Dizionarite
Ossia patologia grafopsichica da uso compulsivo del dizionario allo scopo di capire cosa vogliamo dire con le parole.
Prisma mi ha contagiato con la sua dizionarite.
L’esercizio è questo:
antipolitico: 1. che è avverso o estraneo alla politica; 2. che è contrario a una saggia e prudente politica
Alfio Mastropaolo, Antipolitica alla origine della crisi italiana, L’Ancora del mediterraneo, p. 29-31:
versione aggiornata di quell’antico fenomeno, pur sempre di vaga e ardua definizione che è il populismo; il quale, a sua volta, è innanzitutto appello al “popolo”, e in nome del “popolo”, contro il sistema consolidato del potere e contro i valori dominanti.
Tre sono le componenti essenziali dell’appello populista: una struttura dell’argomentazione, uno stile (e una strategia), ma anche una paradossale ideologia.
L’argomentazione populista esalta il senso comune dell’uomo della strada, la sua superiorità morale e la sua innata saggezza, e sostiene l’esistenza di soluzioni semplici anche per i problemi più complessi. Questi ultimi sembrano tali solo perché l’establishmentadopera un linguaggio inaccessibile per escludere il cittadino comune, e perché su tali problemi proietta le proprie divisioni e i suoi interessi particolari, che nulla hanno a che vedere con quelli del popolo reale.
Sul piano dello stile, il populismo pretende di esprimere opinioni, sentimenti e umori dell’uomo della strada, ma in realtà punta a mobilitarne i rancori e la disponibilità alla protesta. L’ideologia populista, ferma restando la sua vaghezza, si fonda sull’etica del produttore, sull’esaltazione dello sforzo individuale e del contributo produttivo dei singoli alla comunità, considerando al contempo con ostilità gli assetti economici e politici esistenti.
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Tale ideologia non vieta al populismo di caratterizzarsi per la sua più assoluta plasticità e inconsistenza programmatica. A seconda delle circostanze, i populismi – giacché del populismo esistono molteplici varianti – sono protezionisti o liberisti, sostenitori dello Stato sociale o strenui avversari della sua esosità fiscale. Non solo, ma vi sono populismi sia di destra, sia di sinistra, accomunati dall’avversione per ogni classe dirigente, politica, economica, intellettuale che sia, cui essi contrappongono – rozzamente, ma con chiarezza – l’essenza stessa della democrazia, ovvero il popolo sovrano, di cui romanticamente esaltano le virtù, insieme all’intrinseca giustezza delle sue volontà, e al quale vorrebbero restituire il potere usurpato dagli oligarchi dell’establishment.
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Evocare il popolo sovrano, enunciare il principio secondo cui «il popolo ha ragione», è di gran lunga più agevole che non persuadere i cittadini delle complesse e laboriose alchimie di un modello come quello rappresentativo liberale, che ritiene saggio distinguere tra titolarità ed esercizio della sovranità, per il quale la volontà popolare non si costituisce unitariamente nel momento elettorale, bensì attraverso una faticosa opera di composizione, e che intende pure proteggere la democrazia da se stessa e dai propri eccessi.
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