Categoria: The Necks: Abraham, Buck, Swanton
gli australiani THE NECKS: Pele
vai a:
https://thenecksau.bandcamp.com/track/pele
- la batteria dà la struttura fondante e segnala il cambio della velocità
- il basso tiene assieme
- il piano intarsia la melodia
- parte dimesso e cresce lentamente
CASA FANNO ì The Necks ? CREANO UNO SPAZIO
i loro pezzi mi emozionano sempre
I Necks sono un trio jazz d’avanguardia australiano formato nel 1987 dai pilastri della fondazione
Chris Abrahams al piano e organo Hammond,
Tony Buck alla batteria, percussioni e chitarra elettrica
e Lloyd Swanton al basso e contrabbasso.
Suonano brani di improvvisazione della durata massima di un’ora che esplorano lo sviluppo e la scomparsa delle figure musicali ripetute.
Il loro doppio album in studio Unfold è stato nominato da Rolling Stone come “uno dei 20 migliori album avant del 2017”.
THE NECKS, THREE, 2020
i THE NECKS al festival JAZZ IS DEAD, Venerdì 24 maggio 2019, Via S. Pietro in Vincoli, 28, 10152 Torino TO
vai a
vai al sito della manifestazione:
https://www.jazzisdeadfestival.it/
Venerdì 24 maggio – ASSE Y
Verticale come l'elettronica minimalista, strutturata con progressione
ascendente e discendente.
The Necks live
Tomaga live
Lino Capra Vaccina live
Luca Lozano dj set
Emiliano Comollo dj set
Seven Sins dj set
i The Necks
The Necks: “The greatest trio on earth” New York Times, Geoff Dyer
Un classico piano trio che sovverte i canoni e sa rendere speciale e
indimenticabile ogni performance.
Ogni performance dei The Necks è un singolo evento, interamente
improvvisato e in accordo con l’acustica dello spazio ospitante.
qui tutti i miei post dedicati ai THE NECKS
https://traccesent.com/category/musica/the-necks-abraham-buck-swanton/
The Necks | il profilo musicale di Stefano Pifferi in sentireascoltare.com
THE NECKS, Chris Abrahams piano, Lloyd Swanton bass, Tony Buck drums, in BIMHUIS Radio | Mixcloud, 17 maggio 2019. AUDIO, 1 ora e 18 minuti
The Necks
Chris Abrahams piano, Lloyd Swanton bass, Tony Buck drums
Endlessly fascinating, hypnotic improvisations on piano, double bass and percussion by The Necks, the Australian trio that achieved a world wide cult status.
The Australian trio The Necks plays slowly unfolding, hypnotic improvisations that touch on all kinds of music, from Western minimalism to African trance and from to ambient to contemporary electronic music. Every other set of The Necks is another slowly unfolding improvisation based on the interaction between piano, bass and percussion.
In the late 1980s the three jazz musicians of The Necks sought an alternative to the busy chord progressions and solos of their contemporaries. The rhythm section on the album In a Silent Way by Miles Davis was an important source of inspiration.
Recording: Micha de Kanter
dal sito The Necks (17-05-2019) by BIMHUIS Radio | Mixcloud
May 2019
Sat 11th – Musique Action #35, Nancy, France
Sun 12th – AMR, Geneva, Switzerland
Mon 13th – Dachstock, Bern, Switzerland
Wed 15th – gnration, Braga, Portugal
Thu 16th – Culturgest, Lisbon, Portugal
Fri 17th – BIMHUIS, Amsterdam, The Netherlands
Sat 18th – Jazz Cerkno, Cerkno, Slovenia
Mon 20th – Kafe Haerverk, Oslo, Norway
Tue 21st – DOM, Moscow, Russia
Wed 22st – Closer, Kiev, Ukraine
Fri 24th – Jazz Is Dead, Torino, Italy
Sun 26th – St Lukes Queens Park, Brighton, United Kindgom
Mon 27th – EartH, London, United Kingdom
Tue 28th – Exchange Bristol, Bristol, United Kingdom
Thu 30th – Primavera Sound, Barcelona, Spain
i THE NECKS su Youtube
la musica dei THE NECKS, audiovideo su Youtube
direttamente dall’Australia l’ultimo CD dei THE NECKS: BODY, ottobre 2018
The Necks NTS, Live at Cafe Oto
THE NECKS, BODY, album musicale del 2018
GEOFF DYER, sulla musica dei THE NECKS, in: La musica che abbiamo attraversato, a cura di Ranieri Polese, Editore Guanda, 2005, Traduzione di Giovanni Garbellini
la musica dei THE NECK su Youtube
https://www.youtube.com/results?search_query=the+necks+complete
Geoff Dyer, sulla musica dei The Necks
Se la musica di Molvaer si può definire post-jazz, allora quella dei Necks va considerata a buon diritto «post-tutto». A volte vengono definiti un trio jazz, e va bene; basta aggiungere subito che hanno completamente rivisto l’idea di base di una simile formazione.
L’accoglienza estatica ricevuta dall’Esbjorn Svensson Trio alla Royal Festival Hall nel 2003 durante il London Jazz Festival è stata vista da qualcuno come il segno che per quanto riguarda l’innovazione il testimone era passato dall’America all’Europa, e in particolare alla Scandinavia. Considerate quanto disti l’Esbjorn Svensson Trio dal genere di cose che continuano a propinare gruppi come il Tommy Flanagan Trio e vi farete un’idea di quanto i Necks abbiano superato il trio svedese. Ciò significa, se vogliamo dare una sède geografica all’innovazione, che la nuova frontiera del jazz è l’Australia.
Ho detto «nuova», ma Chris Abrahams (tastiere), Tony Buck (batteria) e Lloyd Swanton (basso) suonano insieme da più di quindici anni. Vengono da Sydney e forse la loro distanza dai centri tradizionali del miglior jazz può aver giocato un certo ruolo nella loro originalità innovativa. Forse spiega anche perché il loro seguito di appassionati, benché fedelissimo, sia ancora relativamente ridotto.
Sia dal vivo che su disco una tipica esibizione dei Necks consiste in un unico brano lungo un’ora che cresce lentamente d’intensità e complessità. A sottolìneare ancor più questa continuità, il loro secondo disco Next (1990) iniziava con dieci secondi del primo, Sex (1989). Il minimalismo sublime di Aether (2001) porta questo approccio — o meglio, lo riduce — a una nuova dimensione: un pezzo intero basato su un unico brillante accordo. Mi piace questa scelta scomoda e coraggiosa: in una cultura caratterizzata più che altro dalla labilità dell’attenzione ascoltare i Necks necessita di un tipo di concentrazione assoluta, simile a quella richiesta dai raga indiani. j
Dal vivo di solito suonano in formazione acustica. I dischi in studio aggiungono qua e là a piano, basso e batteria un suono vorticoso di organo elettrico e piano Rhodes che da al loro sound un tocco alla Miles Davis anni ’70: lo si nota soprattutto in Hanging Gardens (1999). Miles prendeva a prestito e incorporava nella sua musica ciò che a suo giudizio — e a volte si sbagliava — era il meglio degli altri generi di musica leggera contemporanea; i Necks, come Molvaer, hanno accolto la ripetizione ipnotica tipica della miglior musica elettronica. Come concessione alle performance dal vivo, ì creatori di musica programmata fanno delle improvvisazioni di qualche sorta, che spesso non vanno oltre un gran girar di manopole tanto per fare scena. Qui, i loop interminabili, i giri di basso e le parti di batteria programmate sono di nuovo in mano a musicisti che improvvisano liberamente, creando un tappeto sonoro infinito. Ci sono echi del fluire incontrollato del trio di Jarrett, che i Necks talvolta ricordano. E’ particolarmente vero in «Pelè», contenuto in Next, che dura mezz’ora: un pezzo corto, per le abitudini del gruppo. In altri momenti sembrano sul punto di passare alla pura dance music. Non succede quasi mai del tutto, ma l’attesa crescente crea una suspense incredibile. Ecco che si spiega la sensazione di trovarsi ad ascoltare una musica guidata da suoi elementi latenti, e qui torna la similitudine con la musica classica indiana.
Come suggerisce il titolo, Drive By, il loro disco del 2004 è ottimo da ascoltare mentre si guida, e non solo perché sì slancia verso un orizzonte che continua ad allontanarsi. È musica che contiene lo spazio che attraversa. I Necks sono ispirati forse dall’abilità che Miles aveva di riempirla propria musica di spazi, ma sembra probabile che l’apertura del loro stile abbia radici più profonde, nell’immenso paesaggio australiano. Ne è testimonianza il fatto che a volte ci si sente così cullati da pensare che i loro brani siano monotoni, per poi accorgersi che la musica è completamante cambiata senza riuscire a dire quando quel cambiamento è avvenuto. È musica immutabile e in continuo cambiamento e non c’è modo di sapere dove porterà quel viaggio in stato di trance. Come annotò D.H. Lawrence durante il suo viaggio in Australia nel 1922, c’è «una specie di richiamo nel bush. Ci si potrebbe ritrovare fuori dal mondo, sull’orlo dell’altrove».
Lo si percepisce intensamente in Drive By, che volteggia attraverso paesaggi da sogno ambient, giochi di bambini, grilli, alveari, evocati tutti da suoni «trovati per caso». Mentre gli album precedenti erano dischi affidabili e un po’ disadorni composti di improvvisazioni continue «in diretta», Drive By è costituito da segmenti che sono stati ristrutturati in fase di edizione, ricchi di overdubbing, come una colonna sonora per un film ancora da girare.
Drive By ha le potenzialità per essere il disco che farà conoscere i Necks a un pubblico di massa. A scanso della possibilità che qualcuno lo interpreti come un rilassamento e un ammorbidimento del loro stile, a quel disco ha fatto seguito nel 2005 un doppio CD, Mosquito/See Through, astratto, minimalista e difficile come e più dei precedenti. Non so neanche se mi piace ascoltarlo, non sono sicuro di essere in grado di dedicargli il tempo e la concentrazione che richiede, ma adoro quel disco e amo i Necks: bisognerebbe essere matti per pensare il contrario.
In La musica che abbiamo attraversato, a cura di Ranieri Polese, Editore Guanda, 2005, Traduzione di Giovanni Garbellini
E con le connessioni della rete sono arrivato al sito www.debaser.it, dove ho trovato questa bella memoria dell’organizzatore della casa editrice Instar:
…. permettimi un ricordo in questa pagina, in qualche modo legato alla tua recensione. Dopo aver letto il libro di Dyer ebbi occasione di conoscere l’editore che lo pubblicò in Italia, per la Instar libri, Gianni Borgo. Era giovane, preparatissimo, attento ad ogni piccolo dettaglio e aveva una cura preziosa di ogni cosa avesse relazione con i libri che pubblicava. E naturalmentre era stato lui a lavorare alla pubblicazione di “Natura..” in prima persona. Io avevo in mente la traduzione di un romanzo di un autore spagnolo, insieme ad un’amica, e così ci incontarammo un paio di volte. Il progetto non ebbe seguito e non lo vidi più. Ho poi saputo della sua scomparsa, giunta prematura, credo nel 2000 o 2001. Anche se non esisteva alcuna forma di conoscenza, se non quella occasionale descritta, devo confessare che fui molto colpito e, in qualche modo, addolorato. Era persona gentile e seria, così appassionata del proprio lavoro. E ha asciato una casa editrice colma di ottimi titoli, con uno spirito e un’approccio davvero interessanti. Volevo ricordarlo e tributargli un saluto. In qualche modo è anche un invito ai pasanti di DeBaser ad accostarsi a quella casa editrice, magari partendo proprio da “Natura morta con custodia di sax”. Scusa l’intrusione e bai bai.
Nome: Mr.NoBodyAndSOul
Conclusione: la rete Web è la più grande conquista dell’umanità se consente anche di portare un fiore al cimitero dove riposa un paziente organizzatore della cultura. Quelle persone che vivono nell’ombra per far mettere al mondo cultura e relazioni intersoggettive. Senza Gianni Borgo nessuno in Italia avrebbe potuto leggere Geoff Dyer (e invito alla lettura delle sue opere: nei prossimi giorni organizzerò anche questa bibliografia)
Grazie a Mr.NoBodyAndSOul, cui ho risposto:
Caro MRNOBODYANDSOUL. Nessuna intrusione la tua, ma una vera emozione. Grazie molto per il tuo ricordo per il realizzatore della casa editrice Instar Libri (quindi, per i passanti su DeBaser: Geoff Dyer, Natura morta con custodia di sax, Instar Libri, 1993). La vita umana è costellata e illuminata da questi apparentemente piccoli organizzatori che, lavorando nell’ombra, rendono possibile dare agli altri qualcosa di importante, come la bellezza artistica. E ricordarsi di loro è è una umanissima azione, come portare un fiore al cimitero. Grazie ancora
la musica Jazz dei THE NECKS, dischi ricordati da Paolo Ferrario, Italia
Toni Buck, Batteria Lloyd Swanton, Contrabbasso Chris Abrahams, Piano
The Necks: Official Homepage
La musica che ho sempre cercato e che, nel gennaio 2006 ho finalmente trovato. Come i tesori delle terre sconosciute.
Nella storia del Jazz spesso si legge che, nei momenti di svolta, gli appassionati ascoltatori dicevano “c’è uno che suona in modo nuovo” e correvano a sentirlo. E’ avvenuto per Louis Armstrong, che con West End Blues (1929) innovava nel Jazz di New Orleans. E ancora con le orchestre di Duke Ellington. Poi con il Bebop di Charlie Parker. Con The Birth of Cool di Miles Davis. E ancora con Olè di Coltrane. E ancora con il Jazz nordico di Garbarek. Ma sono molte le svolte.
Ci sono vari modi, non incompatibili, per suonare il Jazz: quello degli Standard (e si può farlo in modo mirabile come il Trio di Keith Jarrett), quello della tradizione (come continua a fare con encomiabile coerenza Winton Marsalis), quello della rielaborazione del Pop (in Italia ricordo Danilo Rea e i Doctor 3). E ancora altri.
Ma oggi la nuova frontiera la stanno percorrendo i Necks, un gruppo australiano che lavora da 15 anni e che persegue con ammirevole coerenza un progetto musicale unico. Di loro si dice:
“Entirely new and entirely now. They produce a post-jazz, post-rock, post-everything sonic experience that has few parallels or rivals” (da The Guardian)
I Necks hanno qualche precursore, ma pochi imitatori. Il loro è Jazz minimale, è Post-Jazz, è Post-Tutto, come di loro dice Geoff Dyer.
Certo sembra stupefacente che è dall’Australia che arrivino questi esploratori psichici della musica Jazz. Ma pensando A Picnic ad Hanging Rock di Peter Weir non è poi così strano.
Forse gli australiani sanno mettere bene assieme modernità, ambiente incontaminato e sogno.
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su i THE NECKS – Toni Buck, Batteria; Lloyd Swanton, Contrabbasso; Chris Abrahams, Piano. Album dei ricordi a cura di Paolo Ferrario
The Necks: Official Homepage
La musica che ho sempre cercato e che, nel gennaio 2006 ho finalmente trovato. Come i tesori delle terre sconosciute.
Nella storia del Jazz spesso si legge che, nei momenti di svolta, gli appassionati ascoltatori dicevano “c’è uno che suona in modo nuovo” e correvano a sentirlo. E’ avvenuto per Louis Armstrong, che con West End Blues (1929) innovava nel Jazz di New Orleans. E ancora con le orchestre di Duke Ellington. Poi con il Bebop di Charlie Parker. Con The Birth of Cool di Miles Davis. E ancora con Olè di Coltrane. E ancora con il Jazz nordico di Garbarek. Ma sono molte le svolte.
Ci sono vari modi, non incompatibili, per suonare il Jazz: quello degli Standard (e si può farlo in modo mirabile come il Trio di Keith Jarrett), quello della tradizione (come continua a fare con encomiabile coerenza Winton Marsalis), quello della rielaborazione del Pop (in Italia ricordo Danilo Rea e i Doctor 3). E ancora altri.
Ma oggi la nuova frontiera la stanno percorrendo i Necks, un gruppo australiano che lavora da 15 anni e che persegue con ammirevole coerenza un progetto musicale unico. Di loro si dice:
“Entirely new and entirely now. They produce a post-jazz, post-rock, post-everything sonic experience that has few parallels or rivals” (da The Guardian)
I Necks hanno qualche precursore, ma pochi imitatori. Il loro è Jazz minimale, è Post-Jazz, è Post-Tutto, come di loro dice Geoff Dyer.
Certo sembra stupefacente che è dall’Australia che arrivino questi esploratori psichici della musica Jazz. Ma pensando A Picnic ad Hanging Rock di Peter Weir non è poi così strano.
Forse gli australiani sanno mettere bene assieme modernità, ambiente incontaminato e sogno.
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Il meraviglioso equivoco di The Necks | da Il giornale della musica, 28 novembre 2017
…..
le liquide meditazioni del trio, impegnato in due set di tre quarti d’ora intervallati da una breve pausa e calorosamente applaudito da poco meno di cinquecento persone (coerenza e dedizione, grazie a dio, ancora pagano). Applausi meritatissimi dopo l’ennesima, strabiliante dimostrazione di unicità.
Nel rispetto di una visione ormai perfettamente centrata e di un approccio ritualistico (quasi sciamanico) alla narrazione (e all’estraniazione) che è il marchio di fabbrica di Chris Abrahams(pianoforte), Lloyd Swanton (contrabbasso) e Tony Buck (batteria e percussioni). Note cristalline e palpiti, rintocchi metallici e pulsazioni esitanti, sfasamenti millimetrici e reiterazioni ipnotiche che si addensano e si autorigenerano con implacabile coerenza, dando forma e vita a lentissimi crescendo. Vertigini per chi ascolta, accompagnate dalla sensazione di fluttuare in una dimensione in cui tutto cambia senza cambiare, in cui tutto si muove senza muoversi, in cui il tempo passa senza passare. Un eterno e instabile presente. Fatto di arpeggi dolcissimi e scheletrici distillati dalle dita di Abrahams, con il contrabbasso di Swanton libero di muoversi intorno al flusso, assecondandolo o complicandolo, mentre dalla batteria e dalle percussioni di Buck si leva un fitto e incessante pulviscolo di scampanellii, accenni, figure metriche spettrali, battiti irregolari e imprevedibili contrappunti.
…
via Il meraviglioso equivoco di The Necks | Il giornale della musica
uno dei capolavori dei THE NECKS
Le date dei concerti dei THE NECKS
Legendary Australian trio THE NECKS improvise with conductor Ilan Volkov and the BBC SSO
The Necks, UNFOLD , in IndieForBunnies
Diciannovesimo disco per i The Necks, leggendaria assemble australiana che, attraverso una produzione ampia e articolata, hanno unito jazz, free jazz, elettronica, ambient, avantgarde e minimalismo. Quasi trent’anni di carriera per la band composta da Lloyd Swanton, Tony Buck e Chris Abrahams e che con “Unfold” provano a cambiare le loro regole.
…
“Unfold” ha tutte le caratteristiche dei The Necks, con al centro di tutto la batteria sincopata di Tony Buck che si espande, si contrae sferraglia e tintinna. Il piano o l’organo di Abrahams e il basso di Swanton seguo le direttive delle percussioni e si passa spesso da una tempesta sonora ad una calma meditativa. Gli strumenti si intrecciano, disorientando chi ascolta. Il loro swing anche in questa occasione è nebuloso e rievoca post-rock, soul, gospel e gli insegnamenti minimalisti di Karlheinz Stockhausen.
…
un disco coraggioso che ci svela il lato più grezzo dei The Necks e conserva una certa originalità che, anche a distanza di quasi tre lustri, il trio ha mantenuto.
tutto l’articolo qui:
Sorgente: The Necks – Unfold | IndieForBunnies
THE NECKS, Unfold, 2016. Recensione di Lino Brunetti in Buscadero
un estratto da Blue Mountains
Carteggio
caro roberto
in questi giorni sto ascoltando l’ultimo disco dei the necks, che tu molto gentilmente mi hai inviato
straordinari
ma ancor più straordinaria è la continuità della loro ispirazione e del loro solidalizio musicale
unfold è in 4 pezzi. ma lo si ascolta come pezzo unico. come tutte le loro opere
tutte belle le tracce, ma blue mountains mi incatena
ti invio in questo post una recensione che ho ritagliato da uno degli utimi numeri di buscadero
lino brunetti ha compreso la loro arte
https://traccesent.com/2017/02/10/the-necks-unfold-2016/
grazie ancora per il tuo pensiero
saluti cari
Caro Paolo
anch’io ho ascoltato più volte l’album e condivido il giudizio positivo tuo e del recensore. Mi rimane misterioso il motivo della loro apparente scarsa popolarità, perfino tra i miei amici jazzofili è un nome a stento conosciuto.
Non parliamo poi dei festival jazz italiani dove, quando non ci sono pop star decotte, trionfano i soliti nomi. Pazienza, per fortuna la rete ci sa dare quello che i direttori artistici presumibilmente nemmeno conoscono.
Un caro saluto
Roberto
THE NECKS, 30th anniversary, Amsterdam, 20 novembre 2016
tracce trovate grazie a questo messaggio di ROBERTO DELL’AVA:
Nel farti gli auguri mi rammento di una comune passione: The Necks, che pochi giorni fa ad Amsterdam hanno dato un grande concerto per i loro 30 anni di attività. Sul sito di BimHuis Radio trovi tutto il concerto. Di nuovo auguri anticipati !
Così scrive Roberto sul suo sito:
Grande pomeriggio/sera quest’oggi al Bim Huis di Amsterdam: si festeggiano i 30 anni di esistenza della band australiana The Necks, un trio particolarmente interessante che esplora un’area tra il jazz e la musica contemporanea, e che purtroppo si è visto assai raramente da noi (ricordo un concerto per Area Sismica a Forli’ e niente altro…).
Il programma al Bim Huis inizia alle 16 e la musica si snoderà per otto ore con numerosi ospiti. Il programma dell’evento qui:
Tra pochi giorni la registrazione delle parti salienti della giornata sarà ascoltabile al link della Bim Huis Radio:
A tutti gli appassionati consiglio di approfondire il sito della Radio, ci sono decine di grandi concerti e la maggior parte di musicisti e gruppi che difficilmente vedremo in Italia. Da noi si preferiscono finti cantanti jazz unitamente ai soliti noti. Pare facciano il pieno….(sigh)i
vai a:
http://www.traccedijazz.it/index.php/blog/2467-i-30-anni-dei-necks-al-bim-huis
The Necks: a Salerno è di scena il Jazz d’autore, 13 aprile 2016 | da Campaniasuweb
La cult band australiana, forte di trent’anni di carriera, sbarcherà al Teatro Nuovo di Salerno il 13 aprile per l’unica data italiana
«Una delle più grandi band del mondo», come li ha ribattezzati il New York Times. Loro sono i The Necks, e mercoledì 13 aprile, ore 21, saliranno sul palco del Teatro Nuovo di Salerno per l’unica data italiana prevista in calendario. Un vero e proprio evento per chi ama il jazz sperimentale e per chi vuole ascoltare quella musica che «è un viaggio emozionale nell’ignoto», come scrive di loro ilGuardian.
Nati in Australia nei primi anni ’60, i The Necks sono Chris Abrahams (tastiere), Tony Buck (batteria) e Lloyd Swanton (al basso), musicisti con 17 album all’attivo, l’ultimo dei quali pubblicato nel 2015 (Vertigo). Un sound acustico e corposo, a tratti sintetico, evocativo di ipnosi minimaliste su cui si appoggiano le armonie e le improvvisazioni. Un jazz minimale e “post-tutto”, come dice di loro lo scrittore britannico Geoff Dyer, per un trio che mette insieme contemporaneità, suoni inesplorati e atmosfere trasognanti.
La tappa italiana di Salerno è a cura di OHMe, «operazione di resistenza ed innovazione culturale e musicale – come affermano gli organizzatori – che porta a Salerno il meglio che la musica di oggi propone, selezionata secondo un unico criterio: la qualità.
The Necks – Vertigo | recensione e audio in ImpattoSonoro – Webzine musicale e culturale indipendente
Recensione del disco “Vertigo” (Fish Of Milk, 2015) dei The Necks. A cura di Giovanni Capponcelli.
The Necks: Vertigo, 2015
The Necks have developed a near-mythic status. For a quarter century, they’ve been building hour-long piano/drums/bass pieces that overflow with the tension of contrasts—beauty versus bedlam, melody versus discord, momentum versus inertia. Live, the Sydney trio do it off the cuff, shaping tiny themes with familiar tools into improvised monoliths. Though the Necks draft more concrete plans for their records, they wield that same sense of wonder when they’re composing. At their best, the group’s albums sound meticulous but feel extemporaneous, like synchronized exhalations from a group whose chemistry suggests rock’n’roll’s best songwriting tandems. Made by just three musicians of ostensibly modest avant-garde-scene means, the Necks’ sets and records possess the same gripping power as a sitcom or documentary that might have cost millions of dollars and dozens of people to craft. The largely acoustic answer to New Zealand’s electric the Dead C, the Necks make miracles of efficiency and magnetism.Vertigo is the Necks’ 18th album and second for the New York label Northern Spy, the group’s first stable American home. Like many of its predecessors, Vertigo runs as one uninterrupted track, with 44 minutes roughly split between two interwoven movements.
segue qui:
The Necks – 2SER – Real Radio 107.3 FM
Alberto Asquini segnala MUSICISTI similar ai THE NECKS
quest’anno Matana Roberts col suo jazz che si riveste di folk droneggiante,Mount Eerie che è il songwriter più dotato degli ultimi 15 anni edEgyptrixx con la sua elettronica quasi dal sapore wave, hanno già regalato discrete perle. A questi si aggiunge questa collaborazione a nome O’Rourke/Ambarchi, intitolata “Behold”, in uscita tra una settimana su eMego. Spiegare chi siano Jim O’Rourke e Oren Ambarchi mi parrebbe di fare quasi un torto ad entrambi. Quindi, in breve: testa pensante tra le più agili negli ultimi vent’anni la prima (se Gastr Del Sol o Red Krayola non vi dicono nulla mi dispiace per voi), genialità al servizio di chitarra e macchine varie il secondo.
Insomma, due pezzi da novanta che gravitano e hanno suonato assieme a mostri tipo Phil Niblock, David Grubbs, Sunn O))), Sonic Youth, Fennesz, Tony Conrad e aggiungeteci a caso i più illuminati del lotto. Quattro anni dopo “Indeed”, disco che sancì la loro collaborazione, ci riprovano e il centro è di quelli clamorosi. Due pezzi, poco più di quaranta minuti di musica. Da che parti siamo? Sperimentazioni elettroniche, krautismi, Jon Hassel e il suo “Fourth World”, le patinature e le frustate sulla batteria non così distanti dai The Necks.
da L’album della settimana, cioè musica bella post-Sanremo – Il Fatto Quotidiano.
THE LAKE at ROSKILDE FESTIVAL 2014 – The Necks by The Lake radio
The Necks – The Music Show – ABC Radio National (Australian Broadcasting Corporation)
intervento di Paolo Ferrario su SPAZIO, TEMPO E MUSICA in occasione della Mostra FREQUENZE di Doriam Battaglia BATT, allo Spazio Natta, Como 12 luglio 2014
Mostra FREQUENZE 140621/0712 Spazio Natta, Como, 12 luglio 2014
Nell’ambito della mostra di Doriam Battaglia BATT realizzata con il patrocinio del Comune di Como, Assessorato alla Cultura è stato organizzato un incontro-conversazione sul tema “Spazio, Tempo e Musica” che si è svolto sabato 12 luglio (giorno di chiusura della mostra) alle ore 18,30 presso lo Spazio Natta.
I relatori sono stati l’Arch. Angelo Monti ed il Prof. Paolo Ferrario (docente presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca) che dialogheranno con me e con l’artista Benny Posca che ha realizzato una installazione nel giardino antistante lo spazio della mostra
Parto dal testo di BATT che introduce le opere esposte:
“alcune considerazioni sulle opere recenti: sguardo verso l’infinito e l’eterno; pittura “preformale” (vibrazioni, frequenze, particelle, atomi); l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande; regola dei frattali; l’opera come memoria nello spazio; il pensiero che genera la materia; l’attimo fugace (pag. 9-11)
la sua idea di invitarmi parte da questa canzone di Nina Simone: “He was too good to me” (1961) dove l’emozione dell’ascolto dipende dalle pause di silenzio che lei sa introdurre nel suo canto. Di lei diceva Charles Aznavour: “Nina Simone canta le parole delle canzoni”
Da qui una prima suggestione sul rapporto fra spazio (di una tela, di un pannello, di un quadro) e musica: spesso mi capita di rappresentarmi dentro la mia percezione uditiva la musica come delle pennellate gialle, rosse, blu.
E infatti il blu, nella musica jazz (basta ricordarsi di Duke Ellington) è molto ricorrente. E ora lo vediamo nel video in quella tela di Batt.
A me sembra che i fondamenti del nostro percorso di attraversamento della vita siano:
il Tempo
lo Spazio
l’Eros
la Polis
il Destino
Sul Tempo possiamo fare riferimento ad una splendida lezione del fisico Carlo Rovelli al TedXlakeComo del 2002 nella quale “mostrava ” questi concetti:
- il tempo non esiste. E’ una concezione utile ma la scienza dimostra, con le argomentazioni degli orologi, che il tempo non esiste perchè è influenzato dalla gravità. Non esiste un unico orologio, ma tanti orologi diversi, tanti tempi diversi
- come pure la nozione di alto e basso: che non c’è nell’universo
- l’universo è sterminato e noi vi occupiamo un angolo piccolissimo, dove percepiamo alcune cose e che interpretiamo con i nostri necessari criteri appresi nella cultura. Il mondo è molto più ricco di come lo percepiamo
- sull’estremamente piccolo e sull’estremamente grande abbiamo meno nozioni
Ecco: a mio avviso l’arte, la pittura, la musica riescono a rappresentare, tramite l’uso di spazio, colori, note soggettivamente rielaborate, questa complessità che ci appartiene
Qui il video di Carlo Rovelli:
Il Tempo nella musica è ben raccontato dal violoncellista Mario Brunello nel libro Il silenzio, Il Mulino, 2014. Vediamo alcuni passaggi del suo dire:
- il silenzio è parte dell’ascolto
- la musica ha bisogno di tempo per essere “sentita”. Occorrerebbe dedicare tempo all’ascolto
- il silenzio valorizza i suoni
- il silenzio consente al suono di essere valorizzato
Leggiamo:
“ogni forma d’arte ha il suo spazio per il silenzio: la pittura, sorda a ogni commento, vive nel silenzio, ma arriva a descriverlo. La scultura, muta, silenziosa suo malgrado, custodisce gelosamente un insieme di suoni, parole o rumori. La poesia scritta o detta vive nel silenzio, rotto dalle parole, vive nel silenzio degli spazi bianchi non misurabili perchè possono durare all’infinito. La musica addirittura del silenzio ne fa materia prima. Il silenzio che precede la prima nota eil silenzio dopo l’ultima sono indispensabili affinchè la musica si riveli ed esista.” (pag14)
Qui una lezione di Mario Brunello nella quale farà “vedere” come John Cage è il cantore del silenzio, quando rovescia i rapporti fra suono e silenzio. Il silenzio diventa accettazione dei “suoni altri esistenti ” all’interno dello spazio concesso all’autore:
Ma è lo Spazio ad avvicinare molto la musica alla pittura.
Qui l’associazione mentale ed emotiva che faccio è al concetto di Cerchio dell’apparire, insegnato dal filosofo Emanuele Severino. Un quadro e una musica fanno apparire qualcosa. Lo fissano nel tempo.
Leggiamo le sue parole:
“La parola “apparire” non indica la parvenza, l’apparenza illusoria. Anche le parvenze e le apparenze appaiono – e appare il loro rapporto con la “realtà” di cui sono parvenze. L’apparire non è l’apparenza che altera e nasconde l’essere, ma è la manifestazione dell’essere, il suo illuminarsi, il suo mostrarsi. … Appaiono anche i sogni e i silenzi; anche i pensieri e gli affetti – tutte cose che, insieme a tante altre, non sono illuminate dalla luce del sole … e la stessa parola “apparire” proviene dal latino apparere, che è riconducibile a pario, che significa “partorisco” e a paro, “preparo, allestisco”. (in La filosofia futura, Rizzoli, 1989, p. 195-196)
e ancora:
“L’uomo e le altre cose vanno lungo una strada, così come gli astri eterni percorrono la volta del cielo. Il loro sorgere non è il loro nascere, il loro tramontare non è il loro morire, essi brillano eterni anche prima di sorgere e dopo essere tramontati. Tutte eterne, le cose, dalle più umili alle più grandi, tutte ingenerabili e incorruttibili, esse vanno lungo una strada, nel senso che vanno via via mostrandosi, vanno entrando e uscendo dalla volta dell’apparire del mondo. (in La strada, Rizzoli, 1983, p. 134)
Ecco, a me la figura del cerchio dell’apparire -guardo voi nella sala con i quadri di Batt ed effettivamente apparite come dentro a un cerchio- sembra perfetta per vedere le vicinanze percettive ed esistenziali fra una musica e un quadro. L’arte produce questo effetto: renderci consapevoli della eternità di ogni attimo.
C’è un’altra immagine molto adatta a far riflettere su questo tema. Le immagini di una pellicola fotografica sono una sequenza di fotogrammi. Noi percepiamo quell’attimo, che poi scompare, e nella sequenza della comparsa e scomparsa ottemiamo l’effetto della visione e dell’ascolto. Dunque i fotogrammi scorrono lungo la linea del tempo, compaiono nello spazio e scompaiono: Ma la struttura della pellicola rimane. Dunque quelle singole immagini non finiscono nel nulla, ma sono eterne.
Spiega meglio questo passaggio il filosofo Aldo Natoli, in una intervista alla vicina Radio Svizzera:
A me sembra che quando Doriam Battaglia dice “ciò che provo a rappresentare sono le vibrazioni, le frequenze dello spettro visibile, le particelle, gli atomi e le molecole che vengono a costruire la materia di cui siamo fatti e di cui è fatto l’universo” ci avvicini, con il linguaggio dell’arte, a fare esperienza diretta della struttura sottostante ad ogni evento che compaia nel cerchio dell’apparire
Cosa resta della scomparsa o affievolimento, nella pittura dell’ultimo secolo, dei volti, dei paesaggi? Resta la struttura delle cose. Le cose non sono solo “cose”, ma energia. La natura del mondo è un fluire di energia. La materia è un “campo” in cui le diverse espressioni dell’energia si muovono incessantemente. Il mondo fisico non è una serie di oggetti, ma una rete di interazioni in costante flusso.
I frattali, presenti nella espressione pittorica di BATT, ne sono una delle manifestazioni. Il frattale è una figura geometrica, sostenuta dalle regola matematiche, in cui un motivo identico si ripete su scala continuamente ridotta. le zone del dettaglio fanno vedere la struttura ricorsiva che si ripete, ma è l’effetto visivo quello che ci emoziona. Apputo: struttura sottostante e risultato complessivo. C’è una struttura che sostiene ciò che entrerà nel nostro campo della visione
Un’altra associazione mi è indotta dai pannelli di Batt, soprattutto di quello “bianco” che si vede anche nel video: il rapporto fra mente e cervello.
Qui mi sostiene il libro di Daniel J. Levitin, Fatti di musica, Codice edizioni, 2006. L’autore è un neuroscienziato che ci propone una visione cognitiva dell’ascolto estetico della musica. La mente è la parte di noi che incarna pensieri, speranze, desideri, ricordi, convinzioni, esperienze. Il cervello è un organo fisico (materia) fatto di cellule, acqua, sostanze chimiche. E’ costituito da 100 miliardi di neuroni ed è capace di una quantità enorme di connessioni. Dunque: strutture e connessioni sono alla base della nostra presenza ed identità. Una struttura di base è capace di produrre esiti infiniti. E l’opera d’arte ci offre, per via emozionale, questa vertiginosa e profonda esperienza.
La musica è una combinazione organizzata di suoni nel tempo e nello spazio. E un”arte che sa esprimere i sentimenti per mezzo di un linguaggio delle note che il cervello sa elaborare, sia per la sua struttura biologica, sia per la sua capacità di “fare memoria” e di rielaborala.
Concludo con la musica che accompagna il lavoro produttivo delle opere pittoriche di Batt. Questa mostra è stata costantemente accompagnata dalla musica di Roberto Cacciapaglia.In riferimento al suo disco “Canone degli spazi” Cacciapaglia dice: “Per comporre i miei brani io uso le triadi, che sono elementi elementari alla base dell’armonia. Usufruisco dei cicli, in cui lo strumento solista rimane sempre al centro, mentre l’orchestra ruota intorno ad esso, facendo delle fasce che vanno dal pianissimo al fortissimo, dando vita a delle orbite, come quelle dello spazio. L’orchestra diviene così come una sorta di costellazione che gira intorno, come fossero onde planetarie. Lavoro sulla presenza del suono, cercando di creare una alchimia fra gesto, suoni e intenzioni per cercare di toccare le emozioni di chi ascolta. Ad ogni modo per me è importantissimo comporre immerso nel silenzio“.
Di Nina Simone e della sua straordinaria capacità di usare il silenzio per agire con il canto e il suo pianoforte nel creare il momento “unico” dell’ascolto interiore ho già detto all’inizio.
Ma ci sono tre musicisti australiani che suonano da una trentina d’anni ad offrire, a mio avviso, una eccezionale base musicale al modo di fare pittura di Batt. Si tratta dei The Necks (Chris Abrahams, tastiere, Tony Buck batteria, Lloyd Swanton, basso).
In Italia sono praticamente sconosciuti. Io li ho inseguiti dove ho potuto, una volta a Forlì e un’altra a Berna
Ascoltiamo questo due framment musicale:
E’ difficile per i Necks proporre dei frammenti perchè la loro specificità consiste nel creare, nel qui ed ora di una serata, un unico pezzo musicale di circa un’ora. Per ascoltarli (e nel tempo di internet oggi questo sembra impossibile) occorre darsi un’ora di tempo
Vi invito a sentire i due pezzi di Aquatic e se volete a inseguire le mie successive note di ascolto.
Qui c’è un estratto di Aquatic:
I The Necks creano e suonano assieme dal 1989, fanno un jazz nuovissimo, esplorano nuove frontiere come hanno fatto i loro predecessori, che cercavano
“la nota impossibile, quella che non esiste, che non c’è sulla terra” (Steve Lacy su Thelonius Monk).
Il loro ascolto lascia sempre il segno. Eppure non hanno attraversato quella invisibile linea che passa fra il notturno trascinare gli strumenti per il piccolo pubblico e la notorietà. Ripeto: almeno in Italia.
Dipenderà anche dal fatto che abitano in una terra straordinaria, ancestrale e moderna nello stesso tempo: l’Australia. Là devono essere molto famosi, visto che continuano il loro progetto musicale difficile e inusuale: in quasi vent’anni hanno realizzato solo 34 pezzi per un totale di 20 ore. Effettivamente la loro musica assomiglia molto a quel paesaggio: sanno creare uno spazio psichico e visivo che è bello e coinvolgente attraversare con la loro guida. Sì, sanno costruire un percorso ipnotico. Come nel film Picnic ad Hanging Rock ha fatto Peter Weir (1975).
C’è una zona d’ombra su di loro e allora vorrei colmare la lacuna e illuminare qua e là.
In “Aquatic” (1999) Chris Abrahams è al Piano e all’organo Hammond, Lloyd Swanton al Contrabbasso acustico ed elettrico, Tony Buck alla batteria e alle percussioni. Questa volta c’è anche Stevie Wishart all’”Hurdy-Gurdy” (una specie di violino elettrico che ha un suono simile alla cornamusa).
I pezzi sono due: uno di 27 minuti, e l’altro di 25. Una eccezione rispetto al loro standard, che quello di un’unica scultura musicale di circa un’ora.
L’ascolto lascia vigilmente intontiti per la bellezza del ritmo (Tony Buck è un batterista eccezionale), per le armonie degli accordi pianistici, per la ripetizione ipnotica, per tutte le cose che accadono in quella che non è solo un’iterazione minimalista.
Già il primo movimento è di grande soddisfazione per la mente musicale. Suoni raffinati che alimentano l’immaginazione, rintocchi pianistici di forte energia, un drumming-beat davvero unico, rumori ambientali appena accennati e stimolatori di benessere psichico. Come a dire: “sei in un altro spazio, ma qui si può stare bene. E’ solo diverso”.
Ma il secondo movimento è incredibilmente bello (cercherò di scegliere un assaggio che lo rappresenti). Uno “Swing” che è indubbiamente jazzistico, ma che si avventura in un’Ambient Music di gran cultura. Inizia subito a grande velocità, con il contrabbasso violineggiante di Swanton, incalzato dal terribile Tony Buck, un vero monello della batteria. Poi il piano diAbrahams comincia a spingere avanti. Sempre di più: trilli, battiti, con il basso a contenere. Ecco di nuovo gli archi. Sempre più veloce, impercettibilmente veloce. Viene voglia di chiudere gli occhi. Ecco: nel nero si vede lo spazio che è attraversato dalle note del piano sorrette da quel tappeto volante che è la batteria, baroccheggiata dal contrabbasso. Ora il ritmo si fa un po’ meno frenetico. E comincia il gioco fra di loro. Sì: l’interplay jazzistico inventato dal trio di Bill Evans risorge, si riattualizza in un’altra dimensione ! I tre improvvisano dentro un sonno spaziale reso possibile dalla (leggera) elaborazione elettronica dei suoni. La conclusione è di grande pace.
Sì è bello stare qui. E dove siamo ?
Ma guarda un po’: ancora in Drive By.
La loro è un’architettura musicale: siamo sempre a casa ! O meglio: si ritorna sempre a casa. Come insegna la cadenza d’inganno, qui raccontata da Alessandro Baricco:
Infine una esperienza musicale irripetibile è quella di Prism , suonato dal trio Keith Jarrett, Gary Peacock, Jack Dejhonette.
Irripetibile perchè questo pezzo è stato suonato così solo quella sera del 1985 a Tokyo e poi mai più:
Guardate Keith Jarret che vola sul pianoforte inseguendo quel frammento di mondo che ha trovato in quell’istante
Guardate Gary Peacock che ride con il batterista come per dire: “hai visto … è partito …”
E non dimentichiamoci di Dejohnette che umilmente si mette al servizio di questa esperienza unica di spazio, tempo e suoni.
Infine: grazie Doriam Battaglia Batt che ha reso possibile questo inimmaginabile incontro nell’imbrunire sul centro storico di Como, nella giornata di sabato 12 luglio 2014.
Paolo Ferrario
The Necks a Rimini, 22 marzo 2014
the Necks, OPEN, in Le recensioni di OndaRock
…
era difficile da credere che “Open” potesse arrivare ad abbattere un’ulteriore barriera, a sfondare una diga che non sembrava esistere, a superare l’ennesimo limite. E invece è proprio quello che avviene: a partire dal titolo, i tre riprendono in mano la formula dei lavori precedenti e la lanciano nello spazio aperto, pronosticando e gestendo con maestria l’inevitabile perdita di forza d’urto, al sacrificio della quale corrisponde un guadagno ben più ingente nelle sfumature. Queste ultime divengono, in tutti i sensi, universali, si articolano fra di loro giocando a turno sul contrasto vuoto-pieno e, soprattutto, sul dialogo fra scheletro ritmico e melodia.
….
PER TUTTA LA RECENSIONE VAI A:
Paolo Ferrario all’ascolto di: THE NECKS, SEX, 10 febbraio 2006
C’è una parola ricorrente nelle recensioni dei dischi del trio australiano The Necks: “unico”.
È vero. Fanno un Jazz nuovo. Diverso da chiunque altro.
Chris Abrahams (tastiere), Tony Buck (batteria), Lloyd Swanton (basso) sono nati durante i primi anni ’60. Proprio quando John Coltrane suonava Olè, che viene accostato a loro per la sua capacità di innovare, e 10 anni prima dell’ascesa del trio Keith Jarrett.
Insomma: appartengono ad una nuova generazione di musicisti Jazz. E del passato sanno distillare il più sapiente uso degli elementi essenziali del Jazz:
il rapporto particolare con il tempo, in gergo lo “Swing”;
l’improvvisazione;
il fraseggio del singolo esecutore, anche all’interno di un gruppo;
ed, infine, quell’elemento che differenzia il Jazz da altri generi di musica, ossia quella qualità speciale che chiamiamo “stile”.
Questi richiami li devo al libro: Joachim Ernst Berendt, Il nuovo libro del Jazz, Vallardi. La loro unicità mi sembra dovuta ad alcuni fattori: creano un unico pezzo della durata di circa un’ora; il suono è acustico e potente; l’uso dell’elettronica è appena accentuato; il “tappeto” musicale, che si richiama alla ripetizione ipnotica del minimalismo e su cui si appoggiano le armonie e le improvvisazioni, è semplicemente sublime; non ricorrono a dissonanze Free per dimostrarsi “diversi”.
“Sex” è del 1989: 15 anni prima di “Drive By“. Eppure i due dischi sono fra loro vicinissimi, a conferma del loro stile e della loro coerenza artistica.
Per ascoltarlo occorre “darsi tempo”. Meglio ancora quando diventa buio e cominciano ad accendersi le prime luci della notte.
Provo a scrivere cosa succede.
L’inizio è una cascata di note di piano che rimbalzano sul tappeto del drumming di Tony, cha da subito comincia ad ordire la sua trama. Il ritmo rimarrà sempre quello, con continue variazioni, ma con lo stesso disegno: credo che ci voglia una forza incredibile a tenere intatto e senza un errore, questo tempo per un’ora filata… 4 o 5 note acustiche di piano in tono melodico… l’idea è buona, altri andrebbero avanti su quella scia, ma Chris le lascia lì, forse per farci desiderare che ritornino ancora… il contrabbasso di Lloyd diventa un violino, ma soprattutto evoca le porte che si aprono nei castelli delle favole… variazioni del tappeto di Tony, preciso come l’equilibrio biologico della vita.
Accenno di aumento della velocità, forse solo una impressione, come nei sogni dove tutto ha misure diverse… sassi che si rotolano fra di loro nell’acqua di una grotta… campanelle, ma forse no, forse era un sogno perchè sono già sparite… secchi colpi di bacchetta in tono sordo-acuto, ancora solo per un attimo… avanti con lentezza, sempre uguale e sempre diverso…
Sono passati 20 minuti. La meraviglia è che sono ad un terzo del viaggio. Mi viene da sorridere come Noodles nella fumeria d’oppio, alla fine del film di Sergio Leone “C’era una volta l’America”.
Ma l’espansione di coscienza dei Necks è di tutt’altro tipo: loro realizzano un ponte fra lo spazio musicale che stanno creando e le mie onde cerebrali.
Alla metà del disco cominciano a crearsi nella mente delle immagini, ogni volta diverse, tutte rivelatrici di altre parti della realtà, mai drammatiche.
È tutto così “sincronizzato”: dinamica, ritmo, variazioni, battiti del cuore, respiro, movimenti del corpo….
34° minuto: Tony aggiunge un battito della grancassa… ora l’ambiente sta ancora cambiando… più veloci, perchè ormai siamo dentro con loro e possiamo andare tutti assieme dove non siamo mai stati… mi sento nel cuore di questa scultura, come quando il marmo rivela la forma che aveva dentro.. e infatti i sassi della grotta ricominciano a rotolare… qui ora c’è un beat che vorrei memorizzare per il resto della mia vita…
44° minuto: interplay di tensione drammatica… improvvisazione onirica e i tre si mettono a raccontare le loro storie… 51° minuto inizia il passaggio alla chiusura… ritmo di nuovo più lento, ma sempre incalzante.
Tony è ancora lì, da dove aveva cominciato, dopo essere andato da tutte le parti senza mai mancare di “assistere” i suoi compagni… chiusura su interplay batteria-basso con poche note di piano. The end.
Si esce dal sogno e si torna al reale. Ma con quel tono tra-sognato che fa percepire meglio la bellezza della vita. Grazie Necks: siete “unici”. Vi invito al loro ascolto, di tutto cuore. Paolo Ferrario/alias Amalteo
Il mio Album sui Necks è qui: http://www.segnalo.it/TRACCE/MUSICA/The%20necks/necks.htm
Già pubblicato qui: http://www.debaser.it/recensionidb/ID_8201/The_Necks_Sex.htm
The Necks, DRIVE BY, 2003
The Necks: Open
vai a The Necks: Open.
Inclassificabili: i The Necks | da Radio Blackout 105.250 FM
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una delle musiche più nascoste ed affascinanti degli ultimi 30 anni, esotica ed esoterica, musica che è possibile ascoltare nel traffico, assediati dalla modernità che avanza, oppure nel buio di una radura, guardandone i misteri che scintillano di suoni.
Il piano di Abrahams può essere considerato unico nel suo genere. Vi consiglio di pensare ad un keith jarreth che opera per sottrazioni, od un Terry Riley metronomico che di ogni alterazione alla materia originale fa una cresta nell’onda che si unisce a quella precedente aumentando il lavoro dell’oceano. A completare la fascinazione la provenienza dagli antipodi della terra, che tante volte mi ha fatto respirare aria nell’acqua, facendomi familiarizzare con termini tipo: natural eco jazz, overtones, raga, ecology, minimalism.
…
tutto l’articolo qui Inclassificabile: The Necks | Radio Blackout 105.250 FM.
Aquatic II
The Necks, AETHER
Tracce dei The Necks su Youtube
Chris Abrahams, Tony Buck, Lloyd Swanton, ossia gli australiani THE NECKS all’Area Sismica di Forlì, 4-11-2011
PER LA TAPPA UNICA DEI THE NECKS IN ITALIA HO FATTO, in solitaria, UN “VIAGGIO INIZIATICO” ATTRAVERSO LA PIANURA PADANA FINO A FORLI’
indimenticabile percorso e momenti fuori del tempo, cioe’ “dentro” le unita’ di suono che loro riescono a costruire in un’ora di scultura musicale
paolo
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Chris Abrahams, Tony Buck, Lloyd Swanton, ossia gli australiani The Necks all’AREA SISMICA di Forlì, 4-11-2011. I due pezzi
Chris Abrahams, Tony Buck, Lloyd Swanton, ossia gli australiani The Necks all’AREA SISMICA di Forlì, 4-11-2011.
I due pezzi suonati nella notte (come sempre “sculture musicali uniche):
http://www.divshare.com/flash/audio_embed?data=YTo2OntzOjU6ImFwaUlkIjtpOjQ7czo2OiJmaWxlSWQiO2k6MTYxMjg2NjU7czo0OiJjb2RlIjtzOjEyOiIxNjEyODY2NS1iZDAiO3M6NjoidXNlcklkIjtpOjY1MDQwO3M6MTI6ImV4dGVybmFsQ2FsbCI7aToxO3M6NDoidGltZSI7aToxMzIwNzA1NzU4O30=&autoplay=Video pubblicati da MR Moscone:
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Chris Abrahams, Tony Buck, Lloyd Swanton all’AREA SISMICA di Forlì, 4-11-2011. E un grazie particolare ad Ariele e Federica

Cena con Chris Abrahams, Tony Buck, Lloyd Swanton all’AREA SISMICA di Forlì, 4 novembre 2011
AREA SISMICA, Via Le Selve, 23, Forlì – Ravaldino in Monte
The Necks, Mindset, 2011
“No other performing unit can reach into a remotely similar sonic area…almost as if their music is disembodied from conventional human touch, arriving from some unknown abstract source”
New York City Jazz Record
New York City Jazz Record
Angle of Repose, The Necks | ABC Jazz

Angle of Repose was performed by improvising trio The Necks during the Sydney festival in 2011. Read an interview about the project with Lloyd Swanton here.
The Necks
Chris Abrahams; piano
Lloyd Swanton; bass
Tony Buck; drums
Recorded for ABC Radio National: January 21, 2011
A Night at the Quad
Main Quadrangle, Sydney University
Producer: Cathy Peters
Engineer: Andrei Shabunov
More about:

Artist Biography
From

The Necks are an experimental jazz trio from Sydney, Australia, comprising Chris Abrahams on piano and Hammond organ, Tony Buck on drums, percussion and electric guitar and Lloyd Swanton on bass guitar and double bass. The band plays improvisational pieces of up to an hour in length that explore the development and demise of repeating musical figures. As well as jazz, their sound could be said to…
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Discover more about The Necks on ABC Jazz
Angle of Repose, The Necks played a memorable open-air concert in the Quadrangle of the University of Sydney, ABC Jazz
E come accade per tutte le trasmissioni di ABC …. per coloro che perdono la trasmissione reale, la funzione sarà disponibile solo on-line in streaming-audio per 1 mese dopo la trasmissione qui
Earlier this year, as a featured concert for The Festival of Sydney, The Necks played a memorable open-air concert in the Quadrangle of the University of Sydney.
The ABC was there to record it, and beautifully.
You can hear the piece, Angle of Repose, this Thursday 10th November, and onwards.
If listening in Australian states (on Digital Radio and Digital TV): 9pm local time
If listening internationally (on the web): 9pm Sydney time
ABC Jazz can be heard in Australia on Digital Radio and on Digital TV as well as internationally from the ABC Jazz website
For more info on how to listen, click here
And as is the case for all ABC broadcasts…. for those who miss the actual broadcast, the feature will be available as streaming-only audio online for 1 month after broadcast here
Chris Abrahams, Tony Buck, Lloyd Swanton all’AREA SISMICA di Forlì, 4-11-2011. E un grazie particolare ad Ariele e Federica | Tracce e Sentieri
Cena con Chris Abrahams, Tony Buck, Lloyd Swanton all’AREA SISMICA di Forlì, 4 novembre 2011
AREA SISMICA, Via Le Selve, 23, Forlì – Ravaldino in Monte
Vacanzina a Forlì, per vedere e sentire i The Necks. Como-Milano-Meldola-Forlì, Comacchio, Abbazia di Pomposa, Codigoro, Copparo, Ro, le pianure della Emilia Romagna e del basso Veneto e ritorno a Como attraverso vìe secondarie attorno a Mantova, Crema, fino a Monza e alle strade conosciute
Vacanzina a Forlì, per vedere e sentire i The Necks.
Ho dormito a Meldola, al BB La Cuccagna, in via Giordano Bruno 57
Como-Milano-Meldola-Forlì, Comacchio, Abbazia di Pomposa, Codigoro, Copparo, Ro, le pianure della Emilia Romagna e del basso Veneto e ritorno a Como attraverso vìe secondarie attorno a Mantova, Crema, fino a Monza e alle strade conosciute
Chris Abrahams, Tony Buck, Lloyd Swanton: le prove all’AREA SISMICA di Forlì, 4 novembre 2011 | Tracce e Sentieri
THE NECKS – unico concerto in Italia del tour europeo presso Area sismica di Forlì, 4 novembre 2011
THE NECKS (AUS) – Unica Data Italiana
Chris Abrahams – pianoforte
Tony Buck – batteria
Lloyd Swanton – contrabbasso
sito: The Necks
Portare in Italia i The Necks, cult band australiana, dona un gusto particolare, innanzitutto per via della portata storica, che non si discute.
Questi tre musicisti hanno all’attivo più di 200 album, di cui 14 come The Necks, nei quali si avverte una grande libertà espressiva.
Dal 1987 Chris Abrahams, Tony Buck e Lloyd Swanton creano un chimismo che sfida ogni descrizione.
Non avanguardia, né minimalismo, né jazz, il loro sound al primo impatto è caratterizzato da un’apparente e ingannevole semplicità, dipanandosi in percorsi ogni volta diversi lungo l’ascolto.
Ingresso: 15€
Tessera Arci 2012: 10€
per informazioni vai a:
- ASSOCIAZIONE AREA SISMICA
VIA Le Selve, 23
47121 – FORLI’ (FC)
47121 – FORLI’ (FC)
Email: info@areasismica.it
sito: Area sismica
Per un assaggio di ascolto della loro (unica) musica:
blog.wfmu.org
In honor of the return of this Australian trio to New York, here’s the full MP3 of their transcendent performance from my radio show …
Per la video cronaca di un loro (unico) concerto a Berna vai qui:

amalteo.splinder.com
Bisognava aspettare gli svizzeri per sentire dal vivo gli australiani The Necks, in un paese della vecchia Europa vicino all’Italia.Il concerto, per meglio dire l’unica scultura musicale che loro eseguono quando sono sulla scena, era al …..
Ascoltare i The Necks su TRACCE e SENTIERI 2004-2001
THE NECKS, Australia, Albums pubblicati in Cd
“No other performing unit can reach into a remotely similar sonic area…almost as if their music is disembodied from conventional human touch, arriving from some unknown abstract source” – New York City Jazz Record

(To see and purchase other recorded projects that members of The Necks are involved in, click here.)

Mindset
LP, 2011
The Necks’ first-ever LP. Heavy virgin vinyl.

Mindset
CD, 2011

Silverwater
CD, 2009
“Head and shoulders above the rest…the finest studio album in their 22-year history”
-Sydney Morning Herald
“The Necks are among the world’s most consistently great exponents of improvised music”
-BBC.com
5 stars
-The Guardian (UK)

Townsville
CD, 2007
Recorded live.
“Luxurious” (4 stars)
–The Times (UK)
“Lush to the point of denseness, this is also The Necks at their most lyrical…After a Necks gig people are often overheard debating which CD to buy. I’d now recommend the luxuriant beauty of Townsville.”
–Sydney Morning Herald

Chemist
CD, 2006
Winner ARIA Best Jazz Album Award 2006.
“A better title for this CD would be Alchemist, because The Necks have yet again succeeded in turning base metals into gold.”
–BBC.com

Mosquito/See Through
2xCD, 2004
“Among the Necks recordings you actually would go back to rescue from a house fire”
–The Wire
“The real deal…Anyone can play around with sound – but The Necks know how to sculpt it into a stunning work of art.”
–The Guardian (UK)

Photosynthetic
CD, 2003
Recorded live in concert in Moscow in 2002, this album is only available through this website.

Drive By
CD, 2003
Winner ARIA Best Jazz Album Award 2004.
“This is The Necks’ masterpiece”
–The Wire

Athenaeum, Homebush, Quay & Raab
4xCD, 2002
This 4-disk set was recorded live in Australia and Europe.
“Fans who already know that no two Necks improvisations are alike, will definitely want to invest in this set. The magic works every time.”
–All Music Guide

Aether
CD, 2001
“Brilliant”
–BBC.com

Hanging Gardens
CD, 1999
“Mesmerising, grandiose music from one of the best bands on the planet”
–The Guardian (UK)

The Boys
CD, 1998
1998, Wild Sound/MDS; reissued 2004 on Fish of Milk. Nominated Best Soundtrack Album, ARIA Awards and Australian Guild of Screen Composers Awards.
“Haunting stuff…Highly recommended” (4 stars)
–Rolling Stone (Australia)

Piano, Bass, Drums
CD, 1998
The Necks Live in Australia. Nominated Jazz Recording of the Year, ABC Classic FM Awards.
“Great, boundary-crossing music”
–Juice (Australia)

Silent Night
2xCD, 1996
“The Necks create mood music of the highest calibre. Compelling and beautiful music that repays repeated listening” (4 stars)
–Rolling Stone (Australia)

Aquatic
CD, 1994
Also released USA: Carpet Bomb, 1999.
“Real splendour… a hugely mature album, a rare spark of brilliance… a marvel”
–The Wire (UK)

Next
CD, 1990
“Sublime. Six pieces, all of them beautifully played and perfectly controlled”
–Sydney Morning Herald (Australia)

Sex
CD, 1989
Also released USA: Private Music, 1996.
“An underwater dive into gentle currents…Radical- but in a seductive way…has its own smooth magic…”
–Jazzthetik (Germany)
Tony Buck , Solo Live
Tony Buck

Solo Live
CD, 1994
“Tony Buck takes his STEIM interactive Drum/Perc/Sampler system through its paces, not that listening you’d know where the hell the sound was coming from most of the time. An interesting set of pieces by one of the more interesting drummers around on that noise/electronic/rock fringe, and the only one I can think of to use triggered samples in a way that really works…”
–Chris Cutler / Recommended Reviews
Audio samples:
Solo Live (track 9)
Solo Live (track 10)THE NECKS | Online Shop > Other Projects.
THE NECKS (AUS) Unica Data Italiana Chris Abrahams – pianoforte Tony Buck – batteria Lloyd Swanton – contrabbasso, 4 novembre 2011, ore 22,30, Forlì, Area Sismica official website
venerdì 4 novembre ore 22,30
Rassegna Musiche Extra-Ordinarie
THE NECKS (AUS) Unica Data Italiana
Chris Abrahams – pianoforte
Tony Buck – batteria
Lloyd Swanton – contrabbasso
Portare in Italia i The Necks, cult band australiana, dona un gusto particolare, innanzitutto per via della portata storica, che non si discute.
Questi tre musicisti hanno all’attivo più di 200 album, di cui 14 come The Necks, nei quali si avverte una grande libertà espressiva.
Dal 1987 Chris Abrahams, Tony Buck e Lloyd Swanton creano un chimismo che sfida ogni descrizione.
Non avanguardia, né minimalismo, né jazz, il loro sound al primo impatto è caratterizzato da un’apparente e ingannevole semplicità, dipanandosi in percorsi ogni volta diversi lungo l’ascolto
Musica Jazz: THE NECKS, DRIVE BY, 2003 | da Tracce e Sentieri
Gli ultimi 10 minuti di DRIVE BY:
Musica Jazz: The Necks, Drive By
“La Musica è il segno più sublime della nostra transitorietà.
La Musica, come la Bellezza, risplende e passa per diventare memoria, la nostra più profonda natura. Il superamento del dolore della vita è necessario affinchè si riacquisti il senso della Bellezza: in questo cammino la Musica, la cui Bellezza è impalpabile, ci viene in soccorso ed aiuto, poichè essa è come una luce che entra nei più reconditi spazi del tempio della nostra anima“. Giuseppe Sinopoli
Ecco un modo per vedere il contatto tutto personale che può stabilirsi fra un ascoltatore e dei musicisti che dall’Australia propongono un modo nuovissimo e bellissimo di “jouer le Jazz”.Nella storia del Jazz spesso si legge che, nei momenti di svolta, gli appassionati ascoltatori dicevano “c’è uno che suona in modo nuovo” e correvano a sentirlo, ovunque fosse. È avvenuto per Louis Armstrong, che con West End Blues (1929) innovava nel Jazz di New Orleans. E ancora con le orchestre di Duke Ellington. Poi con il Bebop di Charlie Parker. Con The Birth of Cool di Miles Davis. E ancora con Olè di Coltrane. E ancora con il Jazz nordico di Garbarek. Molte sono state le svolte. Ci sono vari modi, non incompatibili, per suonare il Jazz : quello degli Standard (e si può farlo in modo mirabile come il Trio di Keith Jarrett), quello della tradizione (come continua a fare con encomiabile coerenza Winton Marsalis), quello della rielaborazione del Pop (in Italia ricordo Danilo Rea e i Doctor 3). E ancora altri.
Ma oggi la nuova frontiera la stanno percorrendo i Necks, un gruppo australiano che lavora da 15 anni e che persegue un progetto musicale unico per qualità musicale. I Necks hanno qualche precursore, ma pochi imitatori. Il loro è Jazz minimale, è Post-Jazz, è Post-Tutto, come di loro dice Geoff Dyer in un suo articolo.
“Drive By” è un pezzo unico di circa 60 minuti. Una scultura musicale sostenuta dal tappeto sonoro della batteria di Tony Buck. Non ricordo altro drumming di così grande bravura per precisione e ritmo. La musica sembra appartenere al genere del minimalismo. Ma non è solo così: è continuamente attraversata da altri inserti sonori. Come voci di bambini, lampi notturni, rintocchi acustici, armonie da contrabbasso. La ricorsività e talvolta monotonia del minimalismo qui è vivificata dalla improvvisazione
La musica procede per sottrazione ed estensione. Talvolta Tony Buck è lasciato da solo a tenere l’opera (perché di grande opera d’arte si tratta!), ma poi di nuovo riprendono l’interplay. Impossibile non essere ipnotizzati da questa musica. Forse, senza particolari intenzioni terapeutiche, i Necks intercettano le onde cerebrali. Questa esperienza sonora si conclude, infine con una notte stellata in cui cantano i grilli. Le chiusure sono tanto importanti come le entrate. Ma qui siamo al massimo. Sono 10 secondi di vera magia. Chiunque ami non solo ascoltare musica, ma entrare in uno spazio musicale esperienziale non perda i Necks e cominci pure da Drive By. Ma poi cerchi tutti gli altri loro dischi. Ascoltateli: è una esperienza musicale straordinaria. Sembra di stare in uno spazio fatto di note. O meglio, come dice Dyer, “è musica che contiene lo spazio che attraversa”.
Già pubblicato sul sito Debaser: http://www.debaser.it/recensionidb/ID_7993/The_Necks_Drive_By.htm
e su Musica Jazz: The Necks, Drive By | Tracce e Sentieri.
Dopo il Live di Berna dei The Necks: lettera di Lloyd Swanton
“Thanks Paolo, a pleasure to meet you at long last and thank you for the very flattering tribute. We’re so glad that our music means so much to you. All the best,”
The Necks, Live at Reitschule, Berna 20 giugno 2010, alcuni frammenti del concerto
Bisognava aspettare gli svizzeri per sentire dal vivo gli australiani The Necks, in un paese della vecchia Europa vicino all’Italia.
Il concerto, per meglio dire l’unica scultura musicale che loro eseguono quando sono sulla scena, era al Reitschule di Berna, un vecchio edificio alla quasi periferia, offerto dalla comunità locale ai gruppi giovanili della città.
Temevo un ambiente poco adatto alla concentrazione che The Necks richiedono nell’ascolto. La mia diffidenza era infondata per due motivi: primo, l’ambiente era adattissimo al loro tipo di musica; secondo, questa collocazione così anomala per il jazz talvolta patinato, era invece perfetta e probabilmente anche in sintonia con la loro cultura.
Berna è una città bellissima, ma qui si parlerà solo di loro, dei The Necks. Della città di Berna si parlerà successivamente.
I The Necks mi piacciono. Mi piacciono tanto. Non so bene perché. Credo che sia qualcosa che abbia a che fare con l’immaginazione. Sì:la loro musica lascia spazio all’immaginazione, non la imbriglia, le dà un sottofondo e lascia che i pensieri, i ricordi, le immagini lavorino dentro lo spazio psichico che si crea sullo spazio scenico.
Ho già descritto altrove il loro modo di suonare, di creare il pezzo, di interagire fra loro.
Questa volta scelgo un’altra via per raccontare questo concerto. Percorriamo assieme cosa è avvenuto nel pomeriggio e nella sera del 20 giugno 2010.
Siamo a Berna. Le strade sono ancora bagnate, le nuvole sono nere, ma non piove. Ci sono 9 gradi e c’è un vento gelido. L’eccesso di zelo di Luciana si è rivelato utile: indosso tutti gli strati di indumenti possibili e persino un cappellino impermeabile che protegge e copre l’inesorabile calvizie. Il timore di non rintracciare la Reitschule (devo dire più di Luciana, che non si fida nemmeno delle mappe) è immediatamente scongiurato. Basta camminare un po’ a ridosso del ponte della ferrovia e passando sotto un cavalcavia un’inconfondibile struttura graffita dai writers rivela la sua presenza.


Abbiamo visto il luogo, siamo sicuri di tornarci e dunque possiamo ancora retrocedere nel cuore della città. Bastano pochi minuti e troviamo un comodo, e soprattutto caldo, albergo.
Prendiamo un primo contatto con la città. Ma l’obiettivo è un altro: occorre incontrare i The Necks che suonano assieme dal 1989, che vengono dal paesaggio australiano, che sono venuti forse solo una volta in Italia parecchi anni fa e che calcano i podi di città russe, austriache, francesi, inglesi. E questa volta finalmente sono in Svizzera, cioè a 4 ore di viaggio in treno dalla nostra città.
Alle 20.40 siamo già sulla Neubrückstrasse 8. Un paio di giovani adulti passano, mi guardano e vanno oltre, tutte le porte sono chiuse, ma rassicuranti poster annunciano l’evento.
Il concerto, per meglio dire l’unica scultura musicale che loro eseguono quando sono sulla scena, era al Reitschule di Berna, un vecchio edificio alla quasi periferia, offerto dalla comunità locale ai gruppi giovanili della città.
Temevo un ambiente poco adatto alla concentrazione che The Necks richiedono nell’ascolto. La mia diffidenza era infondata per due motivi: primo, l’ambiente era adattissimo al loro tipo di musica; secondo, questa collocazione così anomala per il jazz talvolta patinato, era invece perfetta e probabilmente anche in sintonia con la loro cultura.
Berna è una città bellissima, ma qui si parlerà solo di loro, dei The Necks. Della città di Berna si parlerà successivamente.
I The Necks mi piacciono. Mi piacciono tanto. Non so bene perché. Credo che sia qualcosa che abbia a che fare con l’immaginazione. Sì:la loro musica lascia spazio all’immaginazione, non la imbriglia, le dà un sottofondo e lascia che i pensieri, i ricordi, le immagini lavorino dentro lo spazio psichico che si crea sullo spazio scenico.
Ho già descritto altrove il loro modo di suonare, di creare il pezzo, di interagire fra loro.
Questa volta scelgo un’altra via per raccontare questo concerto. Percorriamo assieme cosa è avvenuto nel pomeriggio e nella sera del 20 giugno 2010.
Siamo a Berna. Le strade sono ancora bagnate, le nuvole sono nere, ma non piove. Ci sono 9 gradi e c’è un vento gelido. L’eccesso di zelo di Luciana si è rivelato utile: indosso tutti gli strati di indumenti possibili e persino un cappellino impermeabile che protegge e copre l’inesorabile calvizie. Il timore di non rintracciare la Reitschule (devo dire più di Luciana, che non si fida nemmeno delle mappe) è immediatamente scongiurato. Basta camminare un po’ a ridosso del ponte della ferrovia e passando sotto un cavalcavia un’inconfondibile struttura graffita dai writers rivela la sua presenza.




Prendiamo un primo contatto con la città. Ma l’obiettivo è un altro: occorre incontrare i The Necks che suonano assieme dal 1989, che vengono dal paesaggio australiano, che sono venuti forse solo una volta in Italia parecchi anni fa e che calcano i podi di città russe, austriache, francesi, inglesi. E questa volta finalmente sono in Svizzera, cioè a 4 ore di viaggio in treno dalla nostra città.
Alle 20.40 siamo già sulla Neubrückstrasse 8. Un paio di giovani adulti passano, mi guardano e vanno oltre, tutte le porte sono chiuse, ma rassicuranti poster annunciano l’evento.

Finalmente altre 5 persone si affiancano a noi. Una donna pare saperla lunga – ne conosco tante di svizzere così che paiono saperla lunga, si assomigliano un po’ anche se appartengono a generazioni diverse. Sono energiche, decise, e soprattutto conoscono un sacco di lingue – e con piglio sale le scale e bussa alla prima porta. Eeeh, … ma siamo in Svizzera e quando si dice ingresso alle 21,00 si apre solo e soltanto alle 21,00 spaccate. Avevamo già prenotato i biglietti e dunque li consegniamo. Che la serata prometta bene è già segnata dal successo di Luciana che chiede e ottiene 2 locandine della manifestazione.
Finalmente ci siamo. Siamo sul luogo. L’ambiente è una soffitta oscura con le travi di legno. E’ proprio il locale giusto, quello in cui tutte le generazioni dal Novecento in avanti hanno fatto jazz. Poche sedie di legno, una consolle per le luci e i suoni, un bancone che vende esclusivamente birra e alcolici e poi … il palco, con batteria, contrabbasso, pianoforte.
Qualche tavolaccio illuminato da un moccolo di candela per posare le consumazioni e due solerti ragazzi che aprono gentilmente delle sedie pieghevoli:
Lentamente si aggiungono altri avventori: sono quasi tutti giovani tranne Marcus Plattner con il quale intrattengo qualche parola, anche se è solo lui a parlare italiano. E’ un musicista di Berna e conosce Lloyd Swanton, che anche per me è l’unico contatto con il gruppo.
Alla fine raggiungeremo a mala pena la cinquantina di spettatori.
Tuttavia mi sono istintivamente tutti simpatici. Sono lì seduti, e, come me, attendono questo momento. E’ evidente che qualcosa ci ha attirati tutti lì quella sera, in Svizzera, a Berna a sentire un gruppo che arriva da Sidney.
Ci sediamo in prima fila, proprio a ridosso del palco. Lo considero un privilegio straordinario che ci è capitato una sola volta a Vicenza, con John Lewis, un mito del pianismo jazz.
Alle 22,03, con soli tre minuti di ritardo, entra il trio. Sono vestiti come persone qualsiasi, jeans, pedule, camicie slacciate. Nessuna affettazione. Swanton ha un cappello con visiera che gli copre il viso. Sono lì solo a fare musica, a Jouer Le Jazz. Il pezzo durerà 48 minuti. Come dicevo non farò un’analisi stilistica. Sento che non è necessario. O questa musica piace, o non piace. Basta. A me piace e anche a Luciana è piaciuta.
La scansione di questa, insisto, scultura musicale è come di consueto basata su 4 tempi.
Introduzione. I tre sembrano concentrati ciascuno su se stesso ed il suo strumento. I suoni “sembrano” scoordinati eppure si capisce subito che tra loro c’è un feeling fortissimo. Tony Buck inevitabilmente attira subito la mia attenzione: armeggia con la batteria, fa tintinnare un campanaccio, fa ruotare la bacchetta, se la mette in bocca, per prendere un altro attrezzo. E’ evidente che ha 2 mani e due gambe, eppure è come se fossero doppie. Ognuna lavora per conto suo e, ha osservato Luciana, sembra fare dei rituali allo scopo di tenere il suono in corrispondenza a quello dei suoi amici. Swanton questa volta incomincia subito a lavorare di contrabbasso. Si sa che il contrabbasso in un trio tiene assieme tutto. E lui, che è paziente, gentile e cordiale, fa questo lavoro. Ma la cosa più interessante che mi conferma il fatto che la loro musica vuole agire sull’immaginazione è che terrà gli occhi chiusi per tutti i 48 minuti. Chris Abrahams è concentratissimo sul suo pianoforte. Volta le spalle agli altri due e dunque la comunicazione è solo basata sulle note.
Prima trasformazione. I tempi si fanno più rapidi. E’ come se avessero individuato quella porticina che immette nell’ambiente psichico che hanno creato per se stessi e per gli ascoltatori e in quel pertugio entrano facendo agire il principio dell’intersoggettività.
Seconda trasformazione. Quello che mi stupisce dei The Necks è la loro tenuta sui tempi lunghi. Voglio dire che ogni volta che elaborano un passaggio noi siamo normalmente abituati ad aspettarci il culmine, il plot di questo passaggio, intuendo che il pezzo sta terminando. Ecco: loro non fanno questa operazione. Elaborano il passaggio e poi su questo passaggio ci resteranno per altri 10-15 minuti. A loro piace stare su una sequenza di note. E a me piace stare lì con loro.
Finale. A questo punto il ritmo si fa frenetico. Si dice che The Necks sono inclassificabili: taluni dicono “minimal jazz”. Ma questo è il punto. Quello che ora si sente nel finale è swing, solo swing, cioè una delle componenti essenziali del jazz tradizionale. Swanton fa praticamente corpo unico col contrabbasso e alterna tocco delle corde e arpeggio; le dita di Buck assomigliano al battito d’ali d’un colibrì, la velocità è incredibile, la tenuta delle battute superba, la forza fisica che mette in ciascun movimento che fa è possente: campanaccio, piatti, bacchette, tamburello, tutto in un alternarsi di, questa volta sì, minimalistica precisione. Abrahams esce dal metodo della singola nota e comincia a carezzare la tastiera ottenendo continue cascate di note. A questo punto i tre sono del tutto uniti a “chiudere la scultura”. Mi chiedo chi di loro dice quando il pezzo è finito. Mi rispondo che non lo si capisce eppure finiscono quando il pezzo doveva finire.
Alle 22,50 c’è l’attimo di silenzio. L’applauso stenta ad arrivare, forse perché dentro quell’ambiente ipnotico ci vuole un po’ di tempo a riprendersi. Ma poi si capisce che il pubblico ha apprezzato e saluta il trio.
E qui mi ridiventano ancora più simpatici gli organizzatori del Reitschule che hanno messo insieme questa serata.
Ma per me non è ancora finita. Avevo una promessa internettiana con Swanton … l’autografo. Anche se ho 61 anni, ho bisogno degli autografi, come farebbe un qualsiasi adolescente a cospetto del suo idolo. Mi avvicino al più socievole dei tre, con la mia raccolta dell’intera loro collezione di CD, me la sono portata apposta nonostante l’ingombro. Swanton sorride, evidentemente compiaciuto e dopo la sua dedica e firma, mi accompagna in uno stanzino retrostante il palco, dove Buck e Abrahams stanno cenando con frutta e affettati. Mi fanno cenno di sedermi con loro ma qui si manifesta il mio handicap, non spiattello una parola di inglese e quando uso questa lingua utilizzo il traduttore automatico. Li saluto con ammirazione, percepisco che sentono la mia partecipazione e ancora un po’ in trance, esco con il mio trofeo.
Dicevo che Swanton è gentile. La conferma è questa mail che mi ha inviato nei giorni successivi al concerto.
“Thanks Paolo, a pleasure to meet you at long last and thank you for the very flattering tribute. We’re so glad that our music means so much to you. All the best”
Lloyd Swanton
(” siamo felici che la nostra musica significhi così tanto per te” tradotta da Dodo)
Caro lettore, ripeto quanto detto poco fa. O la musica dei The Necks piace, e se piace è l’immaginazione a suggerirlo, o non piace. Se credi, prova a “vedere” sentire qui sotto alcuni frammenti del concerto. Se poi vorrai qui sopra, all’inizio di questo ricordo, c’è tutta le preziosa tracce di quelal sera a Berna, al Reithschule, il 20 giugno 2010
BERNA, VACANZINA DEL 20 GIUGNO 2010: ASPETTANDO LA SERA E I THE NECKS
Arriviamo a Berna alle ore 13, sotto un cielo nuvoloso e ancora carico di minacciosa pioggia.
Dopo il pranzo e la scelta dell’albergo, cartina alla mano ci addentriamo nel cuore della città.
Visitare il centro storico di Berna è semplice.
Il riferimento è il fiume Aare che lambisce la città vecchia su tre lati.
Dalla stazione ferroviaria è sufficiente imboccare la Spitalgasse e subito si è già nello spirito della città.
Quasi tutte le case sono a portici sotto i quali si trovano numerosi negozi, boutiques, gallerie d’arte e cantine adibite ad ospitare spettacoli di cabaret e di musica jazz.
Che Berna sia città d’acqua è visibile anche dal considerevole numero di fontane. Vi sono quelle celebri con le loro antiche statue e quelle meno famose, ma non per questo meno interessanti per posizione, foggia e dimensioni.
Sempre dritto si arriva alla Marktgasse, dove troneggia laTorre dell’Orologio con articolati meccanismi e carillon che segnano le ore che passano.
Al termine la Kramgasse con tre fra le più rinomate fontane e la casa che ospitò per un breve periodo Albert Einstein.
Raggiunta la Nydegghasse (possibile oltre che a piedi anche utilizzando una ripida scalinata) ci si trova a cospetto del ponte più moderno, essendo quello antico di pietra collocato più in basso.
Una moltitudine di gente segnala che siamo vicini al fossato degli orsi, una delle maggiori attrattive di Berna, presenti sia fisicamente sia con immagini, statue e bandiera, essendo l’orso l’animale simbolo del capoluogo elvetico.
L’unico neo: temperatura molto bassa, anche se fortunatamente senz’acqua.
Per essere alla vigilia dell’estate nove gradi non sono male per girare la città a buon ritmo.
The Necks, Live at Reitschule, Berna 20 giugno 2010
Sulle tracce dei The Necks: Berna, 20 giugno 2010
Dopo anni di ascolto è arrivato finalmente il momento di vederli dal vivo.
Domenica andremo a Berna, dove i The Necks creeranno sulla scena una delle loro lunghe sculture musicali.
Domenica andremo a Berna, dove i The Necks creeranno sulla scena una delle loro lunghe sculture musicali.

Non mi faccio aspettative. Temo che l’ambiente musicale della Reitschule non sia il più adatto alla concentrazione che chiedono all’ascoltatore.
Loro sulla scena sono così:
In Italia il trio Jazz dei The Necks è ancora poco conosciuto. I dizionari e le enciclopedie Jazz a stampa non ne parlano e anche sulla rivista Musica Jazz non si trovano accenni.
Sulla rete ci sono citazioni qui e là. Eccone una rassegna:
- Piero Scaruffi sui The Necks
- Geoff Dyer, Sulla musica del The Necks
- Alfredo Rastelli, The Necks, Drive By, in Sands-zine
- Paolo Ferrario, The Necks, Drive By, in DeBaser
- Paolo Ferrario, The Necks, Sex, in DeBaser
- Paolo Ferrario, The Necks, Aquatic, in DeBaser
- Amalteo, The Necks- Chris Abrahams, Tony Buck, Lloyd Swanton: Pop Will Eat Himself, At Factory Theatre, Sidney, 2008
- Gennaro Fucile, Strani attrattori: i The Necks, in Quaderni d’altri tempi
- Paolo Ferrario: Tracce sui the Necks
Di loro si dice che fanno una musica “inclassificabile”, altri dicono “Minimalistic Jazz”, altri ancora “Eclectic Jazz”.
Suonano e creano assieme dal 1989, data del disco Sex.
Diciamo che fanno un jazz particolare, perchè esplorano nuove frontiere come peraltro hanno sempre fatto i loro predecessori, che cercavano “la nota impossibile, quella che non esiste, che non c’è sulla terra” (Steve Lacy su Thelonius Monk).
Il loro ascolto lascia sempre il segno, però non hanno attraversato quella invisibile linea che passa fra il notturno trascinare gli strumenti per il piccolo pubblico (tipico degli strumentisti jazz) e la notorietà più diffusa. Ripeto: almeno in Italia.
Dipenderà anche dal fatto che abitano in una terra straordinaria, ancestrale e moderna nello stesso tempo: l’Australia. Là sono famosi e apprezzati, visto che continuano il loro progetto musicale difficile e inusuale: in quasi vent’anni hanno pubblicato 25 Album per un totale di una trentina di ore.
Effettivamente la loro musica assomiglia molto a quel paesaggio: sanno creare uno spazio psichico e visivo che è bello e coinvolgente attraversare con la loro guida. Sì: è un percorso ipnotico quello che creano. Come nel film Picnic ad Hanging Rock di Peter Weir (1975).
Sentiamo un assaggio della loro musica.
In “Aquatic” (1999) Chris Abrahams è al Piano e all’organo Hammond, Lloyd Swanton al Contrabbasso acustico ed elettrico, Tony Buck alla batteria e alle percussioni. Questa volta c’è anche Stevie Wishart all’”Hurdy-Gurdy”.
I pezzi sono due: uno di 27 minuti, e l’altro di 25. Una eccezione rispetto al loro standard che è quello di un’unica scultura musicale di circa un’ora.
Il secondo movimento è incredibilmente bello (l’assaggio che segue estrae i primi otto minuti).
Inizia a grande velocità, con il contrabbasso violineggiante di Swanton, incalzato dal terribile Tony Buck, un vero monello della batteria.
Poi il piano di Abrahams comincia a spingere avanti. Sempre di più: trilli, battiti, con il basso a contenere.
Ecco di nuovo gli archi.
Sempre più veloce, impercettibilmente veloce.
Viene voglia di chiudere gli occhi. Ecco: nel nero si vede lo spazio che è attraversato dalle note del piano sorrette da quel tappeto volante che è la batteria, baroccheggiata dal contrabbasso.
Ora il ritmo si fa un po’ meno frenetico.
E comincia il gioco fra di loro.
Sì: l’interplay jazzistico inventato dal trio di Bill Evans risorge, si riattualizza in un’altra dimensione!
I tre improvvisano dentro un sonno spaziale reso possibile dalla (leggera) elaborazione elettronica dei suoni.
La conclusione è di grande pace: sì è bello stare qui. E dove siamo ora ? Ma guarda un po’: siamo ancora in Drive By, del 2003.
Loro sono architetti musicali: edificano case in paesaggi.
Jazz … Ambient … Minimalismo … Elettronica …
Cosa importa il genere.
I The Necks sono tutto questo ma vanno oltre questo. Per i The Necks il termine “Post-Jazz” è limitativo. Sanno creare una situazione di incanto nello spazio temporale che il tempo assegna alla loro immaginazione.