Il cinema è un’arte della modernità (115 anni sono uno zefiro da nulla dentro il ciclo del vivente) che riattiva il Mito, ossia l’ascolto e riflessione su una storia.
Un film mette in scena le problematiche universali delle singole persone e lo fa attraverso un ambiente in cui dobbiamo momentaneamente trasferirci, alcune persone con cui occorre identificarsi e una serie di eventi. Il nucleo archetipico è ancora questo: Luogo, Tempo, Polis e Destino.
Vorrei aggiungere che una narrazione filmica arriva al cuore quando gli attori riescono a mettere la loro soggettività al servizio delle emozioni e la cinepresa sceglie le inquadrature giuste, come nella pittura.
Tuttavia con un film si può fare ancora di più, come suggeriscono Baldo Lami e Maria Luisa Mastrantoni: si può guardare quello che avviene sullo schermo come un sogno. E cioè ripercorrere le scene, chiedersi “cosa vuol dire?”, fare associazioni mentali, interpretare con leggerezza e gusto della scoperta intersoggettiva.
E’ quello che, in un gruppo di circa venti persone, abbiamo fatto parlando del film:
LARS E UNA RAGAZZA TUTTA SUA (Lars and the Real Girl)
di Craig Gillespie
con Ryan Gosling, Patricia Clarkson, Emily Mortimer, Kelli Garner, Paul Schneider, Boyd Banks, Tommy Chang, Lindsey Connell, Maxwell McCabe-Lokos, Annabelle Torsein
Usa, 2007
Quello che segue è la mia personale rielaborazione effettuata sugli appunti che ho scritto, seguendo l’aurea massima “verba volant, scripta manent”. Le tecnologie internettiane, poi, rendono possibile
vedere tutte le sequenze del film e scattare dei fotogrammi per fare memoria.
La scaletta argomentativa è tutta di Baldo e Maria Luisa.
La vicenda filmica si apre su una piccola città del Nord America avvolta in una campagna invernale. Il giovane Lars vive, per sua scelta, in un garage e rifiuta rapporti ravvicinati con il mondo esterno.
Siamo in presenza di un congelamento affettivo, rappresentato attraverso il biancore delle case e delle strade.
La cognata Karin abita di fronte ed è calorosa, generosa, comprensiva. Sente che Lars dovrebbe recuperare un rapporto con il fratello Gus. Ma Lars resiste, sfugge, si nega. Però fa freddo, molto freddo, ed allora le presta la sua coperta azzurra intessuta dalla madre. Si tratta di un oggetto importante, perché lo ha parzialmente protetto dalla sofferenza della morte materna, alla sua nascita:
Dopo molte insistenze Karin ottiene che Lars entri in casa e che si sieda al tavolo. Ma lui è fortemente a disagio, non sta bene in quel luogo e rifiuta di mangiare. Le relazioni fra persone, nonostante l’energia affettiva di Karin, non sono fatte per lui. Non ha potuto creare dentro di sé una personalità che gli consenta l’arrischio del rapporto interpersonale:
Nell’ufficio dove lavora i rapporti sono camerateschi: scherzi fra colleghi, i cerimoniali del caffè, immagini hard sui personal computer, e tanti oggettini sulle scrivanie. Sono importanti questi oggetti: vogliono rappresentare che si comunica tramite gli oggetti, oltre che personalmente. La pagina di un sito web che si intravvede sullo schermo descrive la possibilità di crearsi una creatura femminile corrispondente ai propri gusti e desideri.
Ma in ufficio c’è anche Margot, teneramente innamorata di Lars:
Un giorno Lars comunica al fratello ed alla cognata che è arrivata una ragazza. La descrive come una persona vivente e reale, ma si tratta di una bambola di gomma a perfetta imitazione artificiale di una donna, compresi gli organi genitali, su cui i costruttori hanno molto lavorato.
Siamo al centro del film.
Qui si parla di oggetti transizionali o, ancora più precisamente di quello che si può fare con gli oggetti transizionali. Ma poiché questa definizione ed intuizione su un aspetto determinante del funzionamento ed evoluzione della nostra psiche la si deve a Donald W. Winnicott (1896-1971) occorre dargli la parola e presentificarlo con le sue autentiche parole:
Pensiamo a un qualunque bambino che conosciamo bene e domandiamoci che cosa il bimbo si porta a letto come aiuto per il passaggio dallo stato di veglia a quello di sogno: una bambola; parecchie bambole, forse; un pezzetto di una vecchia coperta; o un fazzoletto che a un certo stadio del suo sviluppo è venuto a sostituire un pannolino. Può anche darsi che in alcuni casi non ci sia stato questo oggetto, ma che il bimbo abbia succhiato semplicemente ciò che aveva a disposizione, il pugno e quindi il pollice o due dita; o forse si è trattato di un’attività genitale alla quale è più comunemente attribuita la parola masturbazione; o il bambino può giacere sul ventre e compiere movimenti ritmici palesando la natura orgastica dell’esperienza sudando alla testa. In alcuni casi nei primi mesi il bambino avrà preteso niente meno che l’apparizione di un essere umano, probabilmente la madre. Si può osservare in generale una vasta gamma di possibilità. Fra le varie bambole e i vari orsacchiotti di sua proprietà, ci può essere un oggetto particolare, probabilmente morbido, che gli fu presentato a circa dieci, undici o dodici mesi e che egli tratta nel modo più brutale e più affettuoso e senza il quale non potrebbe concepire di andare a dormire; quest’oggetto non potrebbe certo essere dimenticato nel caso che il bambino dovesse partire; e se venisse perduto sarebbe un disastro per lui e per coloro che ne hanno cura. …
Io chiamo questa cosa un oggetto transizionale.
In questo modo posso illustrare una delle difficoltà che ogni bimbo incontra, e che è quella di mettere in rapporto la realtà soggettiva con quella partecipata che può essere obbiettivamente percepita. Dalla veglia al sonno il bimbo passa bruscamente da un mondo percepito a un altro creato da lui stesso. Fra i due c’è bisogno di fenomeni di transizione di ogni genere, come di un territorio neutro. Descriverei questo oggetto prezioso dicendo che c’è una tacita intesa per cui nessuno affermerebbe che questa cosa reale sia parte del mondo, né che sia creata dal bambino. E’ inteso che ambedue le cose sono vere: il bambino la crea e il mondo la offre. Questo è il proseguimento del compito iniziale che la madre mette il bimbo in grado d’intraprendere quando con un delicatissimo attivo adattamento offre se stessa, forse il petto, migliaia di volte, nel momento in cui il bambino è pronto a crearsi qualcosa di simile al petto che ella gli offre.
Donald W. Winnicott, La famiglia e lo sviluppo dell’individuo (1965), Armando Armando editore, Roma 1968, p. 188-189
Fin da quando si viene al mondo, la prima forma di rapporto è conflittuale, perché è esperienza dura quella di adattarsi alla realtà. Ed è per questo che gli “oggetti transizionali” (cioè oggetti reali carichi di investimenti affettivi) aiutano l’adattamento: per un verso l’oggetto allontana, ma per un altro verso avvicina, creando uno spazio di sicurezza che fa da ponte fra la nostra interiorità e il mondo esterno.
Lars sta affidando la sua psiche a qualcosa/qualcuna che è radicalmente diversa: a una figura femminile inanimata che per lui è, invece, molto più reale di ogni altra realtà.
Baldo Lami, su questo passaggio, invita a prestare attenzione al fatto che la nostra anima sopita e congelata deve essere animata e che il superamento del confine fra animato ed inanimato è il frutto di un lungo processo. Il pioniere Winnicott ha elaborato il concetto adatto a capire il nocciolo del problema: l’oggetto transizionale (qui la bambolona Bianca) può aiutare a distinguere la confusa realtà interna di Lars (e anche di ciascuno di noi) dalla minacciosa realtà esterna. Tutto il processo della conoscenza umana, osservo io, si incardina sulla capacità di distinguere e di attribuire a ciascuno e ad ogni cosa la sua funzione. Bianca consente a Lars di proiettare i suoi fantasmi interiori e quando Lars parla con Bianca, in realtà parla di sé.
Il motore di tutta la vicenda è l’amore forte e “prepotente” di Karin, incinta e portatrice di una nuova vita.
Ma in aiuto arrivano altri alleati, come in tutti i racconti che parlano di trasformazione.
Innanzitutto c’è il medico del paese, che ha anche una laurea in psicologia “perché in un posto così isolato potrebbe capitare di tutto ed occorre essere preparati”:
Lei che ha una sua ferita luttuosa, decide di curare Lars prendendosi cura della bambola Bianca ed avvisa i disorientati Gus e Karin che dovranno sopportare di essere presi in giro da tutti. Da brava professionista fa anche una diagnosi: Lars è affetto da una distorsione della realtà. Ma fa di più: cerca di attivare il principio di responsabilità fra i familiari ed i cittadini.
Infatti scopriamo che c’è anche una comunità locale disposta a farsi carico di questa finzione necessaria:
C’è qualcosa di irreale in questa comunità locale buona, disponibile, tollerante. E tuttavia dentro questi gruppi sociali (i lavoratori, i volontari, i fedeli religiosi, gli operatori sanitari) ci sono dei “mediatori”, ossia delle persone che guidano ed accompagnano i processi. Sono importanti queste persone con qualche virtù in più: indirizzano, stimolano, spiegano. Senza mediatori interni ogni comunità locale può rinchiudersi, ma con persone guidate dal principio di responsabilità le cose possono anche andare in altra direzione.
La situazione propiziata dall’etica della cura (psicologa) e da quella della responsabilità, dunque, produce i primi risultati.
Lars comincia a frequentare la casa del fratello e della cognata e anche a mangiare per due:
Il problema irrisolto di Lars è il contatto con gli altri, fino al punto da percepire una carezza o un abbraccio come una ustione:
Eppure, lentamente, comincia ad interessarsi al mondo esterno e a prendere un po’ di distanza dalla pesante concentrazione esclusiva su di sé. Riannoda qualche filo con l’infanzia, porta Bianca nella casetta del bosco in cui si rifugiava da piccolo, è contento e canta:

Addirittura va a giocare a bowling con Margot e riesce perfino a stringerle la mano:
Ogni cambiamento richiede analoghi cambiamenti nelle persone significative che ci stanno vicine. Se cambia una persona, cambia anche la qualità della relazione fra le persone. I due fratelli devono rielaborare il loro rapporto, devono chiarirsi e capire cosa è successo a loro, dopo la morte della madre e l’allontanamento di Gus dalla famiglia. Se cambia l’Uno, cambia anche l’Altro. I fratelli cominciano a dipanare quel nodo usando lo strumento delle domande e quello delle risposte. L’intenso dialogo si svolge nella cantina adibita a lavanderia:
Anche a Margot succede qualcosa. Un collega le “impicca” il suo orsacchiotto transizionale e Lars, che è sulla strada della trasformazione psicologica, si impegna in un divertente compito di rianimazione del peluche che comprende massaggio cardiaco e respirazione artificiale. Qui si comprende che entrambi comunicano attraverso l’oggetto transizionale, che si presta pazientemente a rappresentare i loro vissuti e ad elaborare le loro lente manovre di amorevole avvicinamento:
Lars è arrivato all’ultima tappa della trasformazione dolorosa. La felicità della sua vicenda con Bianca coincide con la percezione del dolore che si esprime con il senso del soffocamento. “Respira profondamente” gli dice la psicologa:
Entra in conflitto con Bianca e litiga con lei (in realtà con se stesso):
E’ arrivato il momento in cui Bianca “si ammala”:
Sta morendo una parte di Lars. E ogni morte è dolorosa.
Cresce la rabbia:
Ma si manifesta anche l’amore di sé e per quello che si abbandona, poiché in ogni cambiamento c’è un taglio che fa male. La scena del bacio è struggente, perché per rinascere occorre abbandonare qualcosa che si è profondamente amato:
Ma ormai il processo è avviato e si deve concludere con una specie di sacrificio purificatore. Qui la cinepresa usa il criterio del pudore, sta sulla distanza, quasi che noi spettatori partecipi dovessimo rispettare il sacrificio di Bianca:
Le scene finali parlano del rito: ci vuole un momento in cui la comunità si possa raccogliere coralmente nella riflessione collettiva della vicenda personale di Lars. E lui potrà sia piangere che ridere negli stessi istanti:
E sulla tomba di Bianca (in realtà sulla tomba di quello che è morto di Lars) si apre un nuovo destino intersoggettivo: