Il primo ghettodi Paolo Salom |
La data, innanzitutto: 29 marzo 1516. Dunque oggi fanno cinquecento anni esatti. Da cosa? Dall’apertura — ma forse dovemmo usare il termine contrario, «chiusura» — del primo ghetto ebraico della Storia, quello di Venezia. L’etimologia della parola è nota: nel quartiere, la contrada di San Girolamo, un tempo era presente una fonderia, ormai in disuso («geto») che diede il nome a un’istituzione prossima a diventare una costante in tutta l’area del Mediterraneo. Insomma, gli ebrei, considerati popolo senza terra e senza cittadinanza (dunque privi di diritti), venivano confinati in un’area specifica della città dalla quale non potevano uscire se non con permessi particolari.
E comunque i ghetti erano circondati da mura e chiusi da cancelli: cancelli che venivano serrati la sera e aperti soltanto all’alba. Questa la vicenda di secoli degli ebrei d’Europa, che ebbe fine soltanto con l’emancipazione frutto dell’Illuminismo e delle libertà civili che man mano permearono la vita delle nazioni. Le porte e le mura del ghetto di Venezia furono abbattute nel 1797, con l’arrivo in Laguna dei francesi «rivoluzionari». L’ultimo ghetto a uscire dalla Storia? Quello di Roma. Soltanto nel 1870, con la Breccia di Porta Pia, gli ebrei che vivevano nella capitale del cristianesimo da oltre 2000 anni poterono uscire alla luce del sole: e diventare cittadini.
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