
Fel, al secolo Enrico Luigi Ferrarlo, è uscito di scena in una giornata ottobrina dello scorso anno. Visto che ad ogni piccolo o grande Napoleone tocca assaggiare l’isolamento della propria S. Elena, a Fel fu destinata una modesta stanza al pensionato villa Celesia, dove trascorse gli ultimi anni del suo tramonto. A lui, il vecchio e grintoso capostipite del giornalismo umoristico non-professionale, non era stato neppure risparmiato un piccolo affronto, che presto si colorò delle tinte amare di un oltraggio mal digerito.
Già sulla soglia della novantina (è morto, per la cronaca, con 94 primavere sulle spalle), il polemico comasco aveva scritto una lunga composizione in rima sulla “vita di pensionato”, un bonario sfottò che non aveva risparmiato i peccatucci, in senso caporalesco, della dirigenza dell’istituto, fino a ironizzare, non senza gentilezza, sull’indomita tensione affettiva, tra “ragazzi” e “ragazze”, ospiti della casa di riposo. Gli si fece sapere che, di quella rima, non era gradita la pubblicazione. Per uno come Fel, era come sentirsi preso in contropelo. Gli si rinvigorì subito dentro il fuoco della passione per la libera espressione del pensiero, al di là di tutti i gesuitismi preteschi che egli, apostolo d’anticonformismo, aborriva con decisione.
Un contestatore, il nostro. “Un uomo assolutamente illibato”, puntualizza il figlio Mario Ferrano, 69 anni, che ricorda come il padre detestasse i compromessi e le mezze misure. Da direttore del “Tivan”, il foglio settimanale che fondò e diresse per molti anni, Enrico Luigi Ferrano si comportò sempre da galantuomo, pronto a riconoscere i pregi personali degli avversari di turno che, per il bene della città e del suo esclusivo interesse, importunava con virulenza. Nella storia del giornalismo, il “Tivan” merita senza dubbio un posto, quale rappresentante della pubblicistica municipale. Una categoria non certo residuale, perché il giornalismo italiano nasce come gazzettiero, prettamente localistico.
In un certo senso, anche noi della “Gazzetta” ci richiamiamo a questa nobile tradizione, senza la pretesa di essere i continuatori di nulla. Leggendo la prosa di questo giornalismo, che ai contemporanei abituati al gioco di sponda della stampa d’oggigiorno spesso paludata, codarda e dietro-logica può apparire viscerale, faziosa e priva del normale senso del limite, non si può non rinvenirne il contenuto vitaminoso dell’imprenditoria del rischio che non ha tempo. Anche nel giornalismo.
Sfogliando le pagine di una raccolta d’annata, ritroviamo anche il gusto, oltre che della provocazione, dell’innovazione tecnica che caratterizzava 1 andamento di questo giornale. Il “Tivan”, già nei primi anni di vita si presentava con un’immagine ben precisa, di giornale diretto ad un pubblico popolare Le sue pagine contengono articoli brevi, senza foto ma con tanti disegni Fanno spicco decine e decine di commenti, corsivi, rubriche d opinione II giudizio, il commento, emerge, quasi prepotente, dalle pagine scritte del foglio comasco. Spesso si riduce ad uno slogan ristretto in un riquadro, che sintetizza e intende fissare nella memoria del lettore un imperativo moralistico, un atta
cco personale, un ingenuo proclama, un contributo demistificatore.
Polemista energico, a “tintura di odio”, amante più della bombarda che del fioretto, uomo che raramente appare trattenersi su argomentazioni in punta di penna, Fel non risparmia, e questo è un grosso merito, di girare la satira su se stesso. Egocentrico anche in questo, il direttore del “Tivan” firma il giornale come “responsabile davanti a Dio e alla legge”. Ma poi, in prima pagina, proprio accanto alla testata, aggiunge che il “Tivan” esce il sabato, “breva permettendo”. Esemplari sono le piccole tribune da cui Ferrarlo apostrofa il malcapitato di turno: “Senta un po’”, un appuntamento che, insieme al titolo, riporta il motivo grafico di una mano che getta l’indice su un ignaro, piccolo burocrate addormentato dietro una polverosa scrivania zeppa di carte.
Ideologicamente socialista “senza partito”, Fel era difensore di una socialità sincera, nella convinzione che anche il comasco con il conto in banca e l’industria di seta dovessero impegnarsi a donare molto alla città, con spirito aperto e senza snobismi. Imparare a stare, insomma, con la gente in mezzo alla gente. Ecco perché, giunto una volta sulle tracce di quanto dichiarava al fisco il presidente della Provincia, Bosisio, grande possidente, s’indignò a tal punto da attaccarlo con violenza per più settimane. Tuttavia, come nei romanzi di Guareschi, i personaggi, dopo immancabili scontri verbali arrivavano ad un modus vivendi, si riappacificavano e, chiariti gli equivoci, diventavano buoni amici.
Enrico Ferrarlo credeva pure nei giovani. Infatti, quando gli segnalavano qualche “giovane promessa”, oppure allorché gli aspiranti giornalisti si presentavano essi stessi in redazione, Fel li metteva generosamente alla prova per verificarne le capacità. E potuto così accadere che il “Tivan”, organo del giornalismo dilettantistico, sia divenuto una fucina di giornalismo.
Ma Fel, uomo ricco di umanità, non fu solo giornalista: di lui si ricordano i meriti nel campo della promozione sportiva (fu consigliere del calcio Como, fondatore dela società “Ardita” di Rebbio; inoltre introdusse nella nostra città la specialità del canottaggio a sedile fisso) e dello spettacolo (curò la regia di un famoso recital di fiabe per ragazzi, che ebbe molto successo anche a Milano).
Roberto Festorazzi
La Gazzetta di Como, 14 luglio 1988
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