
PIRATE JENNY, Nina Simone, 1964. Con un articolo di Giuseppe Videtti, in il Venerdì di Repubblica, 24 febbraio 2023

Marianela Nuñez che balla su Nina Simone!
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(1) fiori per NINA SIMONE | Facebook
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Live in Rome at Teatro Sistina, 1969
Qui si parlerà della metamorfosi di una canzone.
Ossia di come una canzone popolare, nata in una particolare situazione storica, diventa vent’anni dopo musica d’arte, cioè “musica” senza genere e senza aggettivi.
Per fare una simile trasformazione occorre attraversare un confine e occorre qualcuno che sappia fare dei sortilegi.
Nina Simone (1933-2003) sa fare sortilegi e sa attraversare i confini: I Put a Spell on You, dice il testo di un’altra sua canzone. Lei ha percorso tutti i generi della musica popolare del secondo Novecento: blues, pop, jazz, soul. Eppure lei è inclassificabile in ciascuno di essi.
Ma come attraversa queste linee di confine?
Lei lo fa con l’interpretazione del testo. Nina canta il testo della canzone. Lo trascolora, lo ricolora, lo prende e lo rivolta per catturare ciascuno di noi attraverso la testa, il cuore e la pancia.
È questa la chiave per accostarsi a You’d Be So Nice To Come Home To.
Si tratta di un classico del compositore Cole Porter (1891-1964) che, come molte altre canzoni del tempo, è diventato uno standard, ossia un brano popolare che ha resistito alla prova del tempo e che è stato ri-letto, ri-cantato, ri-suonato migliaia di volte, soprattutto dai musicisti jazz.
La canzone compare nel film d’amore in tempo di guerra Something to Shout About (1943) e si inscrive nell’epoca del trionfo degli standard, ossia delle canzoni di musica “leggera”, spesso provenienti da musical o da spettacoli di Broadway, su cui i jazzisti improvvisano e costruiscono nuovi arrangiamenti. La struttura di queste canzoni si presta facilmente a rielaborazioni jazzistiche, grazie anche alla loro ottima qualità musicale. Sono composizioni agili, dove c’è un recitativo (destinato a delineare la storia raccontata) cui seguono ritornelli melodici sostenuti da ritmi sincopati e ballabili. Sono canzoni basate su meccanismi retorici assai efficaci e seducenti. Nasce qui la distinzione di ruolo fra il compositore (l’autore di un motivo o di una semplice canzone) e l’improvvisatore o l’arrangiatore, che trasformano il pezzo.
Gli iniziatori di questi stili furono Irving Berlin e Jerome Kern, poi ci furono i fratelli George e Ira Gershwin, Richard Rodgers, Lorenz Hart e altri ancora, fra cui, per l’appunto, Cole Porter. Le sue melodie sono lievemente sofisticate e possiedono una raffinatezza che lo pone ad un livello particolare tra gli scrittori di musica leggera. Infatti, le sue combinazioni di suoni sono piene di buon gusto e di eleganza e sa offrire armonie complesse, che ne hanno fatto un autore di fama.
Per apprezzare la metamorfosi realizzata da Nina Simone occorre procedere in forma comparativa.
Si può iniziare ascoltando una prima versione solo strumentale ad opera di Coleman Hawkins e Ben Webster , dove si può ben cogliere la componente swing del jazz. Qui i due giganti del sax interloquiscono fra loro in un caldo fraseggio ben sostenuto dalla base ritmica. L’esecuzione è molto bella e fa sentire il motivo ricorsivo della canzone.
Si prenda poi una seconda versione, questa volta cantata da Helen Merrill, una cantante jazz di nascita croata, ma culturalizzata negli Stati Uniti, che si è fatta notare fin dagli anni Cinquanta in dischi con il trombettista Clifford Brown. Bel ritmo, bella voce: “canto perlaceo, smerigliato”, dice di lei Luciano Federighi.
Oppure si ascolti un’altra classica delle voci afroamericane del jazz: Sarah Vaughan . Gli estimatori di lei hanno detto: grande voce moderna, solenne nei bassi, suadente nei medi, duttile negli acuti. I denigratori (fra cui Frank Sinatra) hanno contrapposto questo giudizio: dizione vezzosamente manierata.
E ora si consideri la versione di un dolente Chet Baker. Il musicista, nella fase della vita più segnata dalla sua biografia, introduce il pezzo e poi gioca di scat con la batteria. Seguono piano, tromba, contrabbasso per assoli. E poi ancora lui a concludere, riprendendo il tema dell’inizio. Sono tutti professionisti del jazz che sanno come impastare gli ingredienti di questa musica. Si ascolta volentieri e si assapora il profumo dell’era dello swing.
Ma si potrebbero anche sentire le interpretazioni di Frank Sinatra e di di Nancy Wilson e altre ancora.
Va notato che ci sono vari elementi che accomunano queste letture e riletture: lo stile leggero, la reiterazione e soprattutto la velocità.
E ora sentiamo lei. Sentiamo Nina, Nina Simone, in una irripetuta interpretazione nel Live at Newport: cantata il 30 giugno 1960 e pubblicata nel 1961 dalla casa discografica Colpix.
Ripeto: una sola volta così e solo quella volta
Il sito JazzStandard.com ci ricorda il tema narrativo della canzone, riportando un passo della biografia di Charles Schwartz su Cole Porter: “La sua malinconica melodia ed il testo evocano un sentimento di fraterna solidarietà per i milioni di persone che sono state separate fra loro a causa della guerra” (Schwartz C., 1979).
Cosa ha cambiato? Nina ha cambiato tutto: velocità, tempo, ritmo.
Inizia creando il climax con una lunga, lenta e struggente esecuzione di piano – mirabilmente accompagnata da Al Schakman (guitar), Chris White (bass) e Bobby Hamilton (drum) – che dura ben oltre la metà della durata del pezzo.
E conclude con una sola strofa, sempre in tono lento e in un crescendo emotivo, del tema narrativo. Perchè sono le parole che lei intende usare per ricreare il pezzo.
You’d be so nice to come home to You’d be so nice by the fire While that breeze on night sings a lullaby You’d be all my heart could desire Under stars chilled by the winter Under an August moon shining above You’d be so nice you’d be paradise To come home to and love |
Sarebbe così bello se tu tornassi a casa Così bello attorno al fuoco Mentre la brezza notturna canta una ninnananna Sarebbe tutto quello che il mio cuore può desiderare Sotto le stelle gelate dell’inverno Sotto la luminosa luna d’agosto Sarebbe così bello, sarebbe il paradiso Se tu tornassi a casa e all’amore |
Nina Simone non canta solamente: Nina Simone interpreta come un attore teatrale. Questa capacità quasi unica è stata finemente colta da Charles Aznavour, che disse: “Spesso le persone che cantano il jazz cantano la musica. Nina Simone canta il testo allo stesso tempo della musica” (citato in Brun – Lambert, 2008).
Ecco perché You’d Be So Nice To Come Home To, che è uno standard jazz in tempo veloce, con Nina Simone diventa lentissimo fino allo spasimo e perché Strange Fruit è ancora più straziante che in Billie Holiday.
I suoi canti ed il suo piano, ad un ascolto appassionato, possono essere ‘visti’ come pennellate: nere, gialle, blu (molto blu), bianche … Tutto questo lo fa con la voce, con le note del piano, ma soprattutto con i tempi che mette fra le parole. Sono questi attimi di silenzio, queste pause a generare la magia, a gettare il sortilegio.
E così ha oltrepassato quel confine e You’d Be So Nice To Come Home to è diventata un’opera d’arte a se stante. Siamo in molti ad essere rapiti da Nina, l’ammaliatrice.
Racconta lo scrittore Sam Shepard:
“Portavo sempre il ghiaccio a Nina Simone. Era sempre carina con me. Mi chiamava ‘Tesoro’, Le portavo un saccone di plastica grigia pieno di ghiaccio per raffreddare lo Scotch.
Lei si strappava la sua parrucca bionda e la gettava sul pavimento. Sotto, i suoi capelli veri erano corti come il pelo tosato d’un agnello nero. Si scollava le ciglia finte e le appiccicava allo specchio. Le sue palpebre erano spesse e dipinte d’azzurro. Mi facevano sempre venire in mente una di quelle Regine Egiziane che vedevo nel National Geographic. La sua pelle era lucida di sudore. Si arrotolava un asciugamano azzurro intorno al collo e si sporgeva in avanti appoggiando entrambi i gomiti sulle ginocchia. Il sudore rotolava giù dalla sua faccia e schizzava sul pavimento di cemento rosso tra i suoi piedi.
Finiva sempre il suo spettacolo con la canzone ‘Jenny Pirata’ di Bertolt Brecht. Cantava sempre quella canzone con una sorta di profonda e penetrante rivalsa come se avesse scritto le parole lei stessa. La sua esecuzione puntava dritta alla gola di un pubblico bianco. Poi puntava al cuore. Poi puntava alla testa. Era un colpo mortale in quei giorni.
La canzone cantata da lei che mi stendeva davvero era ‘You’d Be So Nice to Come Home To’.
Mi lasciava sempre di sale. Magari ero in giro a raccogliere bicchieri di Whiskey Sour in sala e lei attaccava una specie di frana rombante al pianoforte con la sua voce roca che sgusciava attraverso gli accordi “montanti”. I miei occhi si fissavano sul palco dell’orchestra e ci rimanevano mentre le mie mani continuavano a lavorare.
Una volta rovesciai una candela mentre lei cantava quella canzone. La cera bollente sgocciolò tutta sull’abito d’un uomo d’affari. Mi chiamarono nell’ufficio del direttore. L’uomo d’affari era lì in piedi con questo lungo schizzo di cera indurita sul pantaloni. Pareva che si fosse venuto addosso. Fui licenziato quella sera.
Fuori in strada sentivo ancora la sua voce che arrivava dritta attraverso il cemento. ‘Sarebbe il paradiso se tu tornassi a casa’ ” (Shepard, 1985).
FONTI MUSICALI
Chet Baker, One Night In Tokyo, Immortal, 2008.
Helen Merrill, in AA.VV., The Cole Porter Songbook: Night and Day, Verve, 1990.
Nina Simone, At Newport, Colpix, 1961, ristampa cd, Forbidden Fruit/At Newport, Collectables/Rhino, 1998.
Frank Sinatra, A Swingin’ Affair!, Capitol 1957, ristampa cd A Swingin’ Affair!, Capitol 1998.
Sarah Vaughan, in AA.VV., Cole Porter In Concert: Just One Of Those Five Things, Verve, 1994.
Ben Webster e Coleman Hawkins, in AA.VV., Anything Goes: The Cole Porter Songbook, Instrumentals, Verve, 1992.
Nancy Wilson, The Very Best Of Nancy Wilson, The Capitol Recordings, 1960-1976, Emi, 2007.
LETTURE
Brun–Lambert D., Nina Simone: Une vie, Editons Flammarion, Paris, 2005, trad. it. Nina Simone. Una vita, Kowalsky, Milano, 2008.
Federighi L., Grandi voci della musica americana, Mondadori, 1997.
Schwartz C., Cole Porter: A Biography, Da Capo Press, Usa, 1979.
Shepard S., Motel Chronicles, City Lights, Usa, 1983, trad. it. Motel Chronicles, Feltrinelli, 1986.
Oggi riporto qui Feelings, interpretata (Nina non canta: Nina interpreta) al Festival di Montreux del 1976:
Feelings,
nothing more than feelings,
trying to forget my feelings of love.
Tear drops,
rolling down on my face
trying to forget my feelings of love.
Feelings, for all my life I’ll feel it.
I wish I’d never met you, girl,
you’ll never come again.
Feelings, wo wo wo
feelings wo wo wo
feel you again in my arms.
Feelings, feelings like I’ve never lost you,
and feelings like I’ll never have you
again in my heart.
Feelings,
for all my life I’ll feel it.
I wish I’d never met you, girl,
you’ll never come again.
Feelings
feelings like I’ve never lost you.
And feelings like I’ll never have you
again in my heart.
Feelings, for all my life I’ll feel it.
I wish I’d never met you, girl,
you’ll never come again.
you’ll never come again.
L’intero concerto è stato tenuto al Festival Jazz di Montreux
Nina Simone canta “Four Women” al Festival jazz d’Antibes nel 1969
Attenzione: sarà un momento magico. Da ascoltare con la luce soffusa.Da ascoltare col cuore.
Non adatto agli insentimentabili (neologismo: coloro che non vogliono CEDERE al sentimento).
Narrano le leggende che Duke Ellington, dopo questa rappresentazione in cui si presentifica Psiche, abbia scritto per lei la Suite “La plus belle africaine”.
Ascolta anche tu.
Non c’è altro da dire
… forse solo: “Nina, ti amo”
Vorrei poter morire ascoltando la tua voce e incontrarti nell’aldilà
When I was in my prime, I flourished like a vine.
Along there came a false young man, come stole the heart of mine.
Come stole the heart of mineThe gardener standing by, three offers he made me.
The pink, the violet, and red rose, which I refused all three.
Which I refused all three
The pink’s no flower at all, it fades away too soon.
The violet is too pale a bloom, I think I’ll wait till June
I think I’ll wait till June
In June the red rose blooms, but it`s not the flower for me.
It’s then I’ll uproot the red, red rose, and plant a willow tree.
And plant a willow tree
And the willow tree shall weep and the willow tree shall mourn.
How I wish I were in my young man’s arms who stole the heart of mine.
Who stole the heart of mine
And if I’m spared young year more, and if God should grant me grace.
I’ll weep a bowl of crystal tears, and wash his deceitful face.
And wash his deceitful face.
Quand’ero nel fiore degli anni, fiorivo come una pianta.
Un giovane ingannatore si avvicino’, venuto per rubare il mio cuore
Venuto a rubare il mio cuore
Mentre il giardiniere stava a guardare, lui mi fece tre offerte
La rosa rosa, quella viola e quella rossa, che tutte e tre io rifiutai.
Che tutte e tre io rifiutai.
Quella rosa non ha fiori, svanisce troppo presto.
Quella viola ha boccioli troppo pallidi, penso di aspettare fino a giugno
Penso di aspettare fino a giugno
A giugno quella rossa sboccia, ma non e’ il mio fiore.
Allora sradichero’ la rossa, rossa rosa e piantero’ un salice.
E piantero’ un salice.
E il salice piangera’ e il salice si lamentera’.
Come vorrei essere tra le braccia del mio giovane che mi ha rubato il cuore.
Che ha rubato il mio cuore
E se mi sara’ evitata un’altra giovane eta’, se Dio mi fara’ grazia.
Io piangero’ una coppa di cristallo di lacrime, e lavero’ il suo volto ingannatore.
E lavero’ il suo volto ingannatore.
Tradotta Da Valeria con l’aiuto di Angelo
Nina Simone – Live At Montreux 1976 Little Girl Blue
” And now, the end is near and so I got to face The final curtain, girl Friends I say clear and state her case of which I’m uncertain I’ve lived a life that’s full of travelled each and every highway And more, much more than this, I did it my way Yeah, regrets, I’ve had a few But then again, who feel to me uncertain. I did what I had to do and saw it through without exemption I planned each other course, each careful footstep along the byway, Yeah, and more, much more than this, I did my way Yes, there were times, I’m sure you know When I did all much more than I could do But threw it all, when there was doubt, on everyday And it’s not enough, I faced it all And as big as all did my way. Oh, I’ve laughed and cried, had my fill my share of losing And now, as tears subside, counted also music To think like the old lad And may I say not in a sky away, Oh, no no no, You’re not me, I did it my way What is a man, what have he got If not himself, and he had not to may the things He truly feels not words of one for use With that shows, I took the blows and did it my way! “
Estate 2007.
Per prima delle notti.
Per le notti.
Buone notti.
da qui è possibile ascoltare tutta di seguito la
1. A Single Woman – A Single Woman, 1993
2. Don’t Explain – Live: Let It all Out, 1965
3. He Was Too Good To Me – Live At The Village Gate, 1962
4. I’ll Look Around – Saga of the Good Life and Hard Times, 1968
5. I Don’t Want Him Anymore – Live at Town Hall, 1959
6. If He Changed My Name – Live At The Village Gate, 1962
7. Just Say I Love Him – Forbidden Fruit, 1963
8. Keeper Of The Flame – High Priestess of Soul, 1967
9. Lilac Wine – Wild is the Wind, 1965
10. My Father – Baltimore, 1978
11. Black Is The Color Of My True Loves Hair – Live at Town Hall, 1959
12. When I Was In My Prime – The Lady Has the Blues, 1957
13. Who knows where the time goes – Live, Black Gold, 1970
14. Wild Is The Wind – Live at Town Hall, 1959
15. Will I Find My Love Today – Live at Carnegie Hall, 1963
Sinnerman, di cui dice David Brun – Lambert:
“une chanson comme Sinnerman:
la certitude que cette musique avait toujours été là,
ne demandant qu’à etre identifieé”
recorded an extended version in 1965
Per favore nascondetemi, corro verso le rocce
Per favore nascondetemi, corro verso le rocce
Per favore nascondetemi, Signore
Ci andremo tutti, nel giorno del giudizio
Beh la roccia gridò:
Non posso nasconderti, gridò
Non posso nasconderti, gridò
Non ti nasconderò dal nostro Signore
Ci andremo tutti, nel giorno del giudizio
Io dirò: roccia, cosa c’è che non va, roccia?
non vedi che ho bisogno di te, roccia?
non mi abbandonare
Ci andremo tutti, nel giorno del giudizio
Così corro verso il fiume
stava sanguinando, corro verso il fiume
stava sanguinando, corro verso il fiume
stava sanguinando, nel giorno del giudizio
così corro verso il fiume, stava ribollendo
corro verso il fiume, stava ribollendo
corro verso il fiume, stava ribollendo
Ci andremo tutti, nel giorno del giudizio
così corro dal Signore
per favore aiutami Signore
non vedi che sto pregando?
non vedi che sono quaggiù a pregare?
ma il Signore disse:
vai al diavolo
il Signore disse:
vai al diavolo
lui disse: vai al diavolo
Ci andremo tutti, nel giorno del giudizio
così corro dal diavolo
stava aspettando
corro dal diavolo, stava aspettando
corro dal diavolo, stava aspettando
Ci andremo tutti, nel giorno del giudizio
oh sì
corro verso il fiume
stava ribollendo, corro verso il fiume
stava ribollendo, corro verso il fiume
stava ribollendo, nel giorno del giudizio
così corro dal Signore
dico: Signore nascondimi
per favore nascondimi
per favore aiutami
Ci andremo tutti, nel giorno del giudizio
dico: Dio, dove sei?
quando sei vecchio e preghi
Signore, Signore, ascoltami mentre prego
Signore, Signore, ascoltami mentre prego
Signore, Signore, ascoltami mentre prego
Ci andremo tutti, nel giorno del giudizio
Peccatore, dovresti pregare
dovresti pregare, peccatore
dal sito di Mauro Boscarol
Eunice Waymon diventò Nina Simone, una maschera che sul filo degli anni eclisserà il suo nome di battesimo e con la quale entrerà nella storia. Nina per “nina”, “la môme”, il soprannome che le aveva dato un fidanzato latino di cui non si sa niente. Simone per Signoret nel “Casco d’Oro”, un film che la pianista aveva visto in un cinema di Filadelfia e che l’aveva impressionata (David Brun-Lambert, Nina Simone: Un Vie, Editions Flammarion, 2005, p. 53).
In un’efficace scansione biografica Kerry Acker (in Nina Simone (1963-1966); Chelsea House Publisher, Philadelphia, 2004) distingue ed identifica così i momenti della sua vita: il prodigio (1933-1944); la concertista di piano (1944-1954); la “chanteuse” (1954-1959); la stella (1958-1962); l’attivista“The high Priestess of Soul”, che tradurrei come la sublime sacerdotessa dell’Anima (1967-1968); l’espatriata (1970-1978); la diva (1978-2003). Forse in quest’ultimo frammento del ciclo di vita io individuerei anche quello della decadenza della vecchiaia. Una brutta vecchiaia, davvero oltraggiosa per questa meravigliosa creatura.
Quando nel 1957 esce il suo primo disco, Nina, durante le estati, cantava e suonava già da 3 anni al Midtown Bar & Grill di Atlantic City. La sua storia comincia lì. Aveva dunque 21 anni. Le voci corsero subito per le strade (oggi girerebbero sui blog e su DeBaser): “c’è una giovane musicista nera in città e quello che canta è unico”.
21 anni, eppure il carattere temprato negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza era ormai pienamente definito, compiuto ed intero nella gamma comportamentale che andava dalla spigolosità insopportabile alla grazia eccelsa:
“quando arrivava alla sedia del piano si faceva silenzio intorno. In un bar di seconda zona, nel cuore di una città bruciata d’insonnia, lei riusciva a far tacere fin dalla prima nota. Non si era mai visto qualcosa di simile qui” (David Brun-Lambert, op.cit. , p. 52)
3 anni di tirocinio così, anche per imparare il rapporto con il pubblico. Canzoni tirate sui tempi lunghi. Lei e il piano. Il piano e lei. Lei con se stessa, lei con il popolo del suo regno.
Quando le si presenta l’occasione di fare il primo disco, nessuno stupore che le bastino solo 24 ore per prepararlo e concluderlo.
1957: 14 tracce musicali tutte riuscite al primo colpo che la collocano nella storia. Tutto il talento che mostrerà negli anni successivi è già concentrato lì in quel disco. La sua unicità, la sua “individuazione” è leggibile ieri e oggi in quelle 14 tracce perfette, durevoli, classiche.
Mi fermo qui. Caro lettore, avrai capito che Nina Simone è uno dei miei tanti punti deboli. Con lei divento fragile ed esposto al sentimento. Mi perdo e mi sento felicemente perso, per riprendermi e ricominciare ad ascoltarla. Sì: è una dipendenza. Una Ninadipendenza.
Dell’intero disco parlerò un’altra volta.
Oggi volevo solo dire che lì si ascolta la ballata “Little Girl Blue” di Richard Rodgers e Lorenz Hart.
“Sit there
And count your fingers
What can you do
Old girl you’re through
Sit there
Count your little fingers
Unhappy little girl blue
Sit there
Count the raindrops
Falling on you
It’s time you knew
All you can ever count on
Are the raindrops
That fall on little girl blue
Won’t you just sit there
Count the little raindrops
Falling on you
Cos it’s time you knew
All you can ever count on
Are the raindrops
That fall on little girl blue
No use old girl
You might as well surrender
Cos your hopes
Are getting slender and slender
Why won’t somebody send
A tender blue boy
To cheer up little girl blue”
Questo pezzo entrerà sempre nel suo repertorio per i successivi 46 anni.
Ma fra tutte le esecuzioni, quella al Festival Jazz di Montreux del 1976 mi sembra eccezionale, incredibile, bella in un modo indescrivibile. Probabilmente creata così nei 10 minuti di quella sera e solo quella volta così. La presenza corporea sulla scena, gli anticipi preparatori, lo sguardo, i passi da pantera, i silenzi, i giochi linguistici, il pianismo che accenna a quella ferita della carriera stroncata, quel “This is Africa…”, la genialata del doppio finale.
No: non ci sono né ci saranno altre o altri come lei.
pubblicata in
Qui si parlerà della metamorfosi di una canzone. Ossia di come una canzone popolare, nata in una particolare situazione storica, diventa vent’anni dopo musica d’arte, cioè “musica” senza genere e senza aggettivi.
Per fare una simile trasformazione occorre attraversare un confine e occorre qualcuno che sappia fare dei sortilegi.
Nina Simone (1933-2003) sa fare sortilegi e sa attraversare i confini: I Put a Spell on You, dice il testo di un’altra sua canzone. Lei ha percorso tutti i generi della musica popolare del secondo Novecento: blues, pop, jazz, soul. Eppure lei è inclassificabile in ciascuno di essi.
Ma come attraversa queste linee di confine?
Lei lo fa con l’interpretazione del testo. Nina canta il testo della canzone. Lo trascolora, lo ricolora, lo prende e lo rivolta per catturare ciascuno di noi attraverso la testa, il cuore e la pancia.
È questa la chiave per accostarsi a You’d Be So Nice To Come Home To.
Si tratta di un classico del compositore Cole Porter (1891-1964) che, come molte altre canzoni del tempo, è diventato uno standard, ossia un brano popolare che ha resistito alla prova del tempo e che è stato ri-letto, ri-cantato, ri-suonato migliaia di volte, soprattutto dai musicisti jazz. La canzone compare nel film d’amore in tempo di guerra Something to Shout About (1943) e si inscrive nell’epoca del trionfo degli standard, ossia delle canzoni di musica “leggera”, spesso provenienti da musical o da spettacoli di Broadway, su cui i jazzisti improvvisano e costruiscono nuovi arrangiamenti.
La struttura di queste canzoni si presta facilmente a rielaborazioni jazzistiche, grazie anche alla loro ottima qualità musicale. Sono composizioni agili, dove c’è un recitativo (destinato a delineare la storia raccontata) cui seguono ritornelli melodici sostenuti da ritmi sincopati e ballabili. Sono canzoni basate su meccanismi retorici assai efficaci e seducenti.
Nasce qui la distinzione di ruolo fra il compositore (l’autore di un motivo o di una semplice canzone) e l’improvvisatore o l’arrangiatore, che trasformano il pezzo.
Gli iniziatori di questi stili furono Irving Berlin e Jerome Kern, poi ci furono i fratelli George e Ira Gershwin, Richard Rodgers, Lorenz Hart e altri ancora, fra cui, per l’appunto, Cole Porter. Le sue melodie sono lievemente sofisticate e possiedono una raffinatezza che lo pone ad un livello particolare tra gli scrittori di musica leggera. Infatti, le sue combinazioni di suoni sono piene di buon gusto e di eleganza e sa offrire armonie complesse, che ne hanno fatto un autore di fama.
Per apprezzare la metamorfosi realizzata da Nina Simone occorre procedere in forma comparativa.
Si può iniziare ascoltando una prima versione solo strumentale ad opera di Coleman Hawkins e Ben Webster , dove si può ben cogliere la componente swing del jazz. Qui i due giganti del sax interloquiscono fra loro in un caldo fraseggio ben sostenuto dalla base ritmica. L’esecuzione è molto bella e fa sentire il motivo ricorsivo della canzone.
Si prenda poi una seconda versione, questa volta cantata da Helen Merrill , una cantante jazz di nascita croata, ma culturalizzata negli Stati Uniti, che si è fatta notare fin dagli anni Cinquanta in dischi con il trombettista Clifford Brown. Bel ritmo, bella voce: “canto perlaceo, smerigliato”, dice di lei Luciano Federighi.
Oppure si ascolti un’altra classica delle voci afroamericane del jazz: Sarah Vaughan . Gli estimatori di lei hanno detto: grande voce moderna, solenne nei bassi, suadente nei medi, duttile negli acuti. I denigratori (fra cui Frank Sinatra) hanno contrapposto questo giudizio: dizione vezzosamente manierata.
E ora si consideri la versione di un dolente Chet Baker :
Il musicista, nella fase della vita più segnata dalla sua biografia, introduce il pezzo e poi gioca di scat con la batteria. Seguono piano, tromba, contrabbasso per assoli. E poi ancora lui a concludere, riprendendo il tema dell’inizio. Sono tutti professionisti del jazz che sanno come impastare gli ingredienti di questa musica. Si ascolta volentieri e si assapora il profumo dell’era dello swing.
Ma si potrebbero anche sentire le interpretazioni di Frank Sinatra
e di Nancy Wilson
e altre ancora.
Va notato che ci sono vari elementi che accomunano queste letture e riletture: lo stile leggero, la reiterazione e soprattutto la velocità.
E ora sentiamo lei. Sentiamo Nina, Nina Simone, in una irripetuta interpretazione nel Live at Newport: cantata il 30 giugno 1960 e pubblicata nel 1961 dalla casa discografica Colpix. Ripeto: una sola volta così e solo quella volta:
Il sito Jazz Standard.com ci ricorda il tema narrativo della canzone, riportando un passo della biografia di Charles Schwartz su Cole Porter: “La sua malinconica melodia ed il testo evocano un sentimento di fraterna solidarietà per i milioni di persone che sono state separate fra loro a causa della guerra” (Schwartz C., 1979).
Cosa ha cambiato? Nina ha cambiato tutto: velocità, tempo, ritmo. Inizia creando il climax con una lunga, lenta e struggente esecuzione di piano – mirabilmente accompagnata da Al Schakman (guitar), Chris White (bass) e Bobby Hamilton (drum) – che dura ben oltre la metà della durata del pezzo. E conclude con una sola strofa, sempre in tono lento e in un crescendo emotivo, del tema narrativo. Perchè sono le parole che lei intende usare per ricreare il pezzo.
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Nina Simone non canta solamente: Nina Simone interpreta come un attore teatrale. Questa capacità quasi unica è stata finemente colta da Charles Aznavour, che disse: “Spesso le persone che cantano il jazz cantano la musica. Nina Simone canta il testo allo stesso tempo della musica” (citato in Brun – Lambert, 2008). Ecco perché You’d Be So Nice To Come Home To, che è uno standard jazz in tempo veloce, con Nina Simone diventa lentissimo fino allo spasimo e perché Strange Fruit è ancora più straziante che in Billie Holiday.
I suoi canti ed il suo piano, ad un ascolto appassionato, possono essere ‘visti’ come pennellate: nere, gialle, blu (molto blu), bianche … Tutto questo lo fa con la voce, con le note del piano, ma soprattutto con i tempi che mette fra le parole. Sono questi attimi di silenzio, queste pause a generare la magia, a gettare il sortilegio.
E così ha oltrepassato quel confine e You’d Be So Nice To Come Home to è diventata un’opera d’arte a se stante. Siamo in molti ad essere rapiti da Nina, l’ammaliatrice.
Racconta lo scrittore Sam Shepard:
“Portavo sempre il ghiaccio a Nina Simone. Era sempre carina con me. Mi chiamava ‘Tesoro’, Le portavo un saccone di plastica grigia pieno di ghiaccio per raffreddare lo Scotch.
Lei si strappava la sua parrucca bionda e la gettava sul pavimento. Sotto, i suoi capelli veri erano corti come il pelo tosato d’un agnello nero. Si scollava le ciglia finte e le appiccicava allo specchio. Le sue palpebre erano spesse e dipinte d’azzurro. Mi facevano sempre venire in mente una di quelle Regine Egiziane che vedevo nel National Geographic. La sua pelle era lucida di sudore. Si arrotolava un asciugamano azzurro intorno al collo e si sporgeva in avanti appoggiando entrambi i gomiti sulle ginocchia. Il sudore rotolava giù dalla sua faccia e schizzava sul pavimento di cemento rosso tra i suoi piedi.
Finiva sempre il suo spettacolo con la canzone ‘Jenny Pirata’ di Bertolt Brecht. Cantava sempre quella canzone con una sorta di profonda e penetrante rivalsa come se avesse scritto le parole lei stessa. La sua esecuzione puntava dritta alla gola di un pubblico bianco. Poi puntava al cuore. Poi puntava alla testa. Era un colpo mortale in quei giorni.
La canzone cantata da lei che mi stendeva davvero era ‘You’d Be So Nice to Come Home To’.
Mi lasciava sempre di sale. Magari ero in giro a raccogliere bicchieri di Whiskey Sour in sala e lei attaccava una specie di frana rombante al pianoforte con la sua voce roca che sgusciava attraverso gli accordi “montanti”. I miei occhi si fissavano sul palco dell’orchestra e ci rimanevano mentre le mie mani continuavano a lavorare.
Una volta rovesciai una candela mentre lei cantava quella canzone. La cera bollente sgocciolò tutta sull’abito d’un uomo d’affari. Mi chiamarono nell’ufficio del direttore. L’uomo d’affari era lì in piedi con questo lungo schizzo di cera indurita sul pantaloni. Pareva che si fosse venuto addosso. Fui licenziato quella sera.
Fuori in strada sentivo ancora la sua voce che arrivava dritta attraverso il cemento. ‘Sarebbe il paradiso se tu tornassi a casa’ ” (Shepard, 1985).
× ASCOLTI:
× Chet Baker, One Night In Tokyo, Immortal, 2008.
× Helen Merrill, in AA.VV., The Cole Porter Songbook: Night and Day, Verve, 1990.
× Nina Simone, At Newport, Colpix, 1961, ristampa cd, Forbidden Fruit/At Newport, Collectables/Rhino, 1998.
× Frank Sinatra, A Swingin’ Affair!, Capitol 1957, ristampa cd A Swingin’ Affair!, Capitol 1998.
× Sarah Vaughan, in AA.VV., Cole Porter In Concert: Just One Of Those Five Things, Verve, 1994.
× Ben Webster e Coleman Hawkins, in AA.VV., Anything Goes: The Cole Porter Songbook, Instrumentals, Verve, 1992.
× Nancy Wilson, The Very Best Of Nancy Wilson, The Capitol Recordings, 1960-1976, Emi, 2007.
× LETTURE:
× Brun–Lambert D., Nina Simone: Une vie, Editons Flammarion, Paris, 2005, trad. it. Nina Simone. Una vita, Kowalsky, Milano, 2008.
× Federighi L., Grandi voci della musica americana, Mondadori, 1997.
× Schwartz C., Cole Porter: A Biography, Da Capo Press, Usa, 1979.
× Shepard S., Motel Chronicles, City Lights, Usa, 1983, trad. it. Motel Chronicles, Feltrinelli, 1986.
Gia pubblicato nella estate del 2010 su: quaderni d’altri tempi.
di Paolo Ferrario
Qui si parlerà della metamorfosi di una canzone. Ossia di come una canzone popolare, nata in una particolare situazione storica, diventa vent’anni dopo musica d’arte, cioè “musica” senza genere e senza aggettivi.
Per fare una simile trasformazione occorre attraversare un confine e occorre qualcuno che sappia fare dei sortilegi.
Nina Simone (1933-2003) sa fare sortilegi e sa attraversare i confini:
segue Qui:
Tomorrow Is My Turn
Though some may reach for the stars
Others will end behind bars
What the future has in store no one ever knows before
Yet we would all like the right to find the key to success
That elusive ray of light that will lead to happiness
Tomorrow is my turn
No more doubts no more fears
Tomorrow is my turn
When my luck is returning
All these years I been learning to save fingers from burning
Tomorrow is my turn
No more doubts no more fears
Tomorrow is my turn to receive without giving
Make life worth living
Now it my life I? living
My only concern for tomorrow is my turn
Now the summer is gone, there another to come
You can stop years from drifting by even if you want to try
Though time may help you forget all that has happened before
But honey it too late to regret what is gone will be no more
Tomorrow is my turn
When my luck is returning
All these years I been learning to save fingers from burning
Tomorrow is my turn
No more doubts no more fears
Tomorrow is my turn to receive without giving
Make life worth living
Now it my life I living
My only concern for tomorrow is my turn
Traduzione:
Anche se alcuni possono arrivare alle stelle
Altri finiranno dietro le sbarre
Quello che ha in serbo il futuro nessuno lo sa mai prima
Eppure a tutti piacerebbe il diritto di trovare la chiave del successo
Quello sfuggente raggio di luce che condurrà alla felicità
Domani tocca a me
Niente più dubbi niente più paure
Domani tocca a me
Quando la fortuna sta rispondendo
In tutti questi anni ho imparato a non bruciarmi le dita
Domani tocca a me
Niente più dubbi niente più paure
Domani tocca a me ricevere senza dare
Rendere la vita degna di essere vissuta
Ora è la mia vita quella che sto vivendo
Il mio solo pensiero, perchè domani tocca a me
Adesso l’estate se n’è andata, un’altra deve arrivare
Non puoi fermare gli anni anche se vuoi provarci
Anche se il tempo può aiutarti a dimenticare quel che è successo
Ma, amore, è troppo tardi per rammaricarsi perché ciò che è passato non tornerà mai più
Domani tocca a me
Niente più dubbi niente più paure
Domani tocca a me
Quando la fortuna sta rispondendo
In tutti questi anni ho imparato a non bruciarmi le dita
Domani tocca a me
Niente più dubbi niente più paure
Domani tocca a me ricevere senza dare
Rendere la vita degna di essere vissuta
Ora è la mia vita quella che sto vivendo
Il mio solo pensiero, perchè domani tocca a me
tradotta da Dodo: grazie infinite!
Domani sera, 11 Luglio, saremo a Montreux, a ricordare Nina Simone
Fiori, fiori per Nina, Nina Simone
Aliceyidulcinea ha ridisegnato, aggiungendo un altro volto, Nina Simone.
Racconta che l’ispirazione le è venuta ascoltando “Ne me quitte pas”
La canzone è un classico del cantante belga Jacques Brel
e lui l’ha creata e la canta così:
Nina Simone la rilegge e re-interpreta così:
Ne me quitte pas
Il faut oublier
Tout peut s’oublier
Qui s’enfuit déjà
Oublier le temps
Des malentendus
Et le temps perdu
A savoir comment
Oublier ces heures
Qui tuaient parfois
A coups de pourquoi
Le cœur du bonheur
Ne me quitte pas
Ne me quitte pas
Ne me quitte pas
Ne me quitte pas
Moi je t’offrirai
Des perles de pluie
Venues de pays
Où il ne pleut pas
Je creuserai la terre
Jusqu’après ma mort
Pour couvrir ton corps
D’or et de lumière
Je ferai un domaine
Où l’amour sera roi
Où l’amour sera loi
Où tu seras reine
Ne me quitte pas
Ne me quitte pas
Ne me quitte pas
Ne me quitte pas
Ne me quitte pas
Je t’inventerai
Des mots insensés
Que tu comprendras
Je te parlerai
De ces amants-là
Qui ont vu deux fois
Leurs cœurs s’embraser
Je te raconterai
L’histoire de ce roi
Mort de n’avoir pas
Pu te rencontrer
Ne me quitte pas
Ne me quitte pas
Ne me quitte pas
Ne me quitte pas
On a vu souvent
Rejaillir le feu
D’un ancien volcan
Qu’on croyait trop vieux
Il est paraît-il
Des terres brûlées
Donnant plus de blé
Qu’un meilleur avril
Et quand vient le soir
Pour qu’un ciel flamboie
Le rouge et le noir
Ne s’épousent-ils pas
Ne me quitte pas
Ne me quitte pas
Ne me quitte pas
Ne me quitte pas
Ne me quitte pas
Je ne vais plus pleurer
Je ne vais plus parler
Je me cacherai là
A te regarder
Danser et sourire
Et à t’écouter
Chanter et puis rire
Laisse-moi devenir
L’ombre de ton ombre
L’ombre de ta main
L’ombre de ton chien
Ne me quitte pas
Ne me quitte pas
Ne me quitte pas
Ne me quitte pas
Non lasciarmi solo.
Tutti i malintesi,
Tutti i giorni spesi
Per dimenticare
Li si può scordare,
Possono svanire
Come il tempo usato
Per recriminare
Le parole dure,
Le domande poste
Solo per colpire
Il futuro al cuore.
Non lasciarmi solo,
Non lasciarmi solo,
Non lasciarmi solo,
Non lasciarmi solo.
Ti offrirò le gocce
Di un solo concerto,
Quelle rare perle
Scese sul deserto
Per coprirti il corpo
D’amore e di luce.
Scaverò la terra
Sotto la tua croce,
Ne farò un dominio
Dove amare è il verbo,
Dove amore è vero
E tu ne avrai l’impero.
Ma non lasciarmi solo,
Non lasciarmi solo,
Non lasciarmi solo,
Non lasciarmi solo.
Non lasciarmi solo.
Io ti inventerò
Le parole ignote,
Logiche insensate,
Ti racconterò
Di due condannati
Arsi per amore
E per amor rinati.
E ti parlerò
Di quei desideri
Morti disperati
Perché tu non c’eri.
Ma non lasciarmi solo,
Non lasciarmi solo,
Non lasciarmi solo,
Non lasciarmi solo.
A volte riavvampa
Lo sbocco violento
Del vecchio vulcano
Creduto già spento.
A volte germoglia
Su terre bruciate
Un grano migliore
Di più ricca estate.
E sarà tramonto
Di un fiammante cielo
Solo confondendo
Il rosso con il nero.
Non lasciarmi solo,
Non lasciarmi solo,
Non lasciarmi solo,
Non lasciarmi solo.
Non lasciarmi solo.
No, non piango, no.
Neanche una parola,
Mi nasconderò
A vederti vivere,
Ballare,
A sentirti ridere,
Cantare.
Fammi diventare
L’ombra della tua ombra,
L’ombra della tua mano,
L’ombra del tuo cane,
Ma non lasciarmi solo,
Non lasciarmi solo,
Non lasciarmi solo,
Non lasciarmi solo.
Simone’s song “Why? (The King of Love is Dead)” is available on her Anthology CD.
Weekend Edition Sunday, April 6, 2008 – Three days after the Rev. Martin Luther King Jr. was assassinated in 1968, performer Nina Simone and her band played at the Westbury Music Festival on Long Island, N.Y. They performed “Why? (The King of Love is Dead),” a song they had just learned, written by their bass player Gene Taylor in reaction to King’s death.
Simone’s brother, Samuel Waymon, who was on stage playing the organ, talks with Lynn Neary about that day and reaction to the civil rights leader’s assassination.
“We learned that song that (same) day,” says Waymon. “We didn’t have a chance to have two or three days of rehearsal. But when you’re feeling compassion and outrage and wanting to express what you know the world is feeling, we did it because that’s what we felt.”
Waymon and the band’s performance of “Why? (Then King of Love is Dead)” lasted nearly 15 minutes as Nina Simone sang, played and sermonized about the loss everyone was feeling.
The song later appeared on several greatest-hits collections, most recently on the Anthology release from RCA.
in: http://www.npr.org/templates/story/story.php?storyId=89418339
“… la mia pelle è caffellatte,
i miei capelli sono lunghi,
il mio posto è tra due mondi,
mio padre era ricco e bianco,
una sera violò mia madre…”
Nina Simone canta “Four Women” al Festival jazz d’Antibes nel 1969
Attenzione: sarà un momento magico. Da ascoltare con la luce soffusa.Da ascoltare col cuore.
Non adatto agli insentimentabili (neologismo: coloro che non vogliono CEDERE al sentimento).
Narrano le leggende che Duke Ellington, dopo questa rappresentazione in cui si presentifica Psiche, abbia scritto per lei la Suite “La plus belle africaine”.
Estate 2007.
Per prima delle notti.
Per le notti.
Buone notti.
1. A Single Woman – A Single Woman, 1993
2. Don’t Explain – Live: Let It all Out, 1965
3. He Was Too Good To Me – Live At The Village Gate, 1962
4. I’ll Look Around – Saga of the Good Life and Hard Times, 1968
5. I Don’t Want Him Anymore – Live at Town Hall, 1959
6. If He Changed My Name – Live At The Village Gate, 1962
7. Just Say I Love Him – Forbidden Fruit, 1963
8. Keeper Of The Flame – High Priestess of Soul, 1967
9. Lilac Wine – Wild is the Wind, 1965
10. My Father – Baltimore, 1978
11. Black Is The Color Of My True Loves Hair – Live at Town Hall, 1959
12. When I Was In My Prime – The Lady Has the Blues, 1957
13. Who knows where the time goes – Live, Black Gold, 1970
14. Wild Is The Wind – Live at Town Hall, 1959
15. Will I Find My Love Today – Live at Carnegie Hall, 1963
NINA SIMONE, Don’t Let Me Be Misunderstood
Autori: Bennie Benjamin, Gloria Caldwell, Sol Marcus
Album: Broadway-Blues-Ballads (Philips, 1964)
“non fraintendetemi”
imprevedibile, libera e indipendente come poche altre, Nina Simone è stata una delle personalità femminili più incisive della musica della seconda parte del XX secolo.
Lei ha attraversato questi decenni con la sua personalità unica, impastata di talento e genio quasi divini, ma anche di umanissime contraddizioni e debolezze.
Come altri suoi classici, Don’t Let Me Be Misunderstood
non è stata un successo, pur restando tra le interpretazioni più memorabili e toccanti del suo canzoniere. Si è a lungo pensato che il brano fosse legato alla sua militanza politica nel movimento per i diritti civili.
In realtà la canzone era i scritta dall’arrangiatore Horace Ott in un momento di crisi con la compagna (e futura moglie) Gloria Caldwell, la quale poi si troverà perfino accreditata come autrice del brano insieme a Bennie Benjamin e Sol Marcus.
Ad alcuni mesi dall’uscita, il pezzo era poi stato passato agli Animals.
La loro parziale riscrittura R&B (pubblicata nel 1965) incentrata su un insistente riff di chitarra e organo che Hilton Valentine e Alan Price avevano sviluppato da un passaggio strumentale dell’originale diventerà la versione più nota, piazzandosi al numero 3 delle chart inglesi e al numero 15 di quelle americane.
Ma il destino di Don ‘t Let Me Be Misunderstood non si è ancora compiuto: nel 1977 risorge in una torrenziale versione latin disco (16 minuti) firmata dai Santa Esmeralda, che scalerà di nuovo le classifiche e spopolerà sulle piste da ballo di tutto il mondo, sfoggiando un arrangiamento tanto interessante e cool che verrà ripescato anni dopo da Quentin Tarantino per una delle scene del suo cult movie Kill Bill Vol. 1 (2003).
Tra le altre cover, ne ricordiamo una di Joe Cocker (2004) e quella di Elvis Costello contenuta nel suo album del 1986 King Of America, con tanto di marimba: entrambe hanno come punto di riferimento la versione degli Animals.