/vuole ogn’istante mille baci/mille carezze vuole allora”.
Ancora Celentano nel 1966 va al Festival a raccontare gli effetti del dopo boom economico:
“Torna e non trova gli amici che aveva/solo case su case … catrame e cemento” (Il ragazzo della via Gluck).
Queste volevano essere solo alcune reminiscenze per dire che le generazioni sono cresciute e cambiate ascoltando sullo sfondo delle loro vite alcune “canzonette”. Nessuno può ritrarsi dalla modesta ma irresistibile suggestione di certe melodie, parole e voci.
Facciamolo anche in questi giorni del festival di Sanremo 2010.
Ascoltiamo e chiediamoci:
perché questa canzone?
Cosa ha voluto dire?
Cosa porta di nuovo questo cantante?
Cosa c’è di diverso rispetto al passato?
già pubblicato in Aspettando Sanremo: divagazioni musicali – Muoversi Insieme
Su Muoversi Insieme di Stannah abbiamo già parlato del “rito” del festival di Sanremo che si rinnova ogni anno all’avvicinarsi della primavera. In quelle serate ci viene ricordato che le parole e le musiche ascoltate dal palcoscenico accompagnano da sessant’anni la storia della società italiana e le nostre personalissime biografie.
In quest’articolo prenderemo in analisi un altro aspetto della “memoria musicale” inscritta nelle persone che hanno vissuto quest’arco di tempo: vogliamo mettere al centro dell’indagine i cambiamenti delle tecnologie che rendono possibile l’ascolto e i loro effetti sulle abitudini e comportamenti.
In realtà la storia comincia molto prima, con il Disco: una lastra circolare di materia sintetica per mezzo della quale è possibile riprodurre musiche e suoni incise sulle sue tracce. La “musica di massa”, ossia accessibile a un pubblico vasto e non solo ai ristretti circoli delle aristocrazie della borghesia ottocentesca, comincia attorno al 1877, quando Thomas A. Edison inventa un tipo molto primitivo di grammofono, cui diede il nome di “fonografo“. Ma il principio del disco grammofonico, piatto e rotondo, fu concepito dal fisico Emil Berliner un anno dopo: il disco veniva collocato su un piatto messo in rotazione con un motore a molla. Dopo parecchi tentativi si impose la velocità standard dei 78 giri e la musica che si muove nell’aria cominciò ad avere i suoi supporti materiali che le consentiranno di entrare nelle case e fra le famiglie.
Nel secondo dopoguerra e, dunque, nel periodo evolutivo dei post sessantenni il giradischi entra a far parte dell’arredamento delle abitazioni e diventa una tecnologia di distinzione che campeggia nel “salotto” di soggiorno. La durata dei dischi a 78 giri (tipici degli anni ’40) era di circa 4 minuti a facciata: questa unità di tempo è stata inizialmente determinante nel condizionare la struttura ideativa delle canzoni e della stessa musica jazz. La maggior parte della produzione di quest’ultimo tipo di musica, che molto ha influito sui gusti degli italiani che in quel decennio si avvicinavano alla cultura americana, erano organizzate sulla base di incontri durante i quali venivano effettuate più registrazioni, chiamate “takes”, ossia versioni multiple dello stesso brano fra le quali si sceglieva l’esecuzione migliore. Nei primissimi anni del ‘900 il jazz poteva essere ascoltato solo suonato dal vivo nelle strade e nelle sale da ballo. Poi, negli anni ’20 – ’30, nei fonografi e nei locali notturni. Negli anni ’40 – ’50 le fonti primarie divennero la radio, i dischi, i film.
Tuttavia c’era un problema da risolvere. La durata dei 4 minuti di un 78 giri costituiva una forte limitazione per altri generi musicali: l’ascolto della Messa in si minore di Bach, per esempio, rendeva necessari 17 pesanti dischi. Per rimediare occorreva diminuire la velocità di rotazione del disco o tracciare solchi più sottili sulle lastre, senza diminuire la qualità sonora. I progressi tecnici portarono al Disco microsolco.
Nel 1948 la statunitense Columbia Records impose lo standard dei dischi LP (Long Playing) a 33 giri, capaci di contenere dai venticinque ai quaranta minuti di musica per facciata. Ora un’intera sinfonia era disponibile in un solo disco. Il tipo di materiale e la riduzione della velocità, inoltre, facevano diminuire il rumore di fondo e migliorare la qualità sonora. Le grandi case discografiche adottarono rapidamente questo supporto e i loro cataloghi vennero continuamente arricchiti, per la gioia consumatrice degli ascoltatori e collezionisti. Il formato delle buste cartonate dei 33 giri (31 x 31 centimetri) furono anche il supporto per splendide copertine, che diedero lavoro espressivo a grafici e fotografi per i vent’anni successivi. La RCA Victor, nel 1949, a sua volta introdusse un proprio microsolco costituito da un disco di 18 centimetri che ruotava a 45 giri al minuto. Il 33 giri sviluppò la moda dell’”alta fedeltà”, che si traduceva in un forte indotto dell’industria dei giradischi: altoparlanti montati in casse acustiche, amplificatori, puntine di zaffiro ultrasensibili, bracci di lettura bilanciati. Il 45 giri divenne il più competitivo supporto per la musica leggera e i juke-box. La generazione dei sessantenni ricorda bene come le loro adolescenze trascorrevano anche nei bar dove queste macchine (con gettoni da cinquanta o cento lire),
in modo quasi “magico”, andavano a prendere il disco che era stato digitato sulla lista, alla voce cantante/titolo, lo deponevano sul piatto e la puntina ne diffondeva le note per tutte le persone presenti. La versione Columbia veniva preferita per le esecuzioni a “lunga programmazione”, mentre il 45 giri diventò il supporto fondamentale per i singoli standard, decisivi per l’impulso del mercato giovanile, e che si potevano sentire nei cosiddetti “mangiadischi”, anticipando così, in forma elementare, l’elevatissima portabilità dei nostri giorni.
Il baby-boom degli anni immediatamente successivi alla fine della guerra conduceva nei negozi di dischi un’estesa platea di giovani disponibili a spendere denaro in musica. E’ negli anni ’50 che si forma, a partire dagli Stati Uniti per arrivare all’Europa, una diffusa cultura di appassionati alla “popular music“. Basti pensare a Frank Sinatra (1915-1998) e ai crooners, che devono il loro nome (“sussurratori“) alle personali dotazioni vocali rese, però, possibili dalla sensibilità dei microfoni e dalle tecniche di riproduzione. I “Sinatra’s Songs For Swingin’ Lovers“ e “Swingin’ Affair” facevano balzare il cuore e educavano gli adolescenti alle relazioni sentimentali. Ma anche Elvis Presley (1935-1977) alternava alla sovreccitazione del rock vero e proprio, ballads lente e romantiche, cantate con un’affettività che preludeva alla successiva liberazione sessuale. Il rock creò un mercato di massa capace di mobilitare interessi finanziari fortissimi, al cui confronto la musica classica appariva estremamente modesta. Ma c’è un altro dato storico da mettere in rilevo. Nel 1958 il festival di Sanremo fu vinto da Domenico Modugno (1928-1994) con la canzone Nel blu dipinto di blu: viene fatta risalire a quel periodo, perlomeno in Italia, l’origine della figura del “cantautore”, ossia dell’identificazione artistica fra l’autore di un testo e la sua interpretazione musicale. In ogni caso questi due sviluppi (il mercato di massa e una nuova tipologia di artista) furono favoriti dai supporti plastici dei 33 e 45 giri.
Anche il magnetofono (oggi diremmo registratore) e i nastri magnetici hanno avuto un ruolo importante. Inizialmente i nastri giravano su bobine circolari di difficile gestione, ma ben presto, dalla metà degli anni ’60, fu trovata la soluzione tecnica: racchiudere il nastro nelle audiocassette, da inserire in piccoli utensili portatili, i cosiddetti “walkman“, inventati dai giapponesi della Sony. Con questa tecnologia, che ha segnato l’epoca degli anni ’70 e ’80, i singoli brani potevano svincolarsi dalla gabbia del disco e si potevano fare registrazioni antologiche personalizzate che “permettevano di ascoltare ma anche di far ascoltare quella musica, quei dischi, quelle canzoni, quei gruppi a qualcun altro” (Ernesto Assante). Tutto questo lo si faceva con le audiocassette, antenate delle attuali playlist.
Inizia qui la fase dell’interattività che oggi ha raggiunto livelli stratosferici, ma contemporaneamente c’è la svolta tecnica del CD (Compact Disk), brevettato dalla Philips nel 1979, che sostituiscono i “vecchi” dischi in vinile. I nuovi dischetti sono piccoli, hanno un diametro di 12 centimetri, possono contenere oltre 74 minuti di musica senza interruzioni ed hanno un’ottima resa sonora. Anche i lettori laser che li fanno funzionare sono molto meno ingombranti dei giradischi e, soprattutto sono portatili. Il passaggio dai Long Playing ai Compact Disk inizialmente non piaceva a chi si era affezionato ai precedenti supporti. “Si era perso il fascino dell’oggetto, persa la sua elegante vulnerabilità, persa l’unicità delle copertine e delle confezioni, persa la sfogliabilità e la leggibilità dei testi, persa per alcune scuole di pensiero perfino la qualità sonora, persa ogni ritualità consolidata da decenni di uso” (Luca Sofri). La piccola confezione del Cd riduce la carica artistica che era possibile esprimere negli album a 33 giri tramite le immagini e i testi delle copertine. Ma questo senso di perdita ben presto si diluisce nell’arco di un decennio e si andrà sempre di più verso la miniaturizzazione e “smaterializzazione” dei supporti. Basta scorrere le date:
radio a transistor (1954),
registratori a cassette (1963),
walkman (1978, Cd (1982),
lettori portatili di Mp3 (1996).
Ora il formato standard è l‘Mp3 (più precisamente l’MPEG Motion Picture Experts Group Audio Layer III),
nato in un laboratorio tedesco nel 1987 e lanciato nel 1993. l’obiettivo di questa tecnologia è di ridurre le dimensioni dei files audio, senza grandi perdite di qualità sonora, perché devono correre in internet e raggiungere i miliardi di Pc fra loro collegati. Inoltre, in cuffia sono assolutamente perfetti. l’Mp3 è versatile, è copiabile con strumenti casalinghi, corre veloce e cambia del tutto il mercato discografico. Ma cosa fare con i vecchi LP da 33 giri? I nativi degli anni ’40 e ’50 ne hanno lunghi scaffali pieni, belli infilati nelle loro custodie di plastica, per proteggerli dalla polvere. Sono dischi con copertine spesso bellissime, come si è detto: veri quadri pittorici in formato 30 per 30, come quelli che sapeva disegnare Peppo Spagnoli della Splasc(h). Certamente si potevano trasferire su audiocassetta, ma rinunciando alla compatibilità con le tecnologie audio oggi dominanti. E allora ecco venire in aiuto, ancora una volta il mercato. Si inventano hardware costituiti da un giradischi collegabile con un cavo alla presa Usb del Pc. Si mette il disco 33 giri (ma funziona con i 45 giri ed anche con le cassette),
si registra la facciata, si dà il nome alle tracce e, con qualche procedura attenta, le preziose musiche jazz e pop degli anni ’50, ’60, ’70 diventano files Mp3: elettroni strutturati che viaggiano sui fili di internet, diventando unità audio diffuse, fruibili, avvicinabili, ascoltabili per il piacere soggettivo e intersoggettivo al costo di circa 10 Cd acquistabili nei negozi.
La vendita di dischi conosce la più importante crisi di settore e si reindirizza verso gli acquisti online sia dei Cd sia dei singoli files. Ma la più veloce e intensa rivoluzione diffusa, molecolare, elettronica e democratica l’ha inventata Steve Jobs con l’iPod, ossia quei minicomputer tascabili e dotati di una memoria sufficiente a immagazzinare (a un costo assolutamente concorrenziale rispetto ai Cd) migliaia di tracce musicali. “l’iPod mi aiutò a ristabilire una relazione con dischi che non sentivo da anni. Cominciai a disossare la mia collezione di dischi, sventrando i vinili per poi importarli con iTunes. Iniziai a passare ogni minuto libero a rovistare dentro ogni Cd, album, singolo e cassetta alla ricerca di canzoni degne dei nuovi giocattoli” (Dylan Jones.)
l’ iPod è stato ed è un oggetto di status e di tendenza che oggi si contende il suo spazio fra altri diversi modi di fruire la musica: radio, televisione, cellulari, computer. Non è più il tempo dei bar con il juke box, della radio a transistor o del giradischi casalingo accanto al divano. La musica si consuma in modo frammentato e diffuso sui treni, alle stazioni, nei luoghi e non luoghi della mobilità. E’ vero che si è perso in materialità dei supporti, tuttavia oggi ci sono più “dischi” (virtuali) di quanti una persona possa ascoltare in tutto il ciclo della sua terrena esistenza. Anche potendosi permettere di acquistarli (ma più spesso copiarli) tutti è umanamente impossibile trovare il tempo, questo sì scarso, per sentire tutta questa musica. Ecco perché ridiventa necessario educare e affinare il gusto: occorre imparare a scegliere autori e musica nel reticolare emporio di internet. Proviamo a usare All Music Guide, ad avere fiducia nei consiglieri di musica jazz come Norbert Ruecker, a inseguire i viaggi personali nella musica pop di Ezio Guaitamacchi, Nick Hornby, Ernesto Assante e Gino Castaldo, oppure a percorrere il sito del documentatore italo-americano Piero Scaruffi.
Il ciclo storico del vinile è durato 30 anni e quello del Cd e delle audiocassette circa 20. Oggi le innovazioni hanno tempi sempre più brevi. Gli individui della generazione dei post sessantenni hanno vissuto come “consumatori creativi” tutte queste svolte tecnologiche adattandosi e imparandone l’uso attraverso lo studio e apprendimento di manuali e istruzioni spesso difficili. Alcuni hanno rinunciato a farlo. Ma la mente musicale è produttrice di forti energie che supportano i cambiamenti. Lo scrittore Giuseppe Pontiggia parlava della sua ingordigia di libri come di una “libridine” (libidine per il libro). Cos’è quest’altra passione di suoni creati dall’ingegno umano che si strutturano in schemi armonici che accarezzano il cervello? Una “musicalidine“?
Forse non è un neologismo altrettanto efficace di quello di Pontiggia.
Cosa verrebbe in mente al lettore di questo percorso storico e biografico?
Fonti bibliografiche:
Enciclopedia della musica: piaceri e seduzioni nella musica del XX secolo, Einaudi/Il Sole 24 ore, 2006
Storia della civiltà europea: il Novecento, volume 18, Musica, Corriere della Sera, 2008
La canzone italiana 1861-2011, storie e testi, a cura di Leonardo Colombati, Mondadori, 2012
Ernesto Assante, Copio dunque sono, la rivoluzione che ha cambiato la musica, Coniglio editore, 2009
Ezio Guaitamacchi, 1000 canzoni che ci hanno cambiato la vita, Rizzoli, 2009
Dylan Jones, iPod, dunque sono, Marco Tropea editore, 2005
Luca Sofri, Playlist: la musica è cambiata, Rizzoli, 2006
Ezio Bosso in «Following a bird»
http://video.corriere.it/video-embed/d01ec038-d09c-11e5-9819-2c2b53be318b
vai a:
Sorgente: Sanremo 2016, Ezio Bosso in «Following a bird» – Corriere TV
Asaf Avidan, qui all’altezza delle interpretazioni di Nina Simone:
No more tears, my heart is dry I don’t laugh and I don’t cry I don’t think about you all the time But when I do – I wonder why. You have to go out of my door And leave just like you did before I know I said that I was sure But rich men can’t imagine poor. One day baby, we’ll be old Oh baby, we’ll be old And think about the stories that we could have told One day… Little me and little you Kept doing all the things they do They never really think it through Like I can never think you’re true Here I go again – the blame The guilt, the pain, the hurt, the shame The founding fathers of our plane That’s stuck in heavy clouds of rain. One day baby, we’ll be old Oh baby, we’ll be old And think about the stories that we could have told One day… One day… out there, One day… One day baby, we’ll be old Oh baby, we’ll be old Oh baby, we’ll be old Oh baby, we’ll be old One day baby, we’ll be old Oh baby, we’ll be old Oh baby, we’ll be old Oh baby, we’ll be old One day baby, we’ll be old Oh baby, we’ll be old And think about the stories that we could have told.
… in ogni società conosciuta, musica e danza sono forme espressive universali. E’ solo negli ultimi 500 anni che la musica è diventata un’attività per spettatori: “L’idea del concerto musicale – dice ancora Levitin – in cui una classe di “esperti” si esibisce per un pubblico riconoscente è praticamente assente nella nostra storia come specie”.
E’ in questo lunghissimo orizzonte evolutivo che possiamo ripensare il nostro piacere nell’ascoltare (o vedere ed ascoltare) la musica. Quello che cerchiamo è un’esperienza delle emozioni. Potremmo dire ancora meglio: ci educhiamo ad entrare in rapporto con le nostre emozioni. La musica serve a trasmettere sentimenti attraverso un rapporto fra i gesti fisici e il suono. Il felice compito del musicista è di mettere assieme il suo stato mentale ed emotivo per comunicarlo a noi: e così facendo, dentro di noi si sviluppa un apprendimento esistenziale. Ma facciamo una prova, visto che internet ce lo permette. Osserviamo come Nina Simone costruisce con il corpo, le mani e la voce il suo meraviglioso Four Woman. E ancora, guardiamo la faccia beata di Gary Peacock mentre imbocca il paesaggio musicale di quel capolavoro di improvvisazione del Trio Keith Jarrett che è Prism. In queste due interpretazioni si può percepire cos’è la bellezza e come si struttura dentro una relazione. Ma leggiamo anche le migliaia di commenti che i visitatori di tutto il mondo lasciano: ci renderemo conto che stiamo partecipando ad una esperienza sociale priva di barriere geografiche. Sono solo due esempi (fra i più alti) di quanta strada sia stata fatta nell’evoluzione umana SEGUE
L’INTERO ARTICOLO E’ QUI: Ferrario Paolo, Festival di Sanremo, Musica, Canzonette e biografia