“Musica d’arte”.
Musica senza genere
Questo confine è stato spesso, spessissimo, attraversato da lei.
Ma come attraversa questa linea?
Con l’interpretazione del testo.
Nina canta il testo della canzone. Lo trascolora, lo ricolora, lo prende e lo rivolta per prendere ciascuno di noi per la testa, il cuore e la pancia.
Ascoltiamo
E’ un classico del compositore Cole Porter. Ed è diventato uno standard, ossia un brano popolare che ha resistito alla prova del tempo e che è stato ri-letto, ri-cantato, ri-suonato migliaia di volte, soprattutto dai musicisti jazz.
Sentiamo assieme la prima versione che ho scelto:
E’ una versione strumentale, con due giganti del sassofono: Coleman Hawkins e Ben Webster.
Qui va apprezzato il loro caldo fraseggio , ben sostenuto dalla base ritmica. Qui io ci sento la componente swing del jazz. E la perfetta alternanza dei due sax. Gran bella esecuzione
Ecco la seconda versione:
Helen Merrill è una cantante jazz di nascita croata, ma culturalizzata negli Stati Uniti. Si è fatta notare fin dagli anni ’50. Una gigantessa, diciamo. La sentiremo spesso assieme. Bel ritmo, bella voce: “canto perlaceo, smerigliato” (Luciano Federighi). Il ritmo è veloce, indubbiamente.
Sarah Vaughan un’altra classica delle voci afroamericane del jazz. Gli estimatori di lei hanno detto: grande voce moderna, solenne nei bassi, suadente nei medi, duttile negli acuti. I denigratori (fra cui Frank Sinatra): dizione vezzosamente manierata. Sentiremo anche lei in altri pezzi che le rendono merito.
E ora lei. Nina. Nina Simone. In una irripetuta interpretazione nel Live at Newport. Fidatevi: una sola volta così e poi mai più così:
Allora? Sei senza fiato dall’ammirazione caro amico di blog?
Cosa ha cambiato?
Nina ha cambiato tutto: velocità, tempo, ritmo.
E ha creato il climax con una lunga esecuzione di piano che dura la metà della durata del pezzo per introdurre le parole. Sì le parole.
E così ha oltrepassato quel confine e “You’d be so nice to come home to” è diventata arte. Arte.
You’d be so nice to come home to
You’d be so nice by the fire
While that breeze on night sings a lullaby
You’d be all my heart could desire
Under stars chilled by the winter
Under an August moon shining above
You’d be so nice you’d be paradise
To come home to and love
Concludo il mio temino della sera con questa testimonianza, in perfetta sintonia con la mia totale e infinita ammirazione per la mia compagna musicale dei giorni e delle notti:
“Portavo sempre il ghiaccio a Nina Simone. Era sempre carina con me. Mi chiamava “Tesoro”, Le portavo un saccone di plastica grigia pieno di ghiaccio per raffreddare lo Scotch.
Lei si strappava la sua parrucca bionda e la gettava sul pavimento. Sotto, i suoi capelli veri erano corti come il pelo tosato d’un agnello nero. Si scollava le ciglia finte e le appiccicava allo specchio. Le sue palpebre erano spesse e dipinte d’azzurro. Mi facevano sempre venire in mente una di quelle Regine Egiziane che vedevo nel National Geographic. La sua pelle era lucida di sudore. Si arrotolava un asciugamano azzurro intorno al collo e si sporgeva in avanti appoggiando entrambi i gomiti sulle ginocchia. Il sudore rotolava giù dalla sua faccia e schizzava sul pavimento di cemento rosso tra i suoi piedi.
Finiva sempre il suo spettacolo con la canzone “Jenny Pirata” di Bertolt Brecht, Cantava sempre quella canzone con una sorta di profonda e penetrante rivalsa come se avesse scritto le parole lei stessa. La sua esecuzione puntava dritta alla gola di un pubblico bianco. Poi puntava al cuore. Poi puntava alla testa. Era un colpo mortale in quei giorni.
La canzone cantata da lei che mi stendeva davvero era “You’d Be So Nice to Come Home To”
Mi lasciava sempre di sale. Magari ero in giro a raccogliere bicchieri di Whiskey Sour in sala e lei attaccava una specie di frana rombante al pianoforte con la sua voce roca che sgusciava attraverso gli accordi “montanti. I miei occhi si fissavano sul palco dell’orchestra é ci rimanevano mentre le mie mani continuavano a lavorare,
Una volta rovesciai una candela mentre lei cantava quella canzone. La cera bollente sgocciolò tutta sull’abito d’un uomo d’affari. Mi chiamarono nell’ufficio del direttore. L’uomo d’affari era lì in piedi con questo lungo schizzo di cera indurita sul pantaloni. Pareva che si fosse venuto addosso, Fui licenziato quella sera.
Fuori in strada sentivo ancora la sua voce che arrivava dritta attraverso il cemento. “Sarebbe il paradiso se tu tornassi a casa”.
In Sam Shepard, Motel Chronicles (1982), Feltrinelli , 1985

Un pensiero riguardo “Nina Simone interpreta You’d Be So Nice To Come Home To, testo di Paolo Ferrario”