Fel, Ferrario Enrico Luigi, direttore de “Il Tivan” (1893-1987), dì Roberto Festorazzì, in “Gazzetta di Como” 14/7/88

Fel, al secolo Enrico Luigi Ferrarlo, è uscito di scena in una giornata ottobrina dello scorso anno. Visto che ad ogni piccolo o grande Napoleone tocca assaggiare l’isolamento della propria S. Elena, a Fel fu destinata una modesta stanza al pensionato villa Celesia, dove trascorse gli ultimi anni del suo tramonto. A lui, il vecchio e grintoso capostipite del giornalismo umoristico non-professionale, non era stato neppure risparmiato un picco­lo affronto, che presto si colorò delle tinte amare di un oltraggio mal digerito.

Già sulla soglia della novantina (è morto, per la cronaca, con 94 pri­mavere sulle spalle), il polemico comasco aveva scritto una lunga composi­zione in rima sulla “vita di pensionato”, un bonario sfottò che non aveva risparmiato i peccatucci, in senso caporalesco, della dirigenza dell’istituto, fino a ironizzare, non senza gentilezza, sull’indomita tensione affettiva, tra “ragazzi” e “ragazze”, ospiti della casa di riposo. Gli si fece sapere che, di quella rima, non era gradita la pubblicazione. Per uno come Fel, era come sentirsi preso in contropelo. Gli si rinvigorì subito dentro il fuoco della passione per la libera espressione del pensiero, al di là di tutti i gesui­tismi preteschi che egli, apostolo d’anticonformismo, aborriva con decisione.

Un contestatore, il nostro. “Un uomo assolutamente illibato”, puntua­lizza il figlio Mario Ferrano, 69 anni, che ricorda come il padre detestasse i compromessi e le mezze misure. Da direttore del “Tivan”, il foglio setti­manale che fondò e diresse per molti anni, Enrico Luigi Ferrano si com­portò sempre da galantuomo, pronto a riconoscere i pregi personali degli avversari di turno che, per il bene della città e del suo esclusivo interesse, importunava con virulenza. Nella storia del giornalismo, il “Tivan” meri­ta senza dubbio un posto, quale rappresentante della pubblicistica munici­pale. Una categoria non certo residuale, perché il giornalismo italiano na­sce come gazzettiero, prettamente localistico.

In un certo senso, anche noi della “Gazzetta” ci richiamiamo a questa nobile tradizione, senza la pretesa di essere i continuatori di nulla. Leg­gendo la prosa di questo giornalismo, che ai contemporanei abituati al gio­co di sponda della stampa d’oggigiorno spesso paludata, codarda e dietro-logica può apparire viscerale, faziosa e priva del normale senso del limite, non si può non rinvenirne il contenuto vitaminoso dell’imprenditoria del rischio che non ha tempo. Anche nel giornalismo.

Sfogliando le pagine di una raccolta d’annata, ritroviamo anche il gu­sto, oltre che della provocazione, dell’innovazione tecnica che caratteriz­zava 1 andamento di questo giornale. Il “Tivan”, già nei primi anni di vita si presentava con un’immagine ben precisa, di giornale diretto ad un pub­blico popolare Le sue pagine contengono articoli brevi, senza foto ma con tanti disegni Fanno spicco decine e decine di commenti, corsivi, rubriche d opinione II giudizio, il commento, emerge, quasi prepotente, dalle pagi­ne scritte del foglio comasco. Spesso si riduce ad uno slogan ristretto in un riquadro, che sintetizza e intende fissare nella memoria del lettore un imperativo moralistico, un atta
cco personale, un ingenuo proclama, un con­tributo demistificatore.

Polemista energico, a “tintura di odio”, amante più della bombarda che del fioretto, uomo che raramente appare trattenersi su argomentazioni in punta di penna, Fel non risparmia, e questo è un grosso merito, di girare la satira su se stesso. Egocentrico anche in questo, il direttore del “Tivan” firma il giornale come “responsabile davanti a Dio e alla legge”. Ma poi, in prima pagina, proprio accanto alla testata, aggiunge che il “Tivan” esce il sabato, “breva permettendo”. Esemplari sono le piccole tribune da cui Ferrarlo apostrofa il malcapitato di turno: “Senta un po’”, un appunta­mento che, insieme al titolo, riporta il motivo grafico di una mano che get­ta l’indice su un ignaro, piccolo burocrate addormentato dietro una polve­rosa scrivania zeppa di carte.

Ideologicamente socialista “senza partito”, Fel era difensore di una so­cialità sincera, nella convinzione che anche il comasco con il conto in ban­ca e l’industria di seta dovessero impegnarsi a donare molto alla città, con spirito aperto e senza snobismi. Imparare a stare, insomma, con la gente in mezzo alla gente. Ecco perché, giunto una volta sulle tracce di quanto dichiarava al fisco il presidente della Provincia, Bosisio, grande possiden­te, s’indignò a tal punto da attaccarlo con violenza per più settimane. Tut­tavia, come nei romanzi di Guareschi, i personaggi, dopo immancabili scon­tri verbali arrivavano ad un modus vivendi, si riappacificavano e, chiariti gli equivoci, diventavano buoni amici.

Enrico Ferrarlo credeva pure nei giovani. Infatti, quando gli segnala­vano qualche “giovane promessa”, oppure allorché gli aspiranti giornalisti si presentavano essi stessi in redazione, Fel li metteva generosamente alla prova per verificarne le capacità. E potuto così accadere che il “Tivan”, organo del giornalismo dilettantistico, sia divenuto una fucina di giornali­smo.

Ma Fel, uomo ricco di umanità, non fu solo giornalista: di lui si ricor­dano i meriti nel campo della promozione sportiva (fu consigliere del cal­cio Como, fondatore dela società “Ardita” di Rebbio; inoltre introdusse nella nostra città la specialità del canottaggio a sedile fisso) e dello spetta­colo (curò la regia di un famoso recital di fiabe per ragazzi, che ebbe mol­to successo anche a Milano).

Roberto Festorazzi

La Gazzetta di Como, 14 luglio 1988

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