Chiedeva la piattaforma Splinder alla apertura di questo Blog:
Rispondevo:
2° metà del 900-later than never. “Perché vale la pena di vivere? E’ un’ottima domanda… Be’, ci sono cose per cui vale la pena di vivere … Per esempio, per me, direi … tutta la musica e le interpretazioni di Nina Simone … la voce di Ray Charles, quasi sempre … Il ballo di Al Pacino in Scent of a Woman … le note di John Lewis quando volano nelle fughe di Bach … Louis Armstrong, l’incisione di West and Blues del 1928 … i film di Sergio Leone … i racconti di Stephen King … gli azzurri e i gialli di Van Gogh … i quadri di Peppo Spagnoli, che dimostra che si può fare molto anche da luoghi piccoli … il definitivo e prospettico Logos-Pensiero di Silvia Montefoschi … il minimalismo, perchè sono minimo … su tutti e tutto il sorriso di Luciana …. … e poi anche … e ancora …” (rielaborato su suggestione di Woody Allen in Manhattan, con qualche cambiamento).

Alberto Cima intervista Peppo Spagnoli
In Jazz Magazine marzo – aprile 2009-05-08
Da quasi 27 anni l’etichetta varesina propone il migliore jazz italiano – senza dimenticare però quello internazionale -, di cui da sempre è vetrina attenta e stimolante, che apre ampi spazi ai giovani e alle idee innovative. Grazie in primis al suo lungimirante presidente.
Il 4 dicembre 1982 nasceva, ad Arcisate (Varese),l’etichetta discografica Splasc(H) (si legge come si scrive), acronimo di “Società Promozione Locale Arte Spettacolo e Cultura”, con l’obiettivo di favorire, senza alcun fine di lucro, attività educativo-culturali. Artefice dell’iniziativa, unitamente ad alcuni amici, Peppo Spagnoli, ancora oggi ne è il presidente, grande amante della musica afroamericana, sua passione sin dagli anni giovanili. Senza di lui – persona squisita, gentile e sempre disposta al dialogo – non avremmo una delle case discografiche più significative, non solo in ambito nazionale, tesa a valorizzare il jazz italiano in ogni suo aspetto: dalla fertile vena lirica alle atmosfere solari, dalla tecnica all’espressione, sino alla padronanza armonica. A oggi sono circa ottocento i dischi prodotti da questa infaticabile etichetta, che raccoglie il meglio del nostro panorama jazzistico, dando spazio anche alle figure emergenti, ai giovani che potranno lasciare un solco importante nella sua evoluzione.
Particolare caratteristica della Splasc(H) è pure la veste grafica, moderna e accattivante. Molte copertine sono state ideate e dipinte direttamente dallo stesso Spagnoli, che si è occupato sino a poco tempo fa di disegni per tessitura, sua fonte di reddito principale.
Lo abbiamo incontrato, per fare il punto della situazione di questi quasi 27 anni di attività discografico-musicale e per farci dire come è cambiato in questi anni il mondo del jazz italiano.
“Certamente in meglio“, ci dice con il suo fare sempre amichevole. “Ha assunto un ruolo fondamentale anche in ambito internazionale. Abbiamo musicisti di alto livello, oggigiorno fra i migliori in assoluto, americani compresi. Abbiamo giovani talenti di elevato spessore artistico, per cui non è più un jazz italiano, è jazz.“
Qual è oggi l’orientamento jazzistico europeo?
“Non c’è una rivoluzione o un’evoluzione eclatante, com’è avvenuto negli anni 60/70. Si rimane in buona parte ancorati all’hard bop. Molti musicisti italiani, ad esempio, si riconoscono in questo stile. Penso che oggi non si possa più dire “il jazz italiano fa” oppure “il jazz americano fa”, ormai il jazz è universale. I nostri artisti (italiani ed europei) sono molto attenti e sensibili, per cui si evolvono naturalmente in linea con quello che succede nel mondo. Il jazz europeo, italiano e francese in particolare, ha raggiunto un livello elevatissimo. Restano sì i caratteri, ma nel dettaglio quello che succede in questi Paesi è lo stesso che accade in tutto il mondo.”
Quali sono i giovani emergenti?
“Ce ne sono tanti e non vorrei dimenticarne qualcuno. Però posso ricordare in questo momento Felice Reggio (trombettista, nonché direttore e arrangiatore), Max Tempia (organista), Massimo Serra (batterista), Duccio Bertini (sassofonista e clarinettista), Vincenzo Iacono (chitarrista), Pino Jodi-ce (pianista), Giuliana Soscia (fisarmonicista e cantante), Stefano D’Anna (sassofonista) e la sassofonista Helga Planken-steiner, che suona spesso in gruppi italiani
Quali sono state le maggiori difficoltà che ha dovuto superare in questi ultimi anni di attività?
“In primo luogo sicuramente difficoltà di carattere finanziario, dovute al calo di vendite dei ed. Non si possono stampare meno di 500 copie per ogni disco, poiché la produzione in un certo senso è fissa, ma la vendita è molto più lenta, si produce, ma non sempre si vende o si vende poco. Adesso si scarica quasi tutto da Internet.”
C’è ancora, secondo lei, un futuro per il Cd?
“Credo di sì, anche se si tende ad acquistare sempre meno musica con i supporti tradizionali. Come dicevo la musica prevalentemente si scarica. Per i giovani stare al pc è come un gioco; lo sanno utilizzare meravigliosamente e non trovano le difficoltà che incontrano quelli della mia generazione.”
Però si può dire che molti grandi jazzisti italiani abbiano mosso i primi passi proprio con la Splasc(H)…
“Non i primi passi, ma il primo passo. Il primo disco, Lunet,era stato registrato il 17 marzo 1982 con l’European Quartet di Gianni Basso, a cui era seguito il Guido Manusardi Quintet in Bridge Into The New Generation. Nel 1984 aveva visto la luce Streams con Tiziana Ghiglioni e il suo Sextet. È stata una delle prime al mondo a cantare brani di Thelonious Monk. Qui appariva, in veste di direttore artistico e pianista, l’indimenticato Luca Flores. Persino Paolo Fresu (Ostinato,1985) è stato tenuto a battesimo dalla Splasc(H). Mi piace poi ricordare anche Pietro Tonolo, Pino Minafra, Stefano Battaglia, Roberto Ottaviano, Attilio Zanchi, Riccardo Fassi, Tiziano Tononi, Tino Tracanna, Paolino Dalla Porta, Umberto Petrin, Antonello Salis, Arrigo Cappelletti… So di non poterli citare tutti, e questi sono solo alcuni.”
Flores è stato una punta di diamante della sua etichetta. Come ricorda questo pianista prematuramente scomparso?
“Lo ricordo con grande affetto. Ero rimasto molto colpito dalla sua arte e dal suo modo di suonare. Notevoli i suoi arrangiamenti e l’orchestrazione, ottimo come pianista. In lui non vi era solo tecnica, ma anche emozione. In qualche modo, con la sua produzione artistica, è rimasto legato a me. Ricordo ancora, come se fosse oggi, il suo piano solo prodotto poco prima di suicidarsi. “How Far Can You Fly” è una delle sue composizioni straordinarie. Dopo un periodo di oblio è ritornato in auge grazie al libro scritto da Walter Veltroni.”
Quale ricordo ha invece di Giancarlo Prina, indimenticabile batterista?
“Non ho un ricordo diretto, con me infatti non ha mai inciso alcun disco a suo nome, ma era presente come batterista in vari gruppi. Mi ricordo l’ultimo ed, bellissimo, con il pianista Giuseppe Emmanuele. Prina è stato indubbiamente un grande batterista, un artista eccellente, fuori dalla normalità. Era già un grande, lo si sentiva nel tocco, sin dagli esordi, già molto apprezzato.”
La Splasc(H) si è sempre caratterizzata per essere, in un certo senso, la portavoce del nuovo jazz italiano. Ancora oggi l’etichetta mantiene questa prerogativa?
“Senz’altro. È vero, è stata la portavoce del jazz italiano e continua a esserlo. Carattere particolare dell’etichetta è quello di offrire una musica fresca, nuova, sempre in divenire. Direi alla pari con le espressioni e le manifestazioni che caratterizzano questa musica in tutto il mondo.
” Ricorda qualche aneddoto?
“Siamo nel 1983: in quel periodo sognavo il jazz anche di notte. Si sposava mia figlia Simona e, per l’occasione, avevo pensato a un evento jazzistico. Avevo così invitato Basso e Manusardi a esibirsi in un locale di collina, un ristorante a Montallegro, vicino Varese. Era il primo incontro per tutti e due e si temevano, ognuno aveva “paura” dell’altro. Improvvisamente si erano trovati insieme a suonare, senza avere fatto delle prove. Era tutto improvvisato, nel miglior stampo della musica jazz. Finiva un assolo e subito ne cominciava un altro, senza tregua: ne sono uscite tante cose interessanti. Nacque così il disco Maestro+Maestro = Exciting Duo, inciso a Induno Olona il 20 febbraio 1983.”
Avete però dato vita anche a una collana di musica straniera…
“Sì. È quella che ho denominato “World Series”, ossia una collana in cui ci sono musicisti americani e comprende un centinaio di titoli. Grandi sono gli interpreti: da Anthony Braxton e Dave Douglas a Butch Morris, da Sheila Jordan a Tim Berne, da Henry Texier e Mick Goodrick a William Parker, da Matthew Shipp a David S. Ware. Di grande interesse è anche la “Contemporary Series”, in cui la figura di Andrea Rossi Andrea emerge in modo evidente.”
Qual è l’obiettivo della “Splasc(H)” nei prossimi anni?
“È triste doverlo ammettere, ma il primo obiettivo è sopravvivere. Ce in realtà una crisi del disco che fa paura. Tutti sperano che possa essere superata, ma… Dobbiamo resistere, resistere, resistere. Sono certo che il ed, o qualsiasi possibile evoluzione tecnica, non sparirà, come non spariranno i libri, Ma forse più che una certezza è la speranza di chi, su dischi e libri, ha fondato la propria vita. Bisogna attenersi ai fatti: il disco è crollato; e come dicevo prima sta imperando il computer. Ed è per questo motivo che la nostra etichetta sarà pronta a breve per riversare la propria musica sulle più importanti piattaforme web. Cominceremo sicuramente dai dischi ormai esauriti da tempo, la cui richiesta è ancora molto viva, ma contiamo, con il consenso dei musicisti, di estendere questa opportunità a tutto il catalogo.”
C’è qualche progetto, nel quale crede, che uscirà prossimamente in Cd?
“Sì. È un disco di Ghiglioni che canterà composizioni di Mal Waldron. Atteso da parecchio tempo, quest’anno finalmente uscirà. Sarà un’occasione speciale perché coinciderà con i trentanni di carriera di Tiziana, un grande traguardo per una delle vocalist più importanti del panorama del jazz italiano. Penso che sia una prova superba. Waldron è un compositore eccellente, la sua musica non è semplicissima, ma la voce di Tiziana, con l’ottima interpretazione, lo ha trasformato in un caposaldo.”