«L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà:se ce n’è uno è quello che è già qui,l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiano stando insieme.
Due modi ci sono per non soffrirne.
Il primo riesce facile a molti:accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più.
Il secondo è rischioso ed esige attenzione e approfondimento continui:cercare e saper riconoscere che e che cosa,in mezzo all’inferno,non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».
ITALO CALVINO, in Le città invisibili, Einaudi editore, 1972, pagina 170
L’ha ribloggato su tizianaruggierofotografie.
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quella Calvino non va assolutamente scambiata per una tesi minimalista.E’ lotta,d.isperata ma lucida, contro l’entropia , il nome fisico del nostro inferno. Ha avuto un grande precursore : Leopardi; ha avuto un grande alleato e collaboratore: Primo Levi; dall’inizio (dalla pubblicazione del 1947 di Se questo è un uomo, ed. Da Silva) , alla fine quando ha mobilitato Primo Levi nella decifrazione della cripto-chimica della piccola cosmologia portatile di Queneau.Sarebbe molto importante ridare un minimo di attenzione a questo tema.
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