sul TEMPO CHE RESTA, in ricordo di ANGELO RICCIO dello Studio APS di Milano. Da una traccia dei tempi del blog Splinder. Primi anni 2000

La relazione di Maurizio Migliori su “tempo che resta” metteva in rilievo una cosa che si può fare, che ciascuno può ( suo modo, con il suo stile, con la particolare curvatura che ha dato al suo esistere) fare: dare un segno di sé, lasciare qualcosa a chi sopravvive e può intercettare questo segno per, a sua volta percorrere il cammino.

La sincronicità mi ha di nuovo offerto un prodotto comunicativo molto congruente al tema.

Proprio questa settimana mi è arrivata una rivista che ha a che fare con la mia professione e che è interamente dedicata ad un “fondatore” di un gruppo che ha dato vita ad una associazione e ad una “impresa” che lavora sulla formazione nelle organizzazioni.

Questo fondatore è morto. E il gruppo ha voluto perpetuarne la memoria con un numero unico di questa rivista. Direi un modo che ha mescolato con amore e partecipazione sia la dimensione amicale che quella professionale.

Stralcio dai vari interventi una serie di ricordi, memorie, valorizzazioni personali che si intrecciano con armonia alle questioni che hanno tenuto impegnato me e i vari visitatori del post di questa settimana.

A me pare che ci stiano proprio bene qui. Sono una serie di estratti dai verbali di una giornata di riflessione, dopo 40 giorni dalla sua morte.

E’ passato più di un anno dall’uscita del numero di Spunti de­dicato a un tema a noi molto caro: la formazione. Siamo riu­sciti a stamparlo a fine ottobre 2006, appena in tempo perché Angelo potesse vederlo e gioirne come di tutte le cose che po­tevano contribuire a valorizzare ciò a cui dedicava la sua vita professionale. Pochi giorni dopo, il 9 novembre 2006, Angelo ci ha lasciati. Con leggerezza e intensità come sempre ha vis­suto. Avendo vicino i suoi familiari e alcuni cari compagni di viaggio.

Così, da un giorno all’altro, abbiamo incontrato ciò che non si riesce mai a immaginare completamente, la perdita di una persona cara.

Dolore e attonimento sono i sentimenti che ci hanno attraversato. Per restare ancora con lui, per accettare la sua scomparsa, per lenire le nostre lacerazioni, nel successivo mese di dicembre, i suoi colleghi, la moglie, i figli, e molte al­tre persone con cui Angelo aveva lavorato si sono ritrovati un pomeriggio in Studio. E’ stato un incontro commovente, dove la tristezza per la sua mancanza è stata in certi momenti atte­nuata dal ricordo della sua allegria e della sua prorompente vi­talità.

Abbiamo parlato del formatore, del consulente, del professore, del padre, del collega, del compagno, dell’amico; ci siamo raccontati pezzettini di vita trascorsi con Angelo Riccio.

Nei mesi successivi ci siamo detti che dovevamo dedicare ad Angelo un numero di Spunti per rendere ancora più visibile l’affetto, la stima e la riconoscenza che lo circondava. Voleva­mo fare qualcosa per ricordarlo e farlo ricordare, volevamo te­nerlo ancora con noi nel nostro tempo. E’ stato molto difficile riprendere i racconti di quel pomeriggio, rileggere i suoi scritti e immaginarsi come potevamo mettere insieme qualcosa che potesse trasmettere non solo il sapere di Angelo ma anche lo spirito con cui prendeva le cose della vita. Poco per volta, av­vicinandoci e allontanandoci da questa nuova realtà, ci è ve­nuta voglia di costruire un numero di Spunti capace di raccon­tare qualche frammento della sua storia e di rappresentare contemporaneamente quella sua naturale propensione a non star fermo, a lasciarsi stupire dall’imprevedibilità dell’esistenza.

Ricordando la sua immediatezza e il suo appassionato attac­camento alla vita abbiamo così deciso di aprire questo nume­ro con una poesia di Nazim Hikmet che gli era molto cara: La vita non è uno scherzo. Una poesia cara ad Angelo perché ri­specchiava i suoi sentimenti per la vita e il suo amore per gli ulivi che negli ultimi anni coltivava con grande dedizione. Se­guono, raccontate da colleghi e clienti, diverse storie di espe­rienze lavorative in cui l’intensità dei rapporti professionali e umani danno la misura delle competenze e delle capacità di Angelo. Capacità di ascolto e comprensione, acutezza inter­pretativa, intuizione, sensibilità, profondità, ironia, vicinanza, presenza… parole che in questi racconti dicono cosa ha rap­presentato, per chi lo ha conosciuto, il suo generoso apporto. …”

[guarda il caso la poesia di Hikmet è la stessa che ha scovato e proposto aliceydulcinea nel commento]

. che cosa ha segnato e insegnato l’incontro con lui per me stessa ma forse anche per altri colleghi e persone che hanno partecipato a cicli e seminari: credo che in particolare abbia indicato la strada dell’avere pazienza, dell’accostarsi con delicatezza anche ai comportamenti più fastidiosi e insensati, senza pretendere e senza perseguitare, la strada del riconoscere continuamente quanto sono importanti le relazioni tra le persone se si riesce a vivere fino in fondo il momento dell’incontro : e se si ha fiducia nelle persone, nei gruppi, nelle risorse che i gruppi possono mobilitare, perché è su questa strada che si avvicinano anche aspetti penosi, che sembrerebbero intoccabili e diventano prendibili solo se non ci si sente inchiodati ad essi, giudicati e colpevolizzati.

E’ su questa strada che possiamo ancora cercare di continuare e migliorare il nostro conoscere e il nostro agire.”

“….

Anch’io vorrei avviarmi a chiudere ricordando qualche cosa che Angelo mi ha insegnato; può apparire strano ma credo che soprattutto mi abbia permesso di imparare che la vita non è uno scherzo, che la vita bisogna prenderla sul serio. Con il modo un po’ ironico che aveva di prendere la vita sul serio An­gelo comunicava, richiamava ciascuno di noi al fatto che non abbiamo null’altro da fare che vivere. E prendere la vita sul se­rio significa che a 60 anni ci si può mettere a piantare degli uli­vi, non per lasciarli in eredità ma perché ci si affida alla vita, non alla morte anche se la morte fa paura.. Nelle immagini che ho evocato all’inizio, rappresentavo Ange­lo addormentato.

Per associazione di idee mi è venuta in mente una breve poe­sia di W. Szymborska e concludo con le sue parole:

Ritomi.

E ritornato. Non ha detto nulla.

Era chiaro però che aveva avuto un dispiacere.

Sì è coricato vestito. Ha messo la testa sotto le coperte.

Ha ripiegato le gambe.

E’ sulla quarantina, ma non in questo momento.

Esiste, ma solo quanto nel ventre dì sua madre,

al di là di sette pelli, al riparo del buio.

Domani terrà una conferenza sull’omeostasì

nella cosmonautica metagalattica.

Per il momento si è raggomitolato, dorme.”

“…. E stato guida illuminante nell’analisi delle situazioni, attento ad incoraggiare responsabilità e autonomia, scoraggiando dipen­denze e connivenze. Il suo modo di ascoltarci lue èva speri­mentare, oltre a un sicuro contenimento delle ansie di lavoro, riverberi più intimi e personali. Si aveva la certezza che al biso­gno si sarebbe potuto parlare con lui di tutto guanto oppri­messe o confondesse l’anima e si sarebbe ricevuto un riscontro schietto, onesto, realistico, stimolante. I suoi interventi erano incisivi, vigorosi, autorevoli, marcati dal timbro di voce; vi si respirava franchezza, rettitudine, correttezza, integrità profondità. Rigoroso negli aspetti di metodo, setting, puntualità e precisione, era altrettanto capace di sdrammatizzare con grande senso dello humor, rassicurare, dare fiducia e incoraggiamento . Ha insegnato senza enfasi, con spirito fraterno e onesta trasparenza, un modo di riflettere, di ragionare sul nostro operare e vivere con comprensione per le debolezze umane e per i limiti di ciascuno sul piano professionale, ma non accondiscendente di quell’intima e ignota oscurità che è presente in noi stessi e che portiamo nei gruppi, nelle organizzazioni, nelle istituzioni di cui facciamo parte; qualcosa, a volte, di irriducibile ma non per questo tale da esimerci dal lavorare su di noi per contenerne gli effetti e le ricadute negative nel rapporto con gli altri e nell’accettazione di noi per quello che siamo e possiamo essere…..”

.Per quasi vent’anni abbiamo realizzato diversi per­corsi formativi con operatori dell’area sanitaria e del sociale e quello che ci è sembrato in lui più significativo è la capacità di mettere insieme grande competenza e grande umanità: una presenza rassicurante ma senza facili semplificazioni. Ed è que­sto che ci ha permesso di essere noi stessi, accettandoci e avendo la possibilità di evolvere al tempo stesso. “Tenere insie­me distinguendo” è una locuzione che Angelo Riccio spesso ri­chiamava nel rivolgersi agli operatori, accompagnando con lucidità rasserenante l’analisi delle situazioni entro le quali egli si calava. Si rapportava al gruppo degli operatori in modo pre­ciso e con l’atteggiamento volto continuamente alla ricerca di soluzioni attraverso la costante e paziente ricomposizione, do­ve gli atteggiamenti professionali degli operatori, anch’essi og­getto di cura e attenzione, erano ricondotti significativamente in una relazione di reciprocità nella complessità dell’organiz­zazione del servizio. ….

Ecco, era davvero emblematica la sua capacità di far osserva­re ciò che stava accadendo. Così, a poco a poco, si dispiega­va davanti a me la considerazione dei limiti dell’intelletto a ca­pire a fondo se stessi e gli altri; ricordo la mia sorpresa, allor­ché Riccio, con la leggerezza che gli era propria disse, nel gruppo, aspettando con ironia quale effetto avrebbe potuto crearsi “due per due non fa quattro”. Richiamando quel me­morabile passaggio, in cui il protagonista di “Memorie del sot­tosuolo” di Dostoevskij, dice: “sono d’accordo che, due per due: quattro, sia una cosa eccellente, ma se bisogna proprio farne le lodi, anche due per due: cinque, è talvolta una cosetta proprio graziosa” ….”

“…. Penso sia molto difficile ritrovare queste caratteristiche, che consentono ad una persona di porsi in un contesto in maniera così leggera e così profonda nello stesso tempo, con tutte le sue contraddizioni. Penso non sia stato facile per moglie e figli essere vicini a lui che era una persona molto creativa e molto libera, un ricercatore e quindi sempre in movimento. Una per­sona che ho avuto modo di accostare anche nella malattia co­me medico. Per me è stata un’esperienza molto faticosa, per­ché conoscere la storia di una morte annunciata è una cosa sempre molto difficile. Ho colto in lui una grande capacità di gestire il presente con la consapevolezza della morte a fianco. Quindi mi piace ricordare la sua capacità di stare in questa storia annunciata, con la consapevolezza di esserci dentro e, comunque, con la ricerca di leggerezza e simpatia e con la ca­pacità di aiutare gli altri anche nei momenti per lui più difficili. Mi torna ancora alla mente la sua capacità di regista di teatro, di attore, perché questa dimensione era presente in lui in ma­niera molto forte. Vedevo che traeva linfa vitale dallo stare col gruppo e dal condurre il gruppo. A volte ci accomunava, nei nostri discorsi, il fatto di provenire da famiglie numerose. Lui era molto coccolato dalle sorelle e sapeva perciò capire molto bene le donne, e siccome le donne nelle organizzazioni a vol­te soffrono, a volte ridono, ma hanno tutte le loro difficoltà, sentirlo vicino ci faceva sentire sostenute dal gruppo…..”

mi domandavo se valeva la pena che leggessi questa “cosa” che ho scritto, perché ha una certa amarezza .

L’amarezza di uno che ha conosciuto Angelo all’inizio del suo percorso in Italia e… lo ri-incontra al capolinea.

L’ albergo Roma a Castelfranco ha tovaglie bianche

Tu dai del tu alla padrona

assieme beviamo un pinot bianco

alla nuova biblioteca facciamo un seminario

C’è un aura di novità

Siamo nel veneto contadino.

Sapevo di un Sartor

che durante la guerra

era partito da qui in bicicletta

per la Germania ad imparare

come insegnare ai contadini.

E’ lui che vi ha chiamato.

La tua compagna parla francese

fa il tuo lavoro

// tuo ufficio da sulla piazza.

Un piccolo depliant bianco

scritte bleu.

Porta la sigla: Educazione

e Formazione permanente.

Parla di gruppi,

di comunicazione

di lavoro sull’esperienza

di posti limitati.

E’ quello che abbiamo cercato

di fare a Milano

E’ quello che abbiamo

pensato di portare

in una università nuova,

gridandolo ai professori,

e al preside barricato

nel suo rettorato.

A tutti quelli che non sanno

che c’è un modo diverso

di guardare al mondo,

alle persone.

Abbiamo scoperto i gruppi

che la classe è un gruppo

che il gruppo ha in sé tutta la storia

dell’umanità.

E ha passioni profonde.

E svela verità indicibili

che c’è un modo

diverso di sedersi nella stanza

diverso di iniziare

diverso di parlarsi,

di guardarsi.

Di conoscersi, come mai

avevamo osato

con chi ci stava vicino.

Siamo affascinati da

queste scoperte

da questa densità del tempo

che trascorriamo

ascoltando, pensando

pensando a come intervenire

nell’intreccio dei silenzi

e dei sentimenti mascherati

Ci sembra di intuire

che questa è la vera rivoluzione

il nostro 68 profondo

che si consuma in

questo piccolo spazio

in cui c’è tutto il mondo

e la rappresentazione

più profonda del disagio

gridato nelle piazze.

Mii piace lavorare

con te. Mi piace

il tuo italiano in cui

parlate, e linguaggi

lontani o stranieri

si confondono in un

eloquio che è solo tuo.

Perché il tuo parlare,

il tuo fare

è traduzione

dei mondi diversi da cui provieni

entro le mura

del piccolo borgo rurale

dove vuoi costruire l’utopia

di un centro

da cui leggere cambiare il mondo.

Con i tuoi amici

a sera ascoltiamo musica

ridiamo,

ti racconto

la mia provincia

le mie appartenenze

e il sogno di un altrove

che l’analisi

ha reso lontano.

Perché abbiamo

imparato che la maturità

è stare là

è andare nella città

misurarci con la città

e Lavorare con la cravatta

e fare come gli altri

sentendoci diversi.

E la città ci assorbe.

Ci divide dentro

separa i nostri mondi

rimanda ad un dopo

che non vedremo mai

perché tutto si ripete

e non ci sono più uscite,

né illusioni

né mondi nuovi

ma solo una folla che cresce

che cresce attorno a noi

fino a che un artigiano

con perizia antica

chiude la nostra storia…

e la apre al ricordo … .”

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