dedicata alla gatta Luna: PER UN CANE, in ANTONIA POZZI, Desiderio di cose leggere, a cura di Elisabetta Vergani, Salani editore 2018

LUOGHI del LARIO e oltre ...


Per un cane

in ANTONIA POZZI, Desiderio di cose leggere, a cura di Elisabetta Vergani, Salani editore 2018


Sei stato con noi per undici anni

 Una sera siamo tornati:

eri disteso davanti al cancello

il muso nella polvere della strada

le zampe già fredde, il dorso

tepido ancora.
Ora sei tutto

nella buca che ti abbiamo scavata.
Ma gli undici anni

della tua umile vita

il gemere

per ognuno che partiva

il soffrire di gioia

per ognuno che ritornava

e verso sera

se qualcuno

per una sua tristezza

piangeva

tu gli leccavi le mani:

oh gli undici anni del tuo amore

tutto qui
sotto questa terra

sotto questa pioggia 

crudele?
Esitavi 

sulla ghiaia umida: 

sollevavi 

una zampa tremando 
Ora nessuno ti difende

dal freddo, 

Non ti si può chiamare

non ti si può più dare

niente. 
Sole le foglie fradicie morte

cadono su questo pezzo
di prato.
E pensare che…

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VINCENZO GUARRACINO: attimi di riflessione su Carlo Ferrario e Antonia Pozzi. “In un giorno di giugno / (io avevo sei anni)…”

CARLO FERRARIO E ANTONIA POZZI

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“In un giorno di giugno / (io avevo sei anni)…”

Paganus

Una precisazione cronologica, questa, che mi aveva incuriosito non poco, posto proprio all’inizio dell’ultima fatica poetica di Carlo Ferrario, ossia il “romanzo in versi” intitolato Paganus, in cui si racconta la storia di un’iniziazione alla vita sul teatro di un’età aurea che si avvia ad un tempo grigio di rovine e di violenza.

Posta come dicevo all’inizio della seconda delle 34 strofe di cui il poemetto si compone, mi ha indotto a interrogarmi sulla sua consistenza, sulle ragioni della sua perentoria verità, per darmi conto che si tratta di un atto in un certo modo fondativo. Come tutte le date che si rispettino assume infatti un carattere per così dire sacrale, da momento su cui si costituisce una piccola e privata storia sacra, come di un qualcosa da cui la vita dell’individuo acquista senso e significato: un momento di ordine ieratico che nel tempo agisce con forza ipnotica sulla coscienza e che anche inconsapevolmente insiste su parole, gesti e manifestazioni.

La risposta, come un’illuminazione, mi è venuta scorrendo i versi di un  bambino, che con fiabesca lievità parlano di cascine in mezzo a monti e a prati, di animaletti amati ancorché “birichini”, di lontani sogni marini, di sensazioni delicate: versi contrassegnati da una data, 1937, di un tal Ferrario, familiarmente denominato “Carluccio” e residente in una sorta di Valle dell’Eden in quel di Introbio, un luogo dove può intervenire a turbare i giorni anche la guerra e la morte, fermo restando che è ancora la fine di una giornata di giochi a diventare il principale motivo “di malinconia”.

Un lontano giorno di giugno di una fanciullezza incantata è, dunque, accaduto qualcosa che ha segnato la vita del poeta seienne, un evento che, stando al poemetto, si è scritto come una rottura, una lacerazione, l’interruzione di un ordine che nel tessuto della mitica trasposizione della storia operata in Paganus (il titolo è quanto mai significativo di una volontà di resistenza nella fede nella sacralità dei propri miti) e  si configura come traumatica, come fonte di disorientamento e di angoscia (così come conferma nella conclusione della terza strofa, “Ero piccolo allora / frastornato e pieno di paura”): passaggio da un sistema della familiarità e dell’inginocchiamento alla molteplice e meravigliosa naturalità delle cose e della vita ad un altro sistema gravato e condizionato da una ferrea Legge, da un’inflessibile “sudditanza” ad una auctoritas senza cuore.

Momento iniziatico, dunque, evento di un passaggio e di una trasformazione, capace di incidersi con il puntiglio della sua reiterazione nell’esperienza e di propagare i suoi influssi nell’avvenire, quali che siano.

Non diversamente dal sogno fondante di Orazio (Odi, III, 4) o del Rimbaud di un singolare poemetto in latino (“Tu vates eris”), in cui sulle ali di bianche colombe si inscrive la profezia di un destino di poesia, ma anche evento paragonabile a quello inscenato dal Leopardi dell’idillio Odi, Melisso, altrimenti noto come Lo spavento notturno, in cui la visione angosciosa della caduta della luna si configura come premonizione di tutte le perdite e cadute della vita.

vai alla scheda del libro

http://www.nodolibrieditore.it/scheda-libro/carlo-ferrario/paganus-9788871851471-156152.html

Paganus
titolo Paganus
sottotitolo L’ottavo dormiente. Con CD Audio
autore Carlo Ferrario
editore NodoLibri
formato Libro
collana I suoni
pagine 40
pubblicazione 2008

[news] La porta che si chiude – una serata con Antonia. Poesie di Antonia Pozzi

quando apro gli occhi mi si aprono le vene

Cari amici,

siete tutti invitati alla serata che si terrà Mercoledí 2 Dicembre alle 21 presso lo Spazio Sirin di via Vela 15.


Abbiamo deciso di curare una serata dove le bellissime poesie di Antonia Pozzi siano in dialogo con la musica del nostro duo di pianoforte e violino.

Abbiamo selezionato le poesie piú significative per noi e cercato le composizioni piú adatte a ciascuna di esse, nella speranza di dare vita a una serata semplice e intensa, per stare con Antonia.

La voce recitante è di Viviana Nicodemo, al violino Alice Marini e al pianoforte moi.
Come sempre nella speranza di vedervi presto, un caro saluto

Bianca Brecce

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TartaRugosa ha letto e scritto di: Graziella Bernabò (2012) Per troppa vita che ho nel sangue Antonia Pozzi e la sua poesia, Ancora Editrice, Milano

 TartaRugosa ha letto e scritto di: 

Graziella Bernabò (2012)

Per troppa vita che ho nel sangue

Antonia Pozzi e la sua poesia

Ancora Editrice, Milano 

E’ passato un anno e poco più dalla celebrazione del centenario della nascita di Antonia Pozzi (febbraio 1912). Questo libro giace sul mio tavolino dall’anno scorso, a conferma della proverbiale lentezza della mia specie.

Ma ora, in queste tetre e buie giornate invernali, è momento di riprenderlo in mano e rileggerlo con quel turbamento suscitato forse da un titolo così contradditorio “per troppa vita che ho nel sangue”, così lontano dall’idea che a soli 26 anni (3 dicembre 1938) Antonia abbia deciso di abbandonare la scena della vita.

D’altronde le biografie servono proprio a mettere in luce passaggi significativi per tentare di capire il mistero che ognuno di noi nasconde.

Spiegare le ragioni di un suicidio non è mai affare agevole. Scrive Bernabò: “Far dipendere la sua decisione finale semplicemente da una delusione amorosa significherebbe non capire la complessità e la profondità del suo dramma … Antonia avvertiva in sé una straordinaria energia vitale ed era portata ad esprimerla, nella vita come nell’arte, ma si accorgeva della difficoltà di viverla appieno in un universo raggelante”.

Per tentare di comprendere meglio occorre quindi contestualizzare l’epoca della sua esistenza e la cultura di quei tempi.

Antonia appartiene a una famiglia colta, raffinata e benestante: padre avvocato, madre contessa appassionata d’arte e di musica, nonno noto storico, nonna – nipote di Tommaso Grossi -vivace e sensibile, dai quali assorbe un appassionante e costante desiderio di apprendere. Accanto agli studi classici coltiva pertanto le sue passioni per la musica, il disegno, la scultura, le lingue straniere, gli sport del tennis, nuoto, equitazione, sci, alpinismo.

In particolare “l’amore per la montagna e le scalate non si risolse per Antonia in un semplice fatto sportivo, ma ebbe sempre un significato esistenziale profondo, fu cioè una ricerca, a volte anche ai limiti del sacrificio (aveva una debolezza congenita degli arti che le rendeva difficile arrampicarsi), di essenzialità, purezza e forza”.

Il suo luogo maggiormente amato è Pasturo, un piccolissimo paese ai piedi della Grigna “Quando dico che qui sono le mie radici non faccio solo un’immagine poetica. Perchè ad ogni ritorno fra questi muri, fra queste cose fedeli e uguali, di volta in volta ho deposto e chiarificato a me stessa i miei pensieri, i miei sentimenti più veri”. (Ed è proprio ai piedi delle sue mamme montagne che Antonia oggi riposa, secondo la sua volontà).

Apparentemente dunque la sua infanzia, costellata da figure parentali positive, è colorata di rosa. Ma Antonia ha troppa vita nel sangue e un padre che, pur agevolando ogni sua passione e aspirando a una sua emancipazione, resta controllore e censore di entusiasmi troppo accesi, “col comprensibile desiderio di proteggere dalla tempeste della vita una creatura tanto sensibile e vibrante qual era la figlia”.

La sua presenza decisionista si rivela in modo emblematico in occasione del giovanile innamoramento di Antonia verso Antonio Maria Cervi. Siamo nel 1927. Antonia frequenta la prima liceo e inizia a dedicarsi con assiduità alla poesia: “La poesia ha questo compito sublime di prendere tutto il dolore che ci spumeggia e ci romba nell’anima e di placarlo, di trasfigurarlo nella suprema calma dell’arte, così come sfociano i fiumi nella vastità celeste del mare. La poesia è una catarsi del dolore, così come l’immensità della morte è una catarsi della vita”.

Rimane affascinata dal professore di greco e latino e dalla passione con cui trasmette i suoi saperi ai giovani allievi, curandosi della loro formazione e approfondendo la loro cultura persino con regali di libri di alto contenuto a chi raggiungeva risultati brillanti. La sua natura evidentemente ha molte affinità con quella di Antonia (amore per la conoscenza, la poesia, l’arte, il bene, il bello). Questo fascino diventa presto amore, fortemente ostacolato dal padre “un uomo ambizioso come lui non avrebbe potuto aderire facilmente a un matrimonio non particolarmente prestigioso dell’unica figlia … le ragioni della sua opposizione erano prima di tutto la forte differenza di età e il fatto che Antonio Maria Cervi era meridionale e in quanto tale poco accetto alla buona società milanese degli anni Trenta”.

Il professor Cervi, di alta integrità morale, fu sempre estremamente corretto nei rapporti che ebbe con le sue allieve e anche quando si legò maggiormente ad Antonia, il suo sentimento rimase in gran parte quello di fratello maggiore, piuttosto che di amante. “Forse, a causa delle notevole differenza di età e di educazione, il suo affetto per lei acquistava alcune connotazioni paterne e tradizionaliste, che lo spingevano a trascurare il valore della passionalità e, più in generale, dell’emozionalità femminile di lei”.

Nel 1930 Antonia frequenta presso la Regia Università di Milano la facoltà di lettere e filosofia dove incontra maestri illustri e frequenta nuove importanti amicizie, fra cui Remo Cantoni, Dino Formaggio, Vittorio Sereni. Di questo periodo sono numerose le poesie dove Antonia racconta la sua travagliata storia d’amore che esplode drammaticamente nel 1931. In quell’estate infatti Antonia viene mandata dal padre in Inghilterra con la scusa di migliorare la conoscenza della lingua inglese, ma in realtà per essere allontanata dal professor Cervi che, offeso dal comportamento dimostrato nei suoi confronti, non incoraggia certamente la prosecuzione di quel rapporto. “Entrambi gli uomini della vita di Antonia, il padre e l’amato, rientravano in fondo in uno stesso sistema rigidamente patriarcale (tipico dell’Italia dell’epoca) che voleva ricondurla a una sorta di ordine: quello della figlia emancipata, ma ligia ai doveri del suo rango sociale, nel caso del padre; quello della sposa-madre portatrice di valori tradizionali nel caso di Cervi, con l’aggiunta, oltre tutto, dell’idea di una maternità di Antonia che gli restituisse il fratello morto Annunzio….Antonia andò incontro a una terribile crisi pur di non venir meno ai doveri verso di loro e per cercare di conciliarli, con il risultato di scontentare entrambi e di esaurire le proprie energie. … Ecco che allora i suoi veri e complessi desideri, le sue autentiche parole erano destinate a restare soffocate, e si delineava in lei l’idea della morte come restitutrice di serenità. Soltanto nella poesia poteva esplodere il suo desiderio di autenticità e di una libera ricerca di sé”.

Gli anni 1934 e 1935 sono riempiti da viaggi (Sicilia, Grecia, Africa mediterranea, Austria, Germania) e dalla scrittura della tesi su Flaubert.

La relazione con Cervi è definitivamente tramontata, pur lasciando ampia traccia nel poetare di Antonia.

Il lavoro sulla tesi e l’influenza di Banfi spingono Antonia ad accarezzare il progetto di passare dalla poesia alla prosa: “L’idea di per sé non sarebbe stata strana, conteneva anzi una progettualità interessante che avrebbe fatto capolino nelle ultime composizioni di Antonia, decisamente aperte al sociale; ma diventava negativa in quanto l’autrice, a causa dei giudizi negativi sui suoi versi ricevuti da Banfi e da Paci, viveva la sua vocazione poetica con una sorta di senso di colpa e si sentiva quasi delegittimata nel coltivarla … Tuttavia continuava a perdere energia, illudendosi di potersi volgere disinvoltamente alla prosa realistica, il che non le era molto congeniale e, forse, contribuì a deprimerla. Certo era ben lontana dal sospettare di essere giunta nella poesia a esiti di grande originalità. Solo molto più tardi tali risultati sarebbero stati valorizzati fino in fondo come fervida testimonianza di un momento particolarmente inquieto della cultura italiana ed europea e, nello stesso tempo, di un’autonoma voce di donna in un contesto intellettuale per il resto sostanzialmente maschile”.

Le sue poesie del 1935 mostrano una nuova illusione amorosa con Remo Cantoni e il mancato riconoscimento della sua poesia da parte dell’ambiente banfiano.

Forse per questo motivo nell’anno successivo, 1936, la produzione poetica cala e Antonia cerca una nuova ricostruzione di sé dedicandosi con intensità allo studio, allo sport, ai viaggi. Diventa anche più sistematico il gusto per la fotografia che “la porta a ricercare una solidità dell’esistente, e a ricercarla in un mondo semplice, contadino o montano che sia; essa diventa una forma di relazione affettiva col mondo nella quale Antonia esprime insieme l’angoscia-fascino della morte e l’amore per la vita”.

Il 1937 vede l’affacciarsi di una nuova amicizia con Dino Formaggio, grazie al quale Antonia scopre il quartiere operaio di Piazzale Corvetto. La sua poesia attraversa una nuova stagione “più complessa e originale, con una più ampia apertura alla realtà storica e sociale del suo tempo … un’apertura per lei dolorosa, a causa del contatto con un mondo di grande miseria e desolazione, ma in parte anche vitale, perché consona al suo essere più profondo, proteso fervidamente verso gli altri e verso una concreta realizzazione di sé nella vita pratica”.

E questa vitalità sembra accompagnarla nella progettazione dei nuovi impegni: ottiene una cattedra per l’insegnamento di materie letterarie presso l’Istituto Tecnico Schiaparelli, intraprende azioni di impegno sociale a favore dei poveri in compagnia dell’amica Lucia, intensifica la sua attività fotografica che andava di pari passo con la sua nuova ispirazione realistica.

Ma sono di quei tempi anche il progredire della violenza razzista di Mussolini e del regime fascista oramai allineati sulle posizioni della Germania nazista. Nel novembre 1938 circa cento professori ebrei furono allontanati dalle università italiane.

Antonia doveva sentirsi sempre più estranea all’ambiente familiare e, nello stesso tempo poco capita, per la sua collocazione sociale, dai compagni. Si affezionò ancora più a Dino. Scambiò forse l’estroversione e la cordialità dell’amico per qualcosa di più intenso, e ricominciò a sognare un avvenire di sposa e di madre”. Desiderio anche questa volta disatteso da Dino, il quale accettava null’altro che un forte rapporto di amicizia.

Questo è il quadro di quei tempi: lo scandire del trascorrere degli anni e la storia del primo Novecento è significativo per allargare lo sguardo sui disagi esistenziali di una donna e di un’epoca.
Sintetizza Bernabò a proposito della personalità di Antonia: “Certo una forte inquietudine, congiunta con un senso di insicurezza e, a volte, di inferiorità rispetto alla disinvoltura, reale o apparente, da lei percepita negli altri; un evidente desiderio di conferme affettive esterne, che la portava a caricare i rapporti privilegiati di forti aspettative, con una conseguente facilità alle delusioni e a uno spiccato senso di abbandono, una frequente tendenza al sogno; una sensibilità fuori del comune, che la spingeva ad assorbire la sofferenza umana e a farsene carico, vivendola frequentemente con un senso di colpa per la propria appartenenza sociale elevata. … La sensibilissima Antonia doveva sentirsi stretta tra l’aspirazione a un protagonismo culturale e letterario e il desiderio, invece, di una vita più semplice, all’insegna di quel sogno di felicità domestica che in quell’epoca pareva inevitabilmente connessa con il destino femminile…. Aspirava a esistere intera in un mondo che invece la voleva restringere nel ruolo tradizionale della ragazza della buona società … oppure la accettava solo in quanto mera ripetitrice di una cultura che, per quanto aperta e moderna rispetto ai tempi, le precludeva un’autentica emozionalità di donna e una vera espressione personale”.

Per troppa vita che ho nel sangue

tremo

nel vasto inverno

La potenzialità umana e artistica di Antonia, di straordinaria intensità, non trovando al suo manifestarsi un adeguato riconoscimento diventa probabilmente una delle cause della sua tragedia esistenziale, come se quella troppa vita implodesse dentro di lei, svuotandola e portandola a cercare nel vasto inverno un’altra felicità. 

Grazia Apisa Gloria legge la poesia SEDICI APRILE, GENIUS LOCI, ispirata ad Antona Pozzi e dedicata a me

Sedici aprile   Genius Loci  

                                         
Lei fu solo l’annuncio
Improvvisa la decisione
di vedere l’Angelo del luogo
Necessità  di nuovo sguardo
necessità di nuovi percorsi
nuovi spazi nello Spazio
Fu l’amore a condurmi
Fu l’amore a guidarmi
Qualcosa in me chiedeva
di vedere
Si vede sempre la seconda volta
Antonia
tu mi hai indotta all’incontro
con il tuo con il suo cielo
Tu hai cercato l’abbraccio di luce
il tuo adorato lago
Sulla Valsassina
verso Pasturo
la montagna innevata
abbracciata dai manti verdi
di colline e monti
si spalancò nel sole mattutino
Paesaggio campestre
sogno della tua infanzia
che mi ha guidato alla tua casa
al luogo della vita
al luogo della morte
Al luogo d’amore
Fu il tuo amore a condurmi
e le parole tue mi parlavano
di perdute tenerezze
E tu Amico
eri ad ogni mio passo
presente
con il tuo sguardo dolce
di poeta
mi hai aperto all’amore del luogo
al Genius Loci
al ritrovamento di un nuovo spazio
nello spazio
Per questo stamattina
la tua mano mi ha destata
ne ho percepito il tocco soave
ho udito ancor più forte
il tuo pensiero:
“Quando non ci sarò più…”
Sei tu     in me
oggi “l’angelo che qui
vicino a me sorride” 
Grazia Apisa Gloria
(Dedicata a Paolo Ferrario e ad Antonia Pozzi)
Genova, 20 aprile 2010
——————————
da un carteggio con Grazia Apisa:
è bellissima
già la poesia lo era. con quel tuo essere fra le mie montagne di lago sulle sue tracce
e poi il sogno del mattino …
ma qui la tua voce ne rafforza la potenza empatica
sono contento di esistere se ho saputo suscitare, con la mia ricerca di senso, di luogo, di comunicazione questa tua ispirazione
e poi c’è l’altra poetessa , quella antonia pozzi così desiderosa di amore, così sfortunata di padre e di tempo storico in cui è vissuta

Zelbio; Graziella Bernabò presenta la versione aggiornata del suo libro “Per troppa vita che ho nel sangue”, sulla poetessa Antonia Pozzi

Zelbio – La scrittrice Antonia Pozzi (Foto by Archive)

ZELBIO – http://www.zelbiocult. Navigateci e andateci, al festival culturale che da cinque anni dà lustro al paesino lariano di 200 anime.
Lì domani gli “Incontri d’autore” organizzati dalla Pro Loco ospiteranno Graziella Bernabò, a presentare la versione aggiornata del suo libro “Per troppa vita che ho nel sangue”, sulla poetessa Antonia Pozzi. Frequentatrice della Libreria delle donne di Milano, la professoressa Bernabò si occupa da tempo di letteratura femminile, e in special modo della poetessa milanese morta suicida nel 1938 a soli 26 anni. Su La Provincia in edicola il 31 agosto un approfondimento sull’ultimo appuntamento

Grazia Apisa Gloria, LA TUA SOMMESSA VOCE, ispirata alla poetessa Antonia Pozzi e dedicata a Paolo Ferrario

LA TUA SOMMESSA VOCE
                                                                   
Sono tornata a trovarti
e ho udito parlare
il tuo dolore
il tuo spezzato sogno
l’amore non vissuto
Ho ascoltato
il lieve tuo canto
in quella terra
avvolta nel silenzio
terra dove l’incanto
dolce
della primavera
può  rendere più acuto
il dolore del cuore
e la solitudine
diviene grave peso
di memorie
che accompagnano
note di morte
pensieri d’amore tramutano
in deserto
La tua sommessa voce
ho quasi udito
venirmi incontro
quasi lamento
Antonia
la tua anima
nell’abbraccio divino
ha forse oggi trovato
la pace
Lieve fu il tuo passare su questa terra
sconosciuta la tua poesia
poesia d’amore
di dolci armonie
che solo la natura
la vicinanza dei tuoi amati luoghi
ti concesse
Fu la tua vita un sospiro nel vento
l’impotenza di esistere
dove l’amore tace
Al cadere di foglie il vento sospirante
ti sottrasse all’inutile mondo
Lasciasti solo
la tua verde spoglia
e volasti lontano
nell’infinito cielo
che ti accolse e ti amò
nel firmamento di dilette stelle 

Grazia Apisa Gloria, Genova,27 marzo 2010
dedicata a Paolo Ferrario, che mi ha fatto conoscere Antonia Pozzi

Grazia Apisa Gloria, LA TUA SOMMESSA VOCE, ispirata alla poetessa Antonia Pozzi e dedicata a Paolo Ferrario

LUOGHI del LARIO e oltre ...

LA TUA SOMMESSA VOCE
                                                                   
Sono tornata a trovarti
e ho udito parlare
il tuo dolore
il tuo spezzato sogno
l’amore non vissuto
Ho ascoltato
il lieve tuo canto
in quella terra
avvolta nel silenzio
terra dove l’incanto
dolce
della primavera
può  rendere più acuto
il dolore del cuore
e la solitudine
diviene grave peso
di memorie
che accompagnano
note di morte
pensieri d’amore tramutano
in deserto
La tua sommessa voce
ho quasi udito
venirmi incontro
quasi lamento
Antonia
la tua anima
nell’abbraccio divino
ha forse oggi trovato
la pace
Lieve fu il tuo passare su questa terra
sconosciuta la tua poesia
poesia d’amore
di dolci armonie
che solo la natura
la vicinanza dei tuoi amati luoghi
ti concesse
Fu la tua…

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Lievi carezze di Antonia pozzi, letta e sentita attraverso lo sguardo e la sensibilità di Renèe

Proprio oggi, a scuola, ho fatto studiare una poesia di Antonia Pozzi:

Lieve carezza

E’ un testo molto bello, che innalza il potere della parola, facendone il mezzo per percorrere le Ombre, il viale deserto, l’aridità dell’anima.

La parola (la poesia) diventa, in ultimo, un ponte:

un ponte sottile, saldo,

bianco per attraversare le oscure voragini della vita

Le tre strofe di cui è composta iniziano tutte con “Vorrei”, anafora necessaria ad indicare il desiderio che si fa via via più intenso di “aiutare” un’altra anima ad entrare nell’oscuro per riscoprire il distendersi spaziale e temporale della luce

Renèe

Lievi carezze

di Antonia Pozzi

Vorrei che la mia anima ti fosse

leggera

come le estreme foglie

dei pioppi, che s’accendono al sole

in cima ai tronchi fasciati

di nebbia.

Vorrei condurti con le mie parole

per un deserto viale, segnato

d’esili ombre

fino a una valle d’erboso silenzio,

al lago

ove tinnisce per un fiato d’aria

il canneto

e le libellule si trastullano

con l’acqua non profonda.

Vorrei che la mia anima ti fosse

leggera,

che la mia poesia ti fosse un ponte,

sottile e saldo,

bianco

sulle oscure voragini

della terra.

Se leggi, vedi che, nelle tre strofe, si staglia netto il gioco cromatico di luce/ombra,

leggerezza come profondità emersa/libellula-contro profondità che inghiotte,

angustia versus spazialità.

E poi c’è quella sinestesia “erboso silenzio”, piazzata là ad accentuare il tintinnìo del canneto nel vento e, di contro, la grandissima pace del lago.

Renèe

Ecco: in una sabato novembrino Renèe mi accompagna ad una comprensione di come la lingua è messa al servizio della poesia

Grazie

Un abbraccio affettuoso

Paolo