L’ INTERSOGGETTIVITA’ secondo l’avvocato Utterson

L’avvocato Utterson era un uomo dall’aspetto rude, non s’illuminava mai di un sorriso; freddo, misurato e imbarazzato nel parlare, riservato nell’esprimere i propri sentimenti; era un uomo magro, lungo, polveroso e triste, eppure in un certo senso amabile. Nelle riunioni di amici, quando il vino era di suo gusto, gli traspariva negli occhi qualcosa di veramente umano; qualcosa che non trovava mai modo di risultare nelle sue parole, e che si manifestava, oltre che in quella silenziosa espressione della faccia dopo una cena, più spesso ancora e più vivamente nelle azioni della sua vita. L’avvocato era severo nei riguardi di se stesso; quando si trovava solo, beveva gin, per mortificare l’inclinazione verso i buoni vini; e, sebbene il teatro lo attirasse, non aveva mai varcato la soglia di un teatro in vent’anni. Nei riguardi del prossimo era tuttavia di una grande indulgenza; talvolta si meravigliava, quasi con invidia, della forza con la quale certi animi potevano venire spinti alla malvagità; e, in ogni occasione, era disposto più ad aiutare che a disapprovare.
«Io tendo all’eresia di Caino,» soleva dire argutamente, «lascio che mio fratello se ne vada al diavolo come meglio gli piace.»

Avendo un simile carattere, gli accadeva spesso di essere l’ultimo conoscente stimato, e di esercitare l’ultima buona influenza nella vita di uomini perduti.

Robert Louis Stevenson, Lo strano caso del dottor Jeckill e del signor Hyde

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