Te lo ricordi? E’ stato ritornando
da una lunga camminata
quando in un campo d’erba medica
s’è all’improvviso rivelata.
Di medie dimensioni, lo scudo
bruno e giallo, tra tante tartarughe
era la più comune – non se ne avesse
a male – direi la più scontata.
Ma è stato sufficiente
che estroflettesse il capo,
azzardo necessario
ad afferrare l’erba,
perché ci intenerissimo
davanti a quella prova
di una spavalderia, per lei,
superba. Portiamocela a casa,
hai detto sorridendo.
Arricchirai il tuo parco
di un animale quieto
e malgré lui, fedele, doppio della tua casa – in casa di
testuggine stanziale. Poi l’hai
con delicatezza sollevata:
ritratta in carapace,
con le zampette tese
in cerca di un appiglio,
la nostra tartaruga non ha saputo
far di meglio che emettere un liquore
denso, biancastro e untuoso –
almeno in apparenza, seminale.
Cento, duecento metri e il liquido,
lungi dall’esaurirsi, sembrava un fontanile.
Lo chiameremo Silvio, abbiamo
concordato. E giunti nel giardino
l’abbiamo posto a terra
con tale devozione che a un santo
protettore mai avremmo
riservato una simile attenzione:
eletto maschio, e maschio veramente,
lui veglierà la casa, chelone onnipotente.
Ma è stato solo un sogno, anche
piuttosto breve, visto che l’indomani
Silvio, l’idolatrato, era sparito.
Chissà, forse neanche era
maschio – di certo ci ha tradito.
in Franco Marcoaldi , Animali in versi, Giulio Einaudi Editore, 2006

L’ha ripubblicato su TARTARUGOSA.
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