mi ricordo LA NOTTE, il quotidiano che leggeva mio padre, 8 novembre 2019

Il 6 dicembre 1952 nacque la Notte, quotidiano del pomeriggio fondato e diretto da Nino Nutrizio, cronista sportivo poi diventato tuttologo, cui va subito dato il merito di aver inventato il giornalismo popolare, come dovrebbe essere sempre il giornalismo che non si rivolge alla Accademia della Crusca bensì alla gente comune o, meglio, a tutti, belli e brutti. Nelle intenzioni dell’editore, Carlo Pesenti, grande industriale bergamasco, doveva essere un foglio elettorale, cioè destinato a sostenere un partito (quello liberale ostile al comunismo in crescita). Insomma, una pubblicazione poco più che stagionale, quella dei comizi che all’epoca erano decisivi circa la sorte delle elezioni, vista l’assenza della televisione e di altri mezzi di comunicazione attualmente in voga. Uscirono vari numeri e non suscitarono clamore. Ma, un paio di mesi dopo, il pubblico, specialmente milanese, venne scosso dalla curiosità di leggere quelle strane pagine. Perché? Era attratto dai titoli, totalmente innovativi, efficaci, disinvolti e composti con un linguaggio colloquiale e invogliante. Segnalavano gli ultimi fatti di cronaca anche sportiva, i delitti, i fenomeni di costume. Alcuni fogli disinvolti e disinibiti che incontrarono in fretta il gradimento delle masse. Col trascorrere del tempo La Notte raggiunse una tiratura ragguardevole, pertanto sopravvisse alle consultazioni politiche e si radicò nel mercato come una presenza fissa, altro che vita breve e finalizzata a indirizzare il voto. Passano gli anni e il capolavoro dell’immenso direttore, inizialmente sottovalutato, domina non solo nel capoluogo lombardo bensì in ogni angolo del Nord, grazie a redazioni sparpagliate nel Settentrione. Trascuro i particolari, però ricordo che le vendite si aggiravano intorno alle 150 mila copie, parecchie per una edizione pomeridiana. Ogni dì Nino scriveva un fondo che si distingueva per efficacia e semplicità, era bevibile in cinque minuti e costituiva un momento imperdibile di lettura.

Negli anni Novanta, con l’avvento dei computer e delle diavolerie tecnologiche, i quotidiani della sera chiusero i battenti e pure la Notte venne uccisa con mio forte dolore, dato che ci avevo lavorato con somma soddisfazione dal 1969 al 1974. Nutrizio era morto prima della sua creatura meravigliosa e si risparmiò la tragedia della serrata. Oggi, a distanza di lustri dal luttuoso evento, tre signori in gamba hanno dato alle stampe un volume rievocativo degli antichi fasti della Notte, intitolato Ultima edizione e sono loro grato. Si tratta di Salvatore Garzillo, Alan Maglio e Luca Matarazzo, i quali, terrorizzati dalla retorica che avrebbe infastidito il mitico direttore, hanno raccolto in 350 pagine una miriade di fotografie che segnano la storia di un paio di generazioni e quella del miracolo cartaceo. L’iconografia la dice più lunga delle parole e il libro è un documento a tratti agghiacciante e a tratti commovente, che le persone di una certa età gradiranno, giacché evoca ricordi toccanti nonostante siano un po’ ingialliti in quanto abbastanza antichi. Al compito certosino degli autori vorrei soltanto aggiungere qualche parola di gratitudine dedicata a Nutrizio. Fu lui ad assumermi e a darmi la possibilità di diventarne allievo. Quando mi presentai nel suo enorme ufficio in piazza Cavour, egli era seduto alla scrivania indossando una giacchetta di lavoro blu chiaro. Mi fece accomodare su una sedia e mi scrutò come fosse un medico davanti a un paziente psichiatrico. Si informò a proposito del mio scarso curriculum e concluse: «Se non siete (dava del voi) stato inglobato nell’organico de L’Eco di Bergamo, dove avete collaborato, mi viene il sospetto che siate stupido. Poiché però non mi fido dei giudizi altrui voglio mettervi alla prova, tre mesi. Se supererete l’ostacolo, entrerete qui in pianta stabile, altrimenti vi converrà cambiare mestiere nel vostro interesse e anche nel nostro, che di cretini ne abbiamo già abbastanza».
Ero incerto se piangere o esultare. Comunque iniziai la fase sperimentale e dopo aver scritto un articolo su un fatto di sangue accaduto a Bergamo, l’indomani il direttore mi telefonò. La sua voce alla cornetta mi raggelò, temetti il licenziamento e attesi tremando la sentenza. Egli invece mi disse che avevo in anticipo superato l’esame per cui mi potevo considerare degno di entrare fisso alla Notte. E aggiunse: «Non montatevi comunque la testa perché siete e sarete sempre soltanto un cronista». Aveva ragione e lo ringraziai.GLI IMPROPERI
Un lustro più tardi fui convocato al Corriere d’informazione che era stato saccheggiato dal nascente Giornale di Montanelli. Il capo, Gino Palumbo, mi offrì un posto e lo accettai, poiché il Corriere aveva un fascino irresistibile, almeno per me provinciale. Allorché comunicai a Nino la mia intenzione di cambiare occupazione, questi mi coprì di improperi, tra cui “traditore”. Rimasi male e uscii dal suo studio a capo chino, forse mi sfuggì una lacrima. Quando Nutrizio scomparve ero direttore del Giornale, successore di Montanelli. Mi fu recapitato un pacchetto che conteneva una penna, quella con la quale il direttore della Notte vergava ogni mattina il suo pezzo. La conservo come una reliquia. Un bel dì incontro Angelo Rizzoli, già proprietario del Corriere, e facciamo quattro chiacchiere. Gli dico che Nutrizio non appena gli notificai che me ne andavo, mi insolentì. Angelo rise e mi informò che il mio nome alla sua famiglia era stato dato proprio da Nino. Rimasi di stucco. Da questo episodio credo emergano la personalità e bontà d’animo di uno che ha insegnato a tanti colleghi il mestiere. Mi piacerebbe riabbracciarlo.

Vittorio Feltri

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