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Categoria: Pozzi Antonia
dedicata alla gatta Luna: PER UN CANE, in ANTONIA POZZI, Desiderio di cose leggere, a cura di Elisabetta Vergani, Salani editore 2018
Per un cane
in ANTONIA POZZI, Desiderio di cose leggere, a cura di Elisabetta Vergani, Salani editore 2018
Sei stato con noi per undici anni
Una sera siamo tornati:
eri disteso davanti al cancello
il muso nella polvere della strada
le zampe già fredde, il dorso
tepido ancora.
Ora sei tutto
nella buca che ti abbiamo scavata.
Ma gli undici anni
della tua umile vita
il gemere
per ognuno che partiva
il soffrire di gioia
per ognuno che ritornava
e verso sera
se qualcuno
per una sua tristezza
piangeva
tu gli leccavi le mani:
oh gli undici anni del tuo amore
tutto qui
sotto questa terra
sotto questa pioggia
crudele?
Esitavi
sulla ghiaia umida:
sollevavi
una zampa tremando
Ora nessuno ti difende
dal freddo,
Non ti si può chiamare
non ti si può più dare
niente.
Sole le foglie fradicie morte
cadono su questo pezzo
di prato.
E pensare che…
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VINCENZO GUARRACINO: attimi di riflessione su Carlo Ferrario e Antonia Pozzi. “In un giorno di giugno / (io avevo sei anni)…”
CARLO FERRARIO E ANTONIA POZZI
“In un giorno di giugno / (io avevo sei anni)…”
Una precisazione cronologica, questa, che mi aveva incuriosito non poco, posto proprio all’inizio dell’ultima fatica poetica di Carlo Ferrario, ossia il “romanzo in versi” intitolato Paganus, in cui si racconta la storia di un’iniziazione alla vita sul teatro di un’età aurea che si avvia ad un tempo grigio di rovine e di violenza.
Posta come dicevo all’inizio della seconda delle 34 strofe di cui il poemetto si compone, mi ha indotto a interrogarmi sulla sua consistenza, sulle ragioni della sua perentoria verità, per darmi conto che si tratta di un atto in un certo modo fondativo. Come tutte le date che si rispettino assume infatti un carattere per così dire sacrale, da momento su cui si costituisce una piccola e privata storia sacra, come di un qualcosa da cui la vita dell’individuo acquista senso e significato: un momento di ordine ieratico che nel tempo agisce con forza ipnotica sulla coscienza e che anche inconsapevolmente insiste su parole, gesti e manifestazioni.
La risposta, come un’illuminazione, mi è venuta scorrendo i versi di un bambino, che con fiabesca lievità parlano di cascine in mezzo a monti e a prati, di animaletti amati ancorché “birichini”, di lontani sogni marini, di sensazioni delicate: versi contrassegnati da una data, 1937, di un tal Ferrario, familiarmente denominato “Carluccio” e residente in una sorta di Valle dell’Eden in quel di Introbio, un luogo dove può intervenire a turbare i giorni anche la guerra e la morte, fermo restando che è ancora la fine di una giornata di giochi a diventare il principale motivo “di malinconia”.
Un lontano giorno di giugno di una fanciullezza incantata è, dunque, accaduto qualcosa che ha segnato la vita del poeta seienne, un evento che, stando al poemetto, si è scritto come una rottura, una lacerazione, l’interruzione di un ordine che nel tessuto della mitica trasposizione della storia operata in Paganus (il titolo è quanto mai significativo di una volontà di resistenza nella fede nella sacralità dei propri miti) e si configura come traumatica, come fonte di disorientamento e di angoscia (così come conferma nella conclusione della terza strofa, “Ero piccolo allora / frastornato e pieno di paura”): passaggio da un sistema della familiarità e dell’inginocchiamento alla molteplice e meravigliosa naturalità delle cose e della vita ad un altro sistema gravato e condizionato da una ferrea Legge, da un’inflessibile “sudditanza” ad una auctoritas senza cuore.
Momento iniziatico, dunque, evento di un passaggio e di una trasformazione, capace di incidersi con il puntiglio della sua reiterazione nell’esperienza e di propagare i suoi influssi nell’avvenire, quali che siano.
Non diversamente dal sogno fondante di Orazio (Odi, III, 4) o del Rimbaud di un singolare poemetto in latino (“Tu vates eris”), in cui sulle ali di bianche colombe si inscrive la profezia di un destino di poesia, ma anche evento paragonabile a quello inscenato dal Leopardi dell’idillio Odi, Melisso, altrimenti noto come Lo spavento notturno, in cui la visione angosciosa della caduta della luna si configura come premonizione di tutte le perdite e cadute della vita.
vai alla scheda del libro
http://www.nodolibrieditore.it/scheda-libro/carlo-ferrario/paganus-9788871851471-156152.html
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[news] La porta che si chiude – una serata con Antonia. Poesie di Antonia Pozzi
quando apro gli occhi mi si aprono le vene
Cari amici,
siete tutti invitati alla serata che si terrà Mercoledí 2 Dicembre alle 21 presso lo Spazio Sirin di via Vela 15.
Abbiamo deciso di curare una serata dove le bellissime poesie di Antonia Pozzi siano in dialogo con la musica del nostro duo di pianoforte e violino.
Abbiamo selezionato le poesie piú significative per noi e cercato le composizioni piú adatte a ciascuna di esse, nella speranza di dare vita a una serata semplice e intensa, per stare con Antonia.
La voce recitante è di Viviana Nicodemo, al violino Alice Marini e al pianoforte moi.
Come sempre nella speranza di vedervi presto, un caro saluto
Bianca Brecce
La porta che si chiude – Antonia Pozzi
Rinascere – Antonia Pozzi
una antologia personale su Pozzi Antonia | da COATESA SUL LARIO … e dintorni
Prati – Antonia Pozzi
TartaRugosa ha letto e scritto di: Graziella Bernabò (2012) Per troppa vita che ho nel sangue Antonia Pozzi e la sua poesia, Ancora Editrice, Milano
TartaRugosa ha letto e scritto di:
Graziella Bernabò (2012)
Per troppa vita che ho nel sangue
Antonia Pozzi e la sua poesia
Ancora Editrice, Milano
E’ passato un anno e poco più dalla celebrazione del centenario della nascita di Antonia Pozzi (febbraio 1912). Questo libro giace sul mio tavolino dall’anno scorso, a conferma della proverbiale lentezza della mia specie.
Ma ora, in queste tetre e buie giornate invernali, è momento di riprenderlo in mano e rileggerlo con quel turbamento suscitato forse da un titolo così contradditorio “per troppa vita che ho nel sangue”, così lontano dall’idea che a soli 26 anni (3 dicembre 1938) Antonia abbia deciso di abbandonare la scena della vita.
D’altronde le biografie servono proprio a mettere in luce passaggi significativi per tentare di capire il mistero che ognuno di noi nasconde.
Spiegare le ragioni di un suicidio non è mai affare agevole. Scrive Bernabò: “Far dipendere la sua decisione finale semplicemente da una delusione amorosa significherebbe non capire la complessità e la profondità del suo dramma … Antonia avvertiva in sé una straordinaria energia vitale ed era portata ad esprimerla, nella vita come nell’arte, ma si accorgeva della difficoltà di viverla appieno in un universo raggelante”.
Per tentare di comprendere meglio occorre quindi contestualizzare l’epoca della sua esistenza e la cultura di quei tempi.
Antonia appartiene a una famiglia colta, raffinata e benestante: padre avvocato, madre contessa appassionata d’arte e di musica, nonno noto storico, nonna – nipote di Tommaso Grossi -vivace e sensibile, dai quali assorbe un appassionante e costante desiderio di apprendere. Accanto agli studi classici coltiva pertanto le sue passioni per la musica, il disegno, la scultura, le lingue straniere, gli sport del tennis, nuoto, equitazione, sci, alpinismo.
In particolare “l’amore per la montagna e le scalate non si risolse per Antonia in un semplice fatto sportivo, ma ebbe sempre un significato esistenziale profondo, fu cioè una ricerca, a volte anche ai limiti del sacrificio (aveva una debolezza congenita degli arti che le rendeva difficile arrampicarsi), di essenzialità, purezza e forza”.
Il suo luogo maggiormente amato è Pasturo, un piccolissimo paese ai piedi della Grigna “Quando dico che qui sono le mie radici non faccio solo un’immagine poetica. Perchè ad ogni ritorno fra questi muri, fra queste cose fedeli e uguali, di volta in volta ho deposto e chiarificato a me stessa i miei pensieri, i miei sentimenti più veri”. (Ed è proprio ai piedi delle sue mamme montagne che Antonia oggi riposa, secondo la sua volontà).
Apparentemente dunque la sua infanzia, costellata da figure parentali positive, è colorata di rosa. Ma Antonia ha troppa vita nel sangue e un padre che, pur agevolando ogni sua passione e aspirando a una sua emancipazione, resta controllore e censore di entusiasmi troppo accesi, “col comprensibile desiderio di proteggere dalla tempeste della vita una creatura tanto sensibile e vibrante qual era la figlia”.
La sua presenza decisionista si rivela in modo emblematico in occasione del giovanile innamoramento di Antonia verso Antonio Maria Cervi. Siamo nel 1927. Antonia frequenta la prima liceo e inizia a dedicarsi con assiduità alla poesia: “La poesia ha questo compito sublime di prendere tutto il dolore che ci spumeggia e ci romba nell’anima e di placarlo, di trasfigurarlo nella suprema calma dell’arte, così come sfociano i fiumi nella vastità celeste del mare. La poesia è una catarsi del dolore, così come l’immensità della morte è una catarsi della vita”.
Rimane affascinata dal professore di greco e latino e dalla passione con cui trasmette i suoi saperi ai giovani allievi, curandosi della loro formazione e approfondendo la loro cultura persino con regali di libri di alto contenuto a chi raggiungeva risultati brillanti. La sua natura evidentemente ha molte affinità con quella di Antonia (amore per la conoscenza, la poesia, l’arte, il bene, il bello). Questo fascino diventa presto amore, fortemente ostacolato dal padre “un uomo ambizioso come lui non avrebbe potuto aderire facilmente a un matrimonio non particolarmente prestigioso dell’unica figlia … le ragioni della sua opposizione erano prima di tutto la forte differenza di età e il fatto che Antonio Maria Cervi era meridionale e in quanto tale poco accetto alla buona società milanese degli anni Trenta”.
Il professor Cervi, di alta integrità morale, fu sempre estremamente corretto nei rapporti che ebbe con le sue allieve e anche quando si legò maggiormente ad Antonia, il suo sentimento rimase in gran parte quello di fratello maggiore, piuttosto che di amante. “Forse, a causa delle notevole differenza di età e di educazione, il suo affetto per lei acquistava alcune connotazioni paterne e tradizionaliste, che lo spingevano a trascurare il valore della passionalità e, più in generale, dell’emozionalità femminile di lei”.
Nel 1930 Antonia frequenta presso la Regia Università di Milano la facoltà di lettere e filosofia dove incontra maestri illustri e frequenta nuove importanti amicizie, fra cui Remo Cantoni, Dino Formaggio, Vittorio Sereni. Di questo periodo sono numerose le poesie dove Antonia racconta la sua travagliata storia d’amore che esplode drammaticamente nel 1931. In quell’estate infatti Antonia viene mandata dal padre in Inghilterra con la scusa di migliorare la conoscenza della lingua inglese, ma in realtà per essere allontanata dal professor Cervi che, offeso dal comportamento dimostrato nei suoi confronti, non incoraggia certamente la prosecuzione di quel rapporto. “Entrambi gli uomini della vita di Antonia, il padre e l’amato, rientravano in fondo in uno stesso sistema rigidamente patriarcale (tipico dell’Italia dell’epoca) che voleva ricondurla a una sorta di ordine: quello della figlia emancipata, ma ligia ai doveri del suo rango sociale, nel caso del padre; quello della sposa-madre portatrice di valori tradizionali nel caso di Cervi, con l’aggiunta, oltre tutto, dell’idea di una maternità di Antonia che gli restituisse il fratello morto Annunzio….Antonia andò incontro a una terribile crisi pur di non venir meno ai doveri verso di loro e per cercare di conciliarli, con il risultato di scontentare entrambi e di esaurire le proprie energie. … Ecco che allora i suoi veri e complessi desideri, le sue autentiche parole erano destinate a restare soffocate, e si delineava in lei l’idea della morte come restitutrice di serenità. Soltanto nella poesia poteva esplodere il suo desiderio di autenticità e di una libera ricerca di sé”.
Gli anni 1934 e 1935 sono riempiti da viaggi (Sicilia, Grecia, Africa mediterranea, Austria, Germania) e dalla scrittura della tesi su Flaubert.
La relazione con Cervi è definitivamente tramontata, pur lasciando ampia traccia nel poetare di Antonia.
Il lavoro sulla tesi e l’influenza di Banfi spingono Antonia ad accarezzare il progetto di passare dalla poesia alla prosa: “L’idea di per sé non sarebbe stata strana, conteneva anzi una progettualità interessante che avrebbe fatto capolino nelle ultime composizioni di Antonia, decisamente aperte al sociale; ma diventava negativa in quanto l’autrice, a causa dei giudizi negativi sui suoi versi ricevuti da Banfi e da Paci, viveva la sua vocazione poetica con una sorta di senso di colpa e si sentiva quasi delegittimata nel coltivarla … Tuttavia continuava a perdere energia, illudendosi di potersi volgere disinvoltamente alla prosa realistica, il che non le era molto congeniale e, forse, contribuì a deprimerla. Certo era ben lontana dal sospettare di essere giunta nella poesia a esiti di grande originalità. Solo molto più tardi tali risultati sarebbero stati valorizzati fino in fondo come fervida testimonianza di un momento particolarmente inquieto della cultura italiana ed europea e, nello stesso tempo, di un’autonoma voce di donna in un contesto intellettuale per il resto sostanzialmente maschile”.
Le sue poesie del 1935 mostrano una nuova illusione amorosa con Remo Cantoni e il mancato riconoscimento della sua poesia da parte dell’ambiente banfiano.
Forse per questo motivo nell’anno successivo, 1936, la produzione poetica cala e Antonia cerca una nuova ricostruzione di sé dedicandosi con intensità allo studio, allo sport, ai viaggi. Diventa anche più sistematico il gusto per la fotografia che “la porta a ricercare una solidità dell’esistente, e a ricercarla in un mondo semplice, contadino o montano che sia; essa diventa una forma di relazione affettiva col mondo nella quale Antonia esprime insieme l’angoscia-fascino della morte e l’amore per la vita”.
Il 1937 vede l’affacciarsi di una nuova amicizia con Dino Formaggio, grazie al quale Antonia scopre il quartiere operaio di Piazzale Corvetto. La sua poesia attraversa una nuova stagione “più complessa e originale, con una più ampia apertura alla realtà storica e sociale del suo tempo … un’apertura per lei dolorosa, a causa del contatto con un mondo di grande miseria e desolazione, ma in parte anche vitale, perché consona al suo essere più profondo, proteso fervidamente verso gli altri e verso una concreta realizzazione di sé nella vita pratica”.
E questa vitalità sembra accompagnarla nella progettazione dei nuovi impegni: ottiene una cattedra per l’insegnamento di materie letterarie presso l’Istituto Tecnico Schiaparelli, intraprende azioni di impegno sociale a favore dei poveri in compagnia dell’amica Lucia, intensifica la sua attività fotografica che andava di pari passo con la sua nuova ispirazione realistica.
Ma sono di quei tempi anche il progredire della violenza razzista di Mussolini e del regime fascista oramai allineati sulle posizioni della Germania nazista. Nel novembre 1938 circa cento professori ebrei furono allontanati dalle università italiane.
“Antonia doveva sentirsi sempre più estranea all’ambiente familiare e, nello stesso tempo poco capita, per la sua collocazione sociale, dai compagni. Si affezionò ancora più a Dino. Scambiò forse l’estroversione e la cordialità dell’amico per qualcosa di più intenso, e ricominciò a sognare un avvenire di sposa e di madre”. Desiderio anche questa volta disatteso da Dino, il quale accettava null’altro che un forte rapporto di amicizia.
Questo è il quadro di quei tempi: lo scandire del trascorrere degli anni e la storia del primo Novecento è significativo per allargare lo sguardo sui disagi esistenziali di una donna e di un’epoca.
Sintetizza Bernabò a proposito della personalità di Antonia: “Certo una forte inquietudine, congiunta con un senso di insicurezza e, a volte, di inferiorità rispetto alla disinvoltura, reale o apparente, da lei percepita negli altri; un evidente desiderio di conferme affettive esterne, che la portava a caricare i rapporti privilegiati di forti aspettative, con una conseguente facilità alle delusioni e a uno spiccato senso di abbandono, una frequente tendenza al sogno; una sensibilità fuori del comune, che la spingeva ad assorbire la sofferenza umana e a farsene carico, vivendola frequentemente con un senso di colpa per la propria appartenenza sociale elevata. … La sensibilissima Antonia doveva sentirsi stretta tra l’aspirazione a un protagonismo culturale e letterario e il desiderio, invece, di una vita più semplice, all’insegna di quel sogno di felicità domestica che in quell’epoca pareva inevitabilmente connessa con il destino femminile…. Aspirava a esistere intera in un mondo che invece la voleva restringere nel ruolo tradizionale della ragazza della buona società … oppure la accettava solo in quanto mera ripetitrice di una cultura che, per quanto aperta e moderna rispetto ai tempi, le precludeva un’autentica emozionalità di donna e una vera espressione personale”.
Per troppa vita che ho nel sangue
tremo
nel vasto inverno
La potenzialità umana e artistica di Antonia, di straordinaria intensità, non trovando al suo manifestarsi un adeguato riconoscimento diventa probabilmente una delle cause della sua tragedia esistenziale, come se quella troppa vita implodesse dentro di lei, svuotandola e portandola a cercare nel vasto inverno un’altra felicità.
Grazia Apisa Gloria legge la poesia SEDICI APRILE, GENIUS LOCI, ispirata ad Antona Pozzi e dedicata a me
Sedici aprile Genius Loci
già la poesia lo era. con quel tuo essere fra le mie montagne di lago sulle sue tracce
e poi il sogno del mattino …
ma qui la tua voce ne rafforza la potenza empatica
sono contento di esistere se ho saputo suscitare, con la mia ricerca di senso, di luogo, di comunicazione questa tua ispirazione
e poi c’è l’altra poetessa , quella antonia pozzi così desiderosa di amore, così sfortunata di padre e di tempo storico in cui è vissuta
Zelbio; Graziella Bernabò presenta la versione aggiornata del suo libro “Per troppa vita che ho nel sangue”, sulla poetessa Antonia Pozzi
ZELBIO – http://www.zelbiocult. Navigateci e andateci, al festival culturale che da cinque anni dà lustro al paesino lariano di 200 anime.
Lì domani gli “Incontri d’autore” organizzati dalla Pro Loco ospiteranno Graziella Bernabò, a presentare la versione aggiornata del suo libro “Per troppa vita che ho nel sangue”, sulla poetessa Antonia Pozzi. Frequentatrice della Libreria delle donne di Milano, la professoressa Bernabò si occupa da tempo di letteratura femminile, e in special modo della poetessa milanese morta suicida nel 1938 a soli 26 anni. Su La Provincia in edicola il 31 agosto un approfondimento sull’ultimo appuntamento
Grazia Apisa Gloria, LA TUA SOMMESSA VOCE, ispirata alla poetessa Antonia Pozzi e dedicata a Paolo Ferrario
Grazia Apisa Gloria, LA TUA SOMMESSA VOCE, ispirata alla poetessa Antonia Pozzi e dedicata a Paolo Ferrario
LA TUA SOMMESSA VOCESono tornata a trovartie ho udito parlareil tuo doloreil tuo spezzato sognol’amore non vissutoHo ascoltatoil lieve tuo cantoin quella terraavvolta nel silenzioterra dove l’incantodolcedella primaverapuò rendere più acutoil dolore del cuoree la solitudinediviene grave pesodi memorieche accompagnanonote di mortepensieri d’amore tramutanoin desertoLa tua sommessa voceho quasi uditovenirmi incontroquasi lamentoAntoniala tua animanell’abbraccio divinoha forse oggi trovatola paceLieve fu il tuo passare su questa terrasconosciuta la tua poesiapoesia d’amoredi dolci armonieche solo la naturala vicinanza dei tuoi amati luoghiti concesseFu la tua…
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Grazia Apisa Gloria, La tua sommessa voce. Dedicata a Paolo Ferrario, che mi ha fatto conoscere Antonia Pozzi, 27 marzo 2010


Lievi carezze di Antonia pozzi, letta e sentita attraverso lo sguardo e la sensibilità di Renèe
Proprio oggi, a scuola, ho fatto studiare una poesia di Antonia Pozzi:
E’ un testo molto bello, che innalza il potere della parola, facendone il mezzo per percorrere le Ombre, il viale deserto, l’aridità dell’anima.
La parola (la poesia) diventa, in ultimo, un ponte:
” un ponte sottile, saldo,
bianco per attraversare le oscure voragini della vita“
Le tre strofe di cui è composta iniziano tutte con “Vorrei”, anafora necessaria ad indicare il desiderio che si fa via via più intenso di “aiutare” un’altra anima ad entrare nell’oscuro per riscoprire il distendersi spaziale e temporale della luce
Renèe
Lievi carezze
di Antonia Pozzi
Vorrei che la mia anima ti fosse
leggera
come le estreme foglie
dei pioppi, che s’accendono al sole
in cima ai tronchi fasciati
di nebbia.
Vorrei condurti con le mie parole
per un deserto viale, segnato
d’esili ombre
fino a una valle d’erboso silenzio,
al lago
ove tinnisce per un fiato d’aria
il canneto
e le libellule si trastullano
con l’acqua non profonda.
Vorrei che la mia anima ti fosse
leggera,
che la mia poesia ti fosse un ponte,
sottile e saldo,
bianco
sulle oscure voragini
della terra.
Se leggi, vedi che, nelle tre strofe, si staglia netto il gioco cromatico di luce/ombra,
leggerezza come profondità emersa/libellula-contro profondità che inghiotte,
angustia versus spazialità.
E poi c’è quella sinestesia “erboso silenzio”, piazzata là ad accentuare il tintinnìo del canneto nel vento e, di contro, la grandissima pace del lago.
Renèe
Ecco: in una sabato novembrino Renèe mi accompagna ad una comprensione di come la lingua è messa al servizio della poesia
Grazie
Un abbraccio affettuoso
Paolo