Tradurre la lingua madre di IAN McEWAN, di Susanna Basso, in Domani 17 marzo 2023

Antologia del TEMPO che resta

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https://www.editorialedomani.it/idee/cultura/tradurre-i-romanzi-ian-mcewan-susanna-basso-racconta-rik37f0p

  • Ho tradotto il primo romanzo di Ian McEwan 36 anni fa, nel 1987. Non potevo capacitarmi della fortuna che mi era toccata. Non mi capacito neppure adesso. Avevo 32 anni, ero incinta, e il ricordo della mia gravidanza è indissolubilmente legato a quel libro.
  • E per finire, posso ricordare di aver tradottoMacchine come menel silenzio bianco del lockdown, mentre Ian McEwan, nel suo lockdown, dava inizio alla stesura diLezioni.

Ancora una volta vorrei farmi guidare dalle parole di Yves Bonnefoy sulla traduzione:

«E forse, dopo tutto, è così che bisogna tradurre, con l’oscura coscienza cioè che in ogni traduzione non si è che sé stessi, nel nostro proprio giorno, e che questa transitorietà avvolge tuttavia una testimonianza».

DopoBambini nel tempo, diIan McEwan, ho tradotto:

Lettera a Berlino1990

Cani neri1993

L’inventore di sogni1994

L’amore fatale1997

Amsterdam

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RITRATTI in JAZZ: antologia musicale (80 tracce, 6 ore e 44 minuti). Ispirata dal libro di Haruki Murakami, Einaudi, 2013

Murakami Haruki ha scritto un atlante sentimentale del jazz.

Lo ha fatto nell’unica maniera possibile: scegliendo dalla sua collezione di dischi (rigorosamente in vinile) i musicisti indimenticabili, i brani piú preziosi, le performance storiche, e raccontandoceli con la stessa contagiosa passione di un amico con cui dividere un bicchiere in un jazz club.
A completare questo cocktail, perfetto anche per chi non conosce il mondo del jazz, ci sono la straordinaria capacità affabulatoria e la sottile malinconia dell’autore di 1Q84, accompagnate dai ritratti dei musicisti dipinti dall’artista Wada Makoto.

Buon ascolto.

Haruki Murakami, A Sud del confine a Ovest del sole (1992), Feltrinelli, 2005, riflessione di Paolo Ferrario

Antologia del TEMPO che resta

Haruki Murakami è, per me, un autore generazionale.

Intendo per generazionale uno che ha attraversato il mio stesso arco di tempo: quello della seconda metà del novecento.

Murakami ha preso la distanza, un po’ come hanno fatto (rispetto alla loro storia) alcuni protagonisti tedeschi del ciclo Heimat di Edgar Reitz, dalla tradizione giapponese, dai loro rituali imperiali, dalle loro culture così difensive verso l’esterno del mondo.

Murakami è un autore che parla di adolescenze, di maturità, di adultità, di musicalità transculturali. Un suo alter ego si racconta così:

”Sono nato il quattro gennaio 1951, nella prima settimana del primo mese del primo anno della seconda metà del ventesimo secolo. Lo si potrebbe quasi considerare un evento da commemorare ed è per questo che i miei genitori mi hanno chiamato Hajime, che significa “inizio” “

A Sud del confine, a Ovest del sole, pag. 9

In questo romanzo Hajime trascorre la…

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MURAKAMI HARUKI, ABBANDONARE UN GATTO. Illustrazioni di Emiliano Ponzi, Einaudi 2020

Abbandonare un gatto di Murakami Haruki (Einaudi). «Nei suoi romanzi e racconti Murakami ha creato un’infinità di mondi, e ne ha svelato ogni segreto ai lettori. Ma c’è una dimensione in cui la sua penna non si è quasi mai avventurata: la sua vita. Con Abbandonare un gatto, Murakami scrive per la prima volta della sua famiglia, e in particolare di suo padre. Ne nasce un ritratto toccante, il racconto sincero del “figlio qualunque di un uomo qualunque”. E forse proprio per questo speciale. A tradurre in immagini questo delicato racconto autobiografico, le invenzioni di uno dei più importanti illustratori contemporanei, Emiliano Ponzi, che con i suoi colori aggiunge poesia alla poesia in un’edizione unica al mondo. Il primo memoir del grande autore giapponese: un racconto inedito per un Murakami inedito» (dalla presentazione).

Philippe Daverio (1949-2020)

http://www.philippedaverio.it/biografia.php

È morto Philippe Daverio, storico, critico dell’arte, saggiste, politico e conduttore televisivo.

“Philippe Daverio si è sempre definito uno storico dell’arte – si legge sul suo sito personale -, e così lo ha scoperto il pubblico televisivo di Raitre: nel 1999 in qualità di “inviato speciale” della trasmissione Art’è, nel 2000 come autore e conduttore della trasmissione Art.tù, poi dal 2002 al 2012 autore e conduttore di Passepartout, programma d’arte e cultura divenuto Il Capitale, e del programma del 2011 Emporio Daverio per RAI 5, una proposta di invito al viaggio attraverso l’Italia, un’introduzione al museo diffuso e uno stimolo a risvegliare le coscienze sulla necessità d’un vasto piano di salvaguardia”.

Philippe Daverio (1949-2020). Gallerista. Critico d’arte. Docente universitario (Politecnico di Milano, Iulm, Università di Palermo). Direttore di Art & Dossier. Conduttore tv (dal 2002 al 2012  Passepartout, Raitre). «Arrivato a diciott’anni ho smesso la cravatta e son passato al papillon. È più pratico: non casca nel brodo. Adesso, però, lo confesso, è diventato una mania». • Nato a Mulhouse, in Alsazia, Francia. Quarto di sei figli, papà italiano che si chiamava Napoleone e faceva il costruttore, e mamma alsaziana, Aurelia Hauss. Educazione ottocentesca dentro austeri collegi francesi. Trasferitosi con la famiglia al Sud (era Varese, per loro profondo Sud) si iscrisse a Economia e commercio alla Bocconi di Milano. Completò tutti gli esami, ma niente tesi perché «i sessantottini di ferro non potevano laurearsi» • Cominciò quasi per caso a fare il mercante d’arte moderna e negli anni Ottanta aprì una galleria a Milano e una a New York. Dal 1993 al 1997 fu assessore alla Cultura e all’educazione del Comune di Milano • «Era l’esatto contrario del bocconiano tipico: triste, serio, ingessato. Lui era allegro, esuberante e già allora il suo guardaroba non conosceva il grigio. Il suo guardaroba è una festa di colori, le sue cravatte, a farfalla, un arcobaleno. La galleria d’arte divenne a Milano la galleria d’arte per antonomasia. Indimenticabili i suoi vernissage, a farne un avvenimento non era solo la qualità dell’artista ma la qualità del pubblico che vi accorreva» (Lina Sotis) • «Gli fu proposto di diventare assessore, con un bel mazzetto di incarichi, della giunta milanese retta da Marco Formentini. Avrebbe gestito, tra un incarico e l’altro, il 52 per cento del bilancio. Solo che a bilancio non c’era molto, solo che Formentini niente temeva di più di essere accusato di sprechi e di favoritismi. A Milano si vide qualcosa che non si era mai vista. Daverio aveva molti amici. Pochi si tirarono indietro quando si trattò di dargli una mano a organizzare manifestazioni che non dovevano costare nulla» (Sandro Fusina) • Dal 1972 viveva al fianco di Elena Gregori, bisnipote del fondatore del Gazzettino, dalla quale ebbe un figlio, Sebastiano. Per «colpa sua» si rimise a sciare e suonare il pianoforte. «Sono fermamente convinto che i figli vadano sfruttati, cioè ti possono servire a sfruttare vecchie passioni» (ad Anna Maria Salviati) • Fumava il sigaro. Dichiarava di bere tutto il bevibile, di farsi rifare colli e polsini delle camicie «così durano almeno vent’anni», di spendere volentieri i soldi per l’affitto di case spaziosissime dove poter camminare in lungo e in largo e far stare comodi i cani [dal Catalogo dei viventi 2009, Marsilio 2008]. Aveva il cancro da quattro anni. È morto all’istituto dei Tumori di Milano.

Luis Sepúlveda (1949-2020)

Antologia del TEMPO che resta

Scrittore cileno. Esordì nel 1989 con Il vecchio che leggeva romanzi d’amore dedicato a Chico Mendes e scritto dopo sette mesi trascorsi nella foresta amazzonica con gli indios Shuar. «Con il secondo romanzo, Il mondo alla fine del mondo, descrisse invece ciò che gli era sembrato inevitabile dal ponte di una nave di Greenpeace, organizzazione a cui si era unito negli anni Ottanta: navi-fabbrica che trascinano a bordo balene esangui e si trasformano in mattatoi, inseguimenti tra le nebbie dell’Antartide, militanti ecologisti contro pescatori giapponesi» [Parmeggiani, Rep]. Della sua produzione si ricordano anche alcune favole, tra cui Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare (pubblicato nel 1996 da Salani) che ha ispirato il film d’animazione La gabbianella e il gatto, uscito nel 1998 e diretto da Enzo D’Alò. Da ultimo ha pubblicato nel 2018 Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa

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1948, l’anno che cambiò l’Italia, Proiezione del documentario, Venerdì 7 Giugno 2019, ore 17.30, alla Sala Buzzati via Balzan 3, Milano

La Libertà delle Idee

Venerdì 7 Giugno, ore 17.30

Proiezione del documentario

1948. L’ANNO CHE CAMBIÒ L’ITALIA

a cura di Bruno Vespa

intervengono

Luciano Fontana

Giuseppe Sala

Liliana Segre

Bruno Vespa

Sala Buzzati
via Balzan 3, Milano
Ingresso libero
con prenotazione www.rsvpfondazionecorriere.it
in collaborazione con
Fondazione Cariplo
Fondazione Corriere della Sera Gli indirizzi e-mail presenti
nel nostro archivio provengono
da ricerche, contatti, segnalazioni,
vostri accrediti presso la sala Buzzati.Se preferisce non ricevere più
i nostri messaggi può richiedere
la rimozione della sua e-mail in
qualsiasi momento scrivendo a
rsvp@fondazionecorriere.it

Alessio Brunialti ricorda DAVID BOWIE, con una raccolta musicale, da la Provincia di Como del 12 e 13 gennaio 2016

una personalissima top ten di brani acconci, in loving memory:

Space oddity – si comincia quasi sempre da qui, no? Un brano perfetto disintegrato in Italia dall’aberrante versione di Mogol che non si è minimamente curato di conservarne un briciolo dell’originalità

Five years – quando poi sono entrato in possesso dell’album vero, The rise and fall of Ziggy Stardust and the eccetera eccera, e l’ho ascoltato dischiudersi davanti alle mie orecchie con questo brano, mi si sono aperti un mondo e il cuore

The man who sold the world – c’è voluto il Kurt Cobain dei Nirvana Unpluggedper far scoprire a un pubblico più giovane questa perla. Al di là della musica, il solo concetto dell’uomo che ha venduto il mondo merita un inchino

Young americans – discoteca? Ma quella bella (Bowie stesso farà di peggio negli anni Ottanta). La suonavo dal vivo e mi ricordo belle versioni acustiche solo chitarra e basso. Questa, però, è leggermente migliore

The wild eyed boy from freecloud – a proposito di chitarra acustica: il Bowie – menestrello delle origini mi è sempre piaciuto tantissimo e questo è davvero un piccolo capolavoro

Life on Mars?
– e dire che è partito tutto da Sinatra, da David che scrive la sua versione inglese di Comme d’habitude, ma quella che diventa famosa come My way è la traduzione di Paul Anka e Bowie parodia Frankie con questo pezzo che, viste le premesse, non aveva le carte in regola per diventare l’immensità che è

Sons of the silent age – non per infilarci un pezzo semisconosciuto a tutti i costi, ma l’immota fissità di questa perla (che ho imparato ad apprezzare grazie a Blaine L. Reininger dei Tuxedomoon – lo so che a questo punto molti si son persi, scusate, è l’emozione…) esprime bene i miei sentimenti dopo la notizia

Station to station – questo è il classico caso di brano (e disco) che cresce negli anni. Considerato un album minore per troppo tempo, è stato rivalutato a posteriori come uno dei più innovativi di Bowie e questa lunga, cangiante canzone getta un ponte che arriva fino a Blackstar, il cd di venerdì scorso

Heroes – come faccio a non metterla? Però la metto in francese, visto che è tornata a essere un inno in questi tempi buj

Quicksand – non per essere originale a tutti i costi, ma questa indecifrabile peregrinazione gli affiliati della Golden Dawn (tra gli altri la “grande bestia” Aleister Crowley, il nazista Heinrich Himmler, ma anche Winston Churchill) spruzzata di superomismo nietzeschiano è la mia canzone di Bowie preferita, forse perché ne apprezzavo la musica un’era geologica prima di (non) comprenderne il testo.

Sorgente: MARTEDÌ 12 GENNAIO – La Settimana InCom – La Provincia di Como La Provincia di Como – Notizie di Como e provincia

cui aggiunge, il giorno dopo:

The laughing gnome – cominciamo con un peccato di gioventù, quando db era un ventenne che scimmiottava, di tutto lo scimmiottabile, i Pink Floyd di Syd Barrett con una spruzzata di Tolkien che non fa mai male. Così ridicolo da essere sublime

Ragazzo solo, ragazza sola – l’altro giorno Mogol si affannava a rivelare a chiunque glielo chiedesse e pure a chi non glielo chiedeva, che la sua versione (“Mi raccomando, non traduzione, eh…”) di Space oddity a Bowie piaceva tantissimo, altrimenti non l’avrebbe cantata. Sarà: rimane una bella monnezza anche e soprattutto per la sua versione (“Mi raccomando, non traduzione, eh…”) che sostituisce alla triste storia del Maggiore Tom che si perde nello spazio la più banale delle storie d’amore.

The little drummer boy – qui a discolpa di db si può dire che nemmeno a lui piaceva l’idea di duettare con Bing Crosby su questo brano e che è stato pubblicato a tradimento contro la volontà dell’artista. Ma il pezzo esiste e pure se ascoltandolo a Natale passato pare di farsi la doccia con i calzini, non è quello il punto, poropopompòn

God only knows – qui siamo alla lesa maestà e al fatto personale. La peggior versione della miglior canzone di Brian Wilson nonché mio brano musicale preferito in assoluto.

Volare – dalla colonna sonora di Absolute beginners, l’absoluto abisso della bruttezza: non so se è peggio la scelta del brano o l’arrangiamento da pubblicità del deodorante

Christopher Hitchens (1948-2011) , il primo a definire «fascisti islamici» i terroristi di Allah

Mappe nel Sistema dei Servizi alla Persona e alla Comunità

….

Oggi è ricordato per la sua verve antireligiosa, mostrata nel libro Dio non è grande (Einaudi), ma in realtà Hitch era un dotto critico letterario, formato nei lontani anni londinesi e intorno al quale la rivista «Atlantic» ha ricostruito la sua sezione culturale. Sono state però le controversie politiche, intellettuali e personali a creare il personaggio. Hitchens è diventato Hitchens perché è stato il primo a definire «fascisti islamici» i terroristi di Allah.

I suoi vecchi compagni non si aspettavano la giravolta sull’Iraq, giravolta che Hitch però non considerava tale: i terroristi «sono fascisti travestiti da musulmani», «oppressori dei derelitti del mondo, non i portavoce di chi lotta contro le ingiustizie», solo quei «poveri stupidi» che invocano la pace non se ne accorgono. 

Subito dopo la caduta delle Torri, Hitchens ha scritto che ciò cui avevamo assistito era un atto di «fascismo con un volto islamico», recuperando…

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ricordando Edmondo Berselli

ricordando Edmondo Berselli
Modenaonline
A parlarne saranno Ilvo Diamanti, politologo ed editorialista del
quotidiano “La Repubblica”, Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos, e
Arturo Parisi, …
<http://www.modenaonline.info/notizie/2013/04/28/post-politica-ricordando-edmondo-berselli_32830>

all’auditorium della Fondazione Marco Biagi a Modena. L’ultimo appuntamento in programma in ricordo del giornalista e intellettuale modeneseEdmondo Berselli è intitolato “Un paese in bilico fra ‘partiti ipotetici’”. L’incontro, inserito nel programma di “Quel gran genio del mio amico. Cronache della post Italia”, affronta un argomento di strettissima attualità”.
A parlarne saranno Ilvo Diamanti, politologo ed editorialista del quotidiano “La Repubblica”, Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos, e Arturo Parisi, politico italiano già ministro della Difesa nel secondo Governo Prodi.

Haruki Murakami, Mille buone ragioni per dichiararsi suoi fan, di Michele Neri

Nessuno, più di Murakami, suscita protezione, quasi fosse un compagno segretoPerché?

Abbiamo cercato risposte fra le parole dell’autore e le ragioni dei suoi cultori. A colpire, si dice in un sito a lui dedicato, è il fatto che leggerlo è come passeggiare in compagnia della nostra naturale capacità di essere ciò che siamo, senza particolari attrazione per il divenire.

Forse, come scrive Emma Brockes che nelle pagine precedenti lo ha intervistato, per i murakamiani l’entusiasmo è in parte basato sul desiderio di essere una persona che ama Murakami. O dipende dal fatto che tutti sappiamo che “le cose sono diverse da come appaiono”, ma solo lui ce lo ripete senza sosta. Come un uovo contro il muro “Tra un muro alto e solido e un uovo che si rompe contro di lui, starò sempre dalla parte dell’uovo.Non importa quanto sia giusto il muro e sbagliato l’uovo, starò con l’uovo.Qualcun altro dovrà decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato”, ha detto di sé Murakami in occasione del conferimento del Premio Jerusalem.

È uno scrittore che mette a suo agio il lettore soprattutto una volta finito di leggerlo. Resta un invito a perdonarsi, senza egoismi. Aiuta il fatto che lui speri sempre di restare lontano dalle conclusioni? Che la sua vita quadrata, a letto alle 9, sveglia alle 4, dieci chilometri di corsa ogni pomeriggio, musica jazz, sia dedita soltanto alla scrittura? Di certo aumenta il volume delle nostre percezioni perché è come se si mettesse a guardare quello che abbiamo davanti (o dentro) sedendosi di fianco a noi. Una coscienza allargata che crea dipendenza e identificazione.

da http://d.repubblica.it/dmemory/2011/12/03/attualita/attualita/095mil77095.html

Come sono diventato Haruki Murakami di Emma Brockes, da Ilmiolibro.it

Alcuni elementi del passato di Murakami sono misteriosi persino per lui. Non sa dire per esempio perché abbia deciso di fare lo scrittore. L’idea gli è venuta così, un bel giorno, mentre guardava una partita di baseball, e senza che prima avesse mai mostrato la minima inclinazione in tal senso. Si avviava verso i 30 anni, gestiva ancora il suo locale jazz, che aveva battezzato Peter Cat, dal nome del suo gatto. Era il 1978. Il suo periodo di ribellione si era più o meno concluso. Era cresciuto negli anni Sessanta, figlio unico di un docente universitario e della moglie casalinga, e come tutta la sua generazione si era rifiutato di imboccare la strada che gli altri si aspettavano da lui. Si sposò fresco di laurea e anziché proseguire gli studi chiese un prestito per aprire il locale jazz e dare sfogo alla sua passione per la musica.

Anche gli amici che aveva intorno si ribellarono. Alcuni si uccisero, cosa di cui Murakami scrive spesso. «Non ci sono più», dice. «Fu un periodo assai caotico, e ancora adesso mi mancano. A volte mi sembra così strano essere arrivato a 63 anni. Mi sento un po’ un sopravvissuto. Ogni volta che penso a loro, ho la sensazione fortissima di dover assolutamente vivere. Perché non voglio passare anni interi della mia vita… lo scopo dovrebbe essere semplicemente quello, vivere. Essendo sopravvissuto, ho l’obbligo di dare tutto. E così, quando scrivo un romanzo, a volte ripenso ai defunti. Agli amici».

Come sono diventato Haruki Murakami – – ilmiolibro.it.

La generazione 1946-1950: lo stesso Tempo


1946
: Bruno Tabacci, Hallstrom Lasse , David Lynch, Giacomo Marramao, Giorgio Montefoschi, Michele Placido, Nicola Piovani, Renzo Foa, Riccardo Cocciante, Vittorio Giardino

1947: Alessandro Dal Lago, Alessandro Haber, Alessandro Dalai, Carlo Buzzi, Carlo Freccero, Ermanno Cavazzoni, Francesco Giavazzi, Giulio Tremonti, Guido Crainz, Mario Draghi, Mario Luzzatto Fegiz, Paul Auster, Riccardo Chiaberge, Renato Mannheimer, Rob Reiner, Roberto Formigoni, Roberto Piumini, Salman Rushdie, Stephen King, Umberto Ranieri, Walter Siti; Walter Tobagi (assassinato dalla Brigate rosse della sinistra)

1948: Alberto Garuti, Aldo Busi, Aldo Grasso, Angelo Panebianco, Beppe Grillo, Bernard – Henry Levy, Al Gore, Brian Eno, Carlo Panella, Cesare Damiano, Enrico Deaglio, Ezio Mauro, Fabio Mussi, Gabriele De Ritis, Gerard Depardieu, Gerardo Monizza, Giancarlo Bosetti, Gino Strada, Giulio Sapelli, James Ellroy, Jean Reno, Ian McEwan, Luigi Manconi, Massimo D’Antona (1948-1999), Marco Tronchetti Provera, Maurizio Nichetti, Nick Drake, Remo Girone, Sergio Chiamparino, Sergio Cofferati, Sergio Cusani, Stefano Benni, Stephen King, Toni Capuozzo, Tullio Solenghi, Basilio Luoni; Alberto Manguel, Renzo Martinelli, Romano Madera, Tony Judt (1948 – 2010)

1949: Akeng, Almodovar, Antonello Venditti, Giorgio Legrenzi, Enrico Bordogna, Haruki Murakami, Lorenzo Arduini; Martin Amis, Massimo D’Alema, Stefano Folli, Mino Fuccillo, Nando Dalla Chiesa, Mark Knopfler, Paolo Mereghetti, Paolo Mieli, Patrick Suskind, Philippe Daverio, Piero Fassino, Richard Gere, Stefano Folli, Stefano Rulli

1950: Angelo Branduardi, Carlo Verdone, Giorgio Faletti, Gabriele Salvadores, Guglielmo Epifani, Peter Gabriel, Luca Ricolfi, Marco Tullio Giordana, Maurizio Sacconi, Nino Frassica, Philippe Delerm, William Hurt, Piergiorgio Odifreddi, Renato Zero