«La differenza tra me e la maggior parte degli altri uomini è che per me i “muri divisori” sono trasparenti.
È questa la mia caratteristica.
Altri ritengono i muri così spessi, che al di là di quelli non vedono nulla, e perciò credono che non vi sia nulla. In un certo qual modo io percepisco i processi che si verificano nel profondo, e da ciò deriva la mia certezza interiore.
Chi non vede nulla non ha nessuna certezza, e non può pervenire a nessuna conclusione, o non può fidarsi delle sue conclusioni.
Non so che cosa mi abbia consentito di percepire la corrente della vita. Probabilmente l’inconscio stesso, o forse i miei primi sogni.
Essi hanno deciso il mio cammino fin dall’inizio. La conoscenza dei processi del profondo ha ben presto plasmato la mia relazione col mondo.
Fondamentalmente fu già nella mia infanzia quella che è oggi.
Gli autori presentano le potenzialità cliniche del gioco della sabbia (sandplay analysis), ripercorrendone la storia, i nodi teorici e le applicazioni nelle istituzioni.
Attraverso il gioco della sabbia l’analizzando costruisce una narrazione, un dialogo guidato e mediato dalla corporeità che, come avviene in una conversazione verbale, si articola attraverso pause o, al contrario, sequenze veloci, capaci di suscitare un ritmo armonioso tra mente e corpo,
D Può definirmi l’intersoggettività, termine che oggi viene usato molto spesso
La cosa importante è la ricerca di qualcosa comune. L’intersoggettività come è intesa? Stando alla coerenza logica è il rapportarsi tra due soggetti. Quando mi domando all’inizio de “L’uno e l’altro”: che cos’è che faccio? Non agisco su contenuti psichici intesi come cosa, ma mi rivolgo a un soggetto nella misura in cui il soggetto si rivolge a me.
E rientra in gioco tutta la tematica dell’iniziale interdipendenza, perché il paziente per consuetudine si pone come malato, e sta al medico non rispondere a questa maniera, ma stimolare nell’altro la riflessione. Il primo lavoro che deve fare è mettere il soggetto riflessivo con le spalle al muro e far capire all’altro che è lui stesso che nel dialogo con l’analista deve incominciare a riflettere su di sé.
Il problema fondamentale è che nella reale intersoggettività i contenuti su cui i due riflettono insieme sono contenuti che riguardano entrambi. Il punto di partenza implica il concetto che la dinamica dell’uno è uguale alla dinamica dell’altro. Tutte le dinamiche che emergono appartengono ai due e, via via riflettendo scoprono insieme che queste dinamiche appartengono a tutta l’umanità e si passa in un ambito di ricerca filosofica, in cui la dinamica umana coincide con la dinamica dell’essere.
Come si parla di intersoggettività ? non ci si può limitare a dire tu sei un soggetto non sei un oggetto, ma occorre trattare un contenuto comune, perché se ci si limita a trattare i problemi del paziente non è mica intersoggettività. In “al di là del tabù dell’incesto” dico che in gioco deve entrare anche la problematica del soggetto analista. Metterei in evidenza questo problema. Nell’intersoggettività come ne parlo io ciò che emerge è un contenuto universale.
Un’amica di blog mi chiede con quale lettura cominciare ad esplorare il sentiero di Silvia Montefoschi.
Le ho risposto “ a braccio” e credo che sia utile lasciare qui questa traccia anche per gli altri passanti
credo di non sbagliare (anche se è possibile, naturalmente): Silvia Montefoschi è una delle grandi del pensiero del Novecento. Per me lo è di sicuro: seguo l’evoluzione del suo pensiero dal 1968 (nei miei vent’anni), dopo un suo articolo in tema di psicoterapia della famiglia pubblicato su problemi del socialismo (la rivista di Lelio Basso che leggevo in quegli anni.)
Medico, biologa, psicanalista, filosofa. Un percorso davvero unico
E’ di ardua lettura. Bisogna un po’ amarla per seguirla.
La leggo per vie laterali: quello che non capisco lo lascio lì, tanto so che ci ritornerò con occhi più consapevoli. Tuttavia mi accorgo della sua coerenza: è come se AVESSE SCOPERTO QUALCOSA DI IMPORTANTE SUL DESTINO DI CIASCUN VIVENTE. Al di fuori delle religioni.
Il mio consiglio è partire da: Silvia Montefoschi, L’Uno e l’Altro. Interdipendenza e intersoggettività nel rapporto psicoanalitico, Feltrinelli 1977 (nuova edizione 1989). Temo sia esaurito: forse giace in qualche libreria.
Tuttavia oggi c’è un’altra strada per camminare con i suoi pensieri.
La casa editrice Zephyro di Milano sta pubblicando la sua opera omnia (lei vivente!) in splendidi volumi con una bellissima copertina blu cobalto. Sono ordinati secondo una scansione tematica da lei stessa suggerita.
Ne sono usciti finora tre
opere 1, Il senso della psicoanalisi da Freud a Jung e oltre,
Opere 2 *
e Opere **, L’evoluzione della coscienza, dal sistema uomo al sistema cosmico).
Costano parecchio, ma ne vale la pena.
Il primo volume (Opere 1 Il senso della psicoanalisi, da Freud a Jung e oltre) e, inoltre, una sua ricostruzione del metodo di jung nel quale si parla della concezione terapeutica:
Il fondamento metodologico del pensiero di Jung, pagg 481-566
Per maggiore rigore bibliografico nei prossimi giorni copierò qui sia la bibliografia cronologica (1952-2006) sia i titoli degli scritti contenuti nei volumi Zephyro già usciti e di quelli programmati.
Buon cammino a tutti gli amici intersoggettivi che vengono qui in libertà
Il navigatore cede alla barca in movimento; la barca cede al mare in movimento; il mare cede al Tutto in movimento.
Poiché il minimo è influenzato dal massimo, e il massimo è influenzato dal minimo, sii il massimo e il minimo.
Quando cedi, cedi sia come massimo che come minimo. Allora si verificherà un cedere nel giusto modo.
Ray Grigg, Il Tao della barca, Corbaccio, 1994, p. 131
Moquette e carta da parati, piastrelle e intonaco, impianto elettrico, fasci di luce, porte, finestre, tende, cuscini, mobili, piante… Bisogna decidere il posto degli oggetti, il colore e lo stile.
Ciò che è interessante è che non si sa come fare. Imparate ad ascoltare quello che dice la stanza. Ogni luogo vuole una certa forma e una certa sistemazione. Non si può averne una conoscenza globale né razionale. È come se in ogni posto lo spirito del luogo parlasse una propria lingua, che voi dovete imparare utilizzando le vostre risorse. Bisogna quindi lasciarsi impregnare dalle caratteristiche del luogo: volume, luci, superfici, materiali, trama. E poi procedere a tentoni.
Una buona sistemazione non nasce mai da una prima intuizione. Bisogna procedere per approssimazione, passo dopo passo, per tentativi ed errori. Saper tacere e dimenticare, riscoprire, agire al di là delle parole e delle rappresentazioni. Non completamente in modo teorico e astratto. Posate un colore e gli altri tutt’intorno si trasformano. Mettete un mobile e i volumi cambiano, talvolta anche i colori e le luci. Ogni cosa è sempre in stretto rapporto con il resto. Per questo non dovete lasciarvi ingannare, quando non conoscete esattamente l’itinerario da seguire.
L’esperienza obbedisce a regole ogni volta diverse. Voi dovete lasciar fare e agire al tempo stesso. Siete voi al centro delle manovre, ma avrete successo se non imporrete nulla. D’altro canto le conseguenze di questa relativa passività saranno in ragione di quello che siete. Ciò che il luogo suggerisce, ciò che esige su misura non è evidentemente identico per tutte le persone: il luogo è la guida, ma siete voi il conducente e non qualcun altro. Non state quindi soltanto arredando una stanza, ma anche voi stessi.
Questa esperienza vi insegna che siete parte integrante dell’ambiente che vi circonda. Non un attore, o un architetto, insomma una volontà esterna che decide solo delle apparenze. Siete un elemento della stanza ed essa diventa uno degli elementi del vostro essere. Se qualcuno vi dice «come è bella la tua casa», potrete percepirla come una banalità oppure pensare che la verità alla lunga produce qualche effetto.
In Roger – Pol Droit, Piccola filosofia portatile. 101 esperimenti di pensiero quotidiano, Rizzoli
Moquette e carta da parati, piastrelle e intonaco, impianto elettrico, fasci di luce, porte, finestre, tende, cuscini, mobili, piante…
Bisogna decidere il posto degli oggetti, il colore e lo stile. Ciò che è interessante è che non si sa come fare.
Imparate ad ascoltare quello che dice la stanza. Ogni luogo vuole una certa forma e una certa sistemazione. Non si può averne una conoscenza globale né razionale. È come se in ogni posto lo spirito del luogo parlasse una propria lingua, che voi dovete imparare utilizzando le vostre risorse.
Bisogna quindi lasciarsi impregnare dalle caratteristiche del luogo: volume, luci, superfici, materiali, trama. E poi procedere a tentoni.
Una buona sistemazione non nasce mai da una prima intuizione. Bisogna procedere per approssimazione, passo dopo passo, per tentativi ed errori. Saper tacere e dimenticare, riscoprire, agire al di là delle parole e delle rappresentazioni. Non completamente in modo teorico e astratto.
Posate un colore e gli altri tutt’intorno si trasformano. Mettete un mobile e i volumi cambiano, talvolta anche i colori e le luci.
Ogni cosa è sempre in stretto rapporto con il resto. Per questo non dovete lasciarvi ingannare, quando non conoscete esattamente l’itinerario da seguire.
L’esperienza obbedisce a regole ogni volta diverse. Voi dovete lasciar fare e agire al tempo stesso. Siete voi al centro delle manovre, ma avrete successo se non im¬porrete nulla.
D’altro canto le conseguenze di questa relativa passività saranno in ragione di quello che siete. Ciò che il luogo suggerisce, ciò che esige su misura non è evidentemente identico per tutte le persone: il luogo è la guida, ma siete voi il conducente e non qualcun altro.
Non state quindi soltanto arredando una stanza, ma anche voi stessi.
Questa esperienza vi insegna che siete parte integrante dell’ambiente che vi circonda. Non un attore, o un architetto, insomma una volontà esterna che decide solo delle apparenze.
Siete un elemento della stanza ed essa diventa uno degli elementi del vostro essere. Se qualcuno vi dice «come è bella la tua casa», potrete percepirla come una banalità oppure pensare che la verità alla lunga produce qualche effetto.
Roger – Pol Droit, Piccola filosofia portatile. 101 esperimenti di pensiero quotidiano, Rizzoli, 2001
che l’Essere sia:
infatti l’Essere è,
il nulla non è:
queste cose ti esorto a considerare”
Parmenide, Sulla natura, Frammenti 6
Agitazione?
Due respiri lunghi,
una tazza di camomilla,
contare un po’ (da 10 a 100 a seconda della incazzatura/paura),
lettura di un passo di Emanuele Severino (soprattutto quando parla di Parmenide)
Cronos inghiotte i suoi figli. Ma la filosofia nasce su questa constatazione: può la Vita venire dalla Non-Vita (Nulla)?
riflessione di vasta portata in cui la terapia del gioco della sabbia (sandplay therapy) viene presentata nei suoi diversi livelli, sia storici che teorici e formativi. Vengono esposti i principi junghiani del percorso individuativo ponendoli in relazione con il processo che avviene nel gioco della sabbia. I passaggi evolutivi di formazione dell’Io identificati da Dora Kalff nel gioco della sabbia vengono spiegati in parallelo con le fasi dello sviluppo della coscienza indagate da Erich Neumann. Oltre a quelli intrapsichici vengono approfonditi i riferimenti mitologici, transculturali e neuro-scientifici sottesi al percorso terapeutico. I contenuti metodologici vengono illustrati anche tramite le esperienze cliniche, corredate dalle foto più significative delle scene create nei vassoi di sabbia.
Le gocce di pioggia battevano con violenza sui vetri della finestra, mentre un branco di nuvole color piombo si muoveva minaccioso e sospinto da raffiche di vento.
Nella stanza silenziosa la lampada sulla scrivania illuminava la pagina dell’8 settembre nella agenda di cuoio. Accanto alla lista dei pazienti una V vergata in rosso segnalava la progressione delle visite.
Con un sospiro la dottoressa Silvia Monteverdi appoggiò il capo sulla spalliera dell’alta poltrona, mentre lo sguardo indugiava sull’ultimo colloquio delle 15 e 15 previsto nel pomeriggio.
Un tuono improvviso la spaventò, suscitandole una sensazione di inquietudine di fronte a quel nome agganciato a un punto interrogativo simile a un cappio.
Il suono del campanello fu lieve.
Nello studio di uno psicanalista anche il trillo di annuncio alla porta riveste un significato. C’è il suono lungo e insistente, che rivela un bisogno imperativo di soccorso; c’è il suono intermittente, simile all’ansia…
Le gocce di pioggia battevano con violenza sui vetri della finestra, mentre un branco di nuvole color piombo si muoveva minaccioso e sospinto da raffiche di vento.
Nella stanza silenziosa la lampada sulla scrivania illuminava la pagina dell’8 settembre nella agenda di cuoio. Accanto alla lista dei pazienti una V vergata in rosso segnalava la progressione delle visite.
Con un sospiro la dottoressa Silvia Monteverdi appoggiò il capo sulla spalliera dell’alta poltrona, mentre lo sguardo indugiava sull’ultimo colloquio delle 15 e 15 previsto nel pomeriggio.
Un tuono improvviso la spaventò, suscitandole una sensazione di inquietudine di fronte a quel nome agganciato a un punto interrogativo simile a un cappio.
Il suono del campanello fu lieve.
Nello studio di uno psicanalista anche il trillo di annuncio alla porta riveste un significato. C’è il suono lungo e insistente, che rivela un bisogno imperativo di soccorso; c’è il suono intermittente, simile all’ansia di chi pensa di aver schiacciato il tasto troppo debolmente e quindi lo preme di nuovo; c’è il suono veloce e deciso di chi ormai frequenta quello spazio da tempo; c’è il suono sottile di chi, dall’altra parte dell’uscio, si domanda se stia facendo la cosa giusta.
La dottoressa Monteverdi aprì la porta.
Un uomo sulla trentina le comparve avvolto in un pastrano beige. Dal copricapo impermeabile colore blu grondavano stille di acqua che, incerte sulla strada da imboccare, si arenavano tra i peli della barba. Una mano sorreggeva un ombrello visibilmente provato dallo sferzare dal vento, mentre l’altra stringeva il manico di una cartella di pelle marrone stragonfia, la cui fibbia di chiusura pareva sul punto di soccombere.
Entrato, Paolo si guardò intorno alla ricerca di un portaombrelli.
Il corridoio era ben illuminato, accogliente, con una sequenza di raffinate acqueforti in cornici dorate allineate lungo le pareti e una lunga fioreria di ferro battuto riempita da ortensie blu e steli di lavanda essiccati.
“Lo lasci pure fuori”.
Paolo si accorse in quel momento che sul lato destro, proprio sotto il campanello, era ben visibile un portaombrelli in rame brunito.
“Prego, si accomodi e, mi dica, che cosa la porta qui da me?”.
I due, seduti l’uno di fronte all’altra, erano separati da pochi centimetri, totalmente esposti alla reciproca osservazione.
Ora che si era tolto il soprabito e il cappello, il giovane uomo mostrava la sua magrezza resa ancora più evidente dai jeans attillati e dalla camicia a righe blu, stazzonata e sfilacciata sui polsini. I piedi battevano il ritmo dell’insicurezza, mentre il corpo in bilico sul bordo anteriore della sedia sembrava poco incline a trovare conforto nell’alto schienale. Barba e baffi piuttosto incolti riempivano il viso triangolare quasi a compensare l’incipiente calvizie, già annunciata dalle tempie sguarnite e dalla fronte che si andava allargando sopra l’arco delle sopracciglia sottili. Lo sguardo inquieto vagava, dubbioso se concentrarsi sulla sua borsa o sul paio di occhi che lo fissavano rassicuranti. Infine si decise, si chinò verso la cartella ed estrasse un libro dalla copertina usurata, da cui spuntavano innumerevoli marcatori colorati. “Questo, dottoressa. L’ho letto e ho capito che dovevo incontrarla”.
Così dicendo iniziò a sfogliare le pagine dove il sottolineato delle righe, dei margini e dei paragrafi era molto più consistente di ciò che rimaneva intonso.
Il testo era l’ultima pubblicazione della famosa psicanalista, un trattato complesso ma fondante della sua ricerca ancora in corso sulla “intersoggettività” che si opponeva alla interdipendenza.
L’esordio di Paolo sul suo personale orientamento alla psicanalisi derivato dalle compulsive letture scientifiche degli anni precedenti cedette il passo a un racconto frammentato, permeato da opprimenti riflessioni sul senso della vita e sulla sofferenza causata da un femminile pervasivo che gli impediva di liberare la sua energia e di poter finalmente esprimere la sua identità.
“Come le dicevo poco fa, ho molto studiato prima di prendere questa decisione. Ho letto i suoi libri e sono affascinato dal tipo di pensiero che li attraversa. Sento che solo una persona come lei può aiutarmi a uscire da questo groviglio in cui è precipitata la mia vita”.
Adesso gli occhi di Paolo erano fissi sul volto della psicanalista, interroganti e supplichevoli. Sotto le ascelle si allargavano due macchie di sudore.
“Capisco il problema, ma le devo subito dire che attualmente non ho la possibilità di accogliere la sua richiesta. Posso solo invitarla a un prossimo colloquio fra un anno”.
“Ma secondo lei ce la posso fare ad aspettare ancora così tanto?”, sussurrò Paolo, attonito per quella risposta.
“Ecco … la vede la dipendenza? Solo lei può sapere se ce la farà. Posso dirle che suo Io mi sembra abbastanza strutturato per resistere” fu il responso gentile ma fermo della dottoressa Monteverdi. “La segno per l’8 settembre del prossimo anno con un punto di domanda. Ci rivediamo l’anno prossimo”.
Ebbene, quel giorno del nuovo lunario era giunto, portando con sé l’unica certezza di un tempo meteorologico instabile e bagnato esattamente come l’anno precedente. Quell’interrogativo dell’ultima seduta restava ancora un mistero.
Silvia, a distanza di 12 mesi, aveva intrapreso un nuovo itinerario professionale che la allontanava in modo radicale dal setting psicanalitico, portandola ad esplorare un tipo di ricerca trascendente cui solo un numero limitato di persone poteva collaborare, a conclusione del tragitto terapeutico avvenuto con lei.
Immersa in questi pensieri, Silvia cercava fra sé e sé le parole giuste per fornire una spiegazione plausibile alle richieste di nuovi potenziali clienti, ben consapevole della possibilità di ferire una sensibilità già compromessa dagli eventi della vita. Pure, sul piano dell’evoluzione del suo pensiero, restava determinante il principio del fenomeno intersoggettivo, ovvero della felice condizione dell’esistere con l’altro senza bisogni, così come più volte aveva scritto:
“Quello che io ci sia in libertà, poiché mi riconosco solo se sono libera di dirmi e di darmi così come, di volta in volta, l’esistere dell’altro mi rivela a me stessa”.
In questo caso era il proprio bisogno di sentirsi libera a prevalere: la scelta era compiuta, si trattava di agire.
E fu lì, alle 15 e 15 in punto, che sentì il campanello squillare con un certo vigore.
La scena si ripeté come il 7 settembre dell’anno precedente, con la differenza che l’ombrello era già accomodato al suo posto, sul lato destro della porta.
Berretto impermeabile intriso d’acqua e borsa rigonfia pronta ad esplodere come il panciotto di un pingue commendatore richiamavano un’immagine già vista.
“Si ricorda di me?”, ancora sul limitare dell’uscio Paolo non disse nemmeno buongiorno.
“Certamente”, rispose la psicanalista, facendogli strada verso lo studio.
“Ho cercato di resistere con tutte le mie forze. La situazione non è cambiata dall’anno scorso, ma ho avuto fiducia nelle sue parole e quindi eccomi qui”. Le parole sgorgavano impetuose, liberate dalla lunga prigionia prescritta da quel bizzarro colloquio appartenente ormai al passato. Sogni, lacrime, disturbi psicosomatici, ire e intensa vita politica avevano riempito le pagine di un’esistenza complicata, ma adesso, finalmente, tutto poteva essere raccontato, descritto, analizzato, interpretato, compreso.
Dopo quindici minuti Paolo era già sul portone dell’ottocentesco palazzo milanese.
In tasca un biglietto da visita e nelle orecchie l’eco delle parole di congedo della dottoressa Monteverdi: “Le do il nominativo di un fidato collega che certamente potrà essere un ottimo compagno di viaggio nella sua ricerca di sé”.
Paolo, di nuovo bloccato su una soglia, sentì di portare l’intero peso del mondo sulle spalle e alzò gli occhi al cielo colmi di una sconsolata disperazione.
Contemporaneamente dalla finestra del terzo piano uno sguardo fissava un orizzonte più lontano.
Dietro quel branco di nuvole, ora spostato ad ovest, spuntava uno squarcio di azzurro.
“Se cerco di cogliere sul piano esperienziale il fenomeno intersoggettivo che io assumo come parametro, strumento e finalità del mio interagire col paziente, devo dire che esso si rivela a me come la felice condizione dell’esistere con l’altro senza bisogni.
Se però analizzo questa condizione mi accorgo che essa si fonda sul soddisfacimento di due bisogni che le sono essenziali; quello che l’altro ci sia, in quanto è grazie all’esserci dell’altro che io mi manifesto come esistente e mi riconosco, e quello che io ci sia in libertà, poiché mi riconosco solo se sono libera di dirmi e di darmi così come, di volta in volta, l’esistere dell’altro mi rivela a me stessa.
In questa felice condizione, quindi, non percepisco altri bisogni se non quelli della presenza dell’altro e della mia libertà. Non sono forse questi i requisiti dell’esistere dell’uomo come soggetto?
…
Devo procedere nell’analisi di queste caratteristiche: la relazione e la libertà.
Il primo bisogno del soggetto per essere tale è l’esistenza di un altro da sé.Molte sono le forme sotto le quali questo altro si fa presenza agli occhi dell’uomo: può essere, di volta in volta, il mondo esterno, ovvero il mondo delle cose e dei valori sociali, o il mondo interno, ovvero il mondo dei pensieri e degli affetti; può essere il Tu umano, l’altro dell’incontro, o il Tu interiore, l’altro cui l’uomo si riferisce quando è con se stesso; può essere la corporeità dell’uomo o i suoi comportamenti o i suoi modi di rapportarsi al mondo, nel momento in cui egli se ne distacca per riconoscerli e riferirli a sé; può essere infine l’uomo nella sua globalità, quando l’uomo stesso prende da se medesimo la distanza necessaria per definirsi in una identità.”
in Silvia Montefoschi, L’Uno e l’Altro: interdipendenza e intersoggettività, Feltrinelli, 1977,
ora in Silvia Montefoschi, L’evoluzionedella coscienza, Opere, Volume Secondo – Tomo 1, Zephyro Edizioni, Milano 2008, p. 74-75.
2. Lo scritto del 2004, citato nell’audio-video è qui:
Io so chi tu sei so neanche chi sei ma so che tu sei si so che tu sei tanto amata amata e desiderata
l’istinto ti sa trattare ti sa guidare ti sa con poche parole precise poche parole decise e uno sguardo d’intesa un’elegantissima scusa come una bella di giorno tu sei il mondo che hai intorno
sei bella senza ritegno nell’acqua fresca di un bagno io so che tu sei so neanche chi sei ma so che tu sei si so che tu sei tanto amata amata e desiderata e sola
Lo scorrere del tempo ha bisogno di qualche supporto per la memoria. Sì, certo, la memoria biografica della mente fa il suo lavoro: registra, immagazzina, crea una sinapsi. E, tuttavia, si difende dalle troppe informazioni con il meccanismo della dimenticanza.
Da qui l’utilità delle agende e delle loro varianze: per il diario, per gli appuntamenti, per gli indirizzi e numeri telefonici, oggi per le e.mail. E ora i blog, anche se i loro depositi sembrano così precari: fasci di elettroni che girano su cavetti di rame! Occorre dare anche a loro qualche appiglio di stabilità.
Per molti anni, anzi direi da sempre, nel mio ciclo lavorativo, ho usato la “Agenda Planning” della Quo Vadis.
Nel decennio degli anni ’70 adottavo la Ministro, bella grande e con la settimana comoda da tenere in osservazione e la colonna di destra per appunti più distesi: … scrivere … vedere … fare …
Erano dense, allora, le mie giornate. Molto piene di politica.
E’ un tuffo nelle emozioni quello di riportare a galla l’intreccio temporale della tesi di laurea (25 gennaio 1974):
In questi giorni, durante i quali è morta Silvia Montefoschi, spiccano i due incontri intersoggettivi che hanno fatto virare la struttura della mia personalità: come il primo appuntamento di pre-analisi con Silvia Montefoschi (il 7 settembre 1977, ore 12) :
Seduta su una sedia molto moderna, da design, mi disse: “Torni fra un anno”
Fu quasi una pre-analisi. Anche se continuavo ad essere inghiottito dai rapporti di interdipendenza, dai quali sentivo di dover fuggire nel nome di quella splendente prospettiva che lei chiamava “intersoggettività in libertà”. Ma mi lasciò anche un messaggio per certi versi rassicurante: “Lei ha una personalità ben strutturate. Può farcela ad attendere”
Tornai esattamente un anno dopo, come se ci fossimo accordati da una “seduta” all’altra di 12 mesi di intervallo (8 settembre 1978, ore 15 e 15)
“Si ricorda di me?” le chiesi.
“Basta una volta per riconoscere una persona“, rispose
Non iniziammo il desiderato rapporto analitico su cui puntavo da qualche anno (nel frattempo risparmiavo i soldi, sapendo che l’analisi sarebbe costata oltre le mie risorse economiche dei redditi mensili da lavoro). Non ricordo bene la motivazione. Forse che doveva trasferirsi. Forse che stava riducendo le analisi personali per quelle didattiche e per i gruppi che attorno a lei ruotavano. Forse (ed è l’ipotesi cui dò più credito) perchè il suo psichismo potente, attentivo, prospettico sentiva che non ero del tutto “dentro” la svolta del suo pensiero che, infatti, più tardi si sarebbe manifestata con forza, profondità, capacità espressiva e intensità attrattiva.
“Vada da Claudio Risè, un mio allievo“.
Ero talmente dentro la struttura distruttiva del materno vorace e annientatore che replicai. “Ma non sarebbe meglio per me, una analista donna? “
“Non c’è differenza. E poi Risè è un’anima”
E così il cammino lungo, contrastato, caratterizzato da alti e bassi, mutevole per setting e comunque assolutamente “intersoggettivo” e alla fine, “felice” fu con Claudio Risè, che vidi per la prima volta il 14 settembre 1978 alle 11
Ora che Silvia Montefoschi è oltrepassata e sta verificando le sue visioni, mi dico che nella mia vita attuale c’è comunque ed ancora una parte rilevante della sua presenza di camminatrice sulla terra. Perchè sono le piccole intermittenze e i micro-incontri anche casuali, talvolta, a far girare un destino.
«In» è sicuramente presente nella psicologia del profondo: inanalisi, interapia, nel transfert, inamore, inuna relazione, nelcordoglio, nellatua testa e non neltuo corpo, nel travaglio e, una volta, inmodo familiare.
Poi «in» è diventato più profondo, è andato oltre diventando – nei Paesi anglofoni – into(dentro a/nel), il termine chiave per esprimere l’essere completamente assorbito, preso (da qualcosa, da una passione, da ciò che amiamo fare). Per esempio, si dice (essere) into/nell“/l’osservazione degli uccelli, (essere) into/nellamusica rap, (essere) into/nella,cucina messicana …
da: James Hillman, L’anima dei luoghi. Conversazione con Carlo Truppi, Rizzoli, 2004
In Silvia Montefoschi, Bianca Pietrini, Fabrizio Raggi, Il manifestarsi dell’essere in Silvia Montefoschi, Zephyro Edizioni, 2009, p. 17-27
L’intero discorso che il pensiero ha fatto di sé in Silvia Montefoschi narrando la storia della propria evoluzione che ha dato luogo all’evoluzione dell’universo, ebbe inizio quando Silvia Montefoschi, impegnata già da tempo nella ricerca della verità mediante il metodo psicoanalitico che è appunto quello della perenne riflessione del pensiero su se stesso, fu incalzata a ripiegarsi riflessivamente sul suo stesso operato per scoprire alla radice la dinamica che si svolgeva tra l’uno e l’altro del rapporto psicoanalitico. E fu lì che si fecero già evidenti i fondamenti della dinamica conoscitiva in cui consiste l’esserci di tutto ciò che è:
– la relazione duale all’interno della quale solamente il soggetto sa di sé come tale;
– l’articolarsi di questa relazione nella distinzione tra il soggetto e l’oggetto, tra loro in reciproca dipendenza;
– la tensione verso il superamento di questa interdipendenza nell’intersoggettività, nella quale il soggetto riconosce se stesso nell’altro soggetto con il quale realizza, consapevolmente, quell’unità duale che si dava sin dall’inizio dei tempi inconsapevole di sé;
– il fulcro della dinamica evolutiva dell’essere: il tabù dell’incesto e la sua infrazione;
– e infine il concetto di soggetto riflessivo, che Silvia Montefoschi introduce per la prima volta nella teoria psicoanalitica come altro dal concetto dell’io, e che è l’unica chiave di lettura di tutti i processi psichici siano essi sani o patologici; soggetto riflessivo che è la costante presenza del soggetto umano a se stesso e il punto di riferimento di tutti gli eventi dell’esistenza del soggetto umano stesso grazie al quale quest’ultimo riconosce la propria identità storica. Fondamenti questi che, nel farsi immediatamente evidenti nel dialogo tra l’uno e l’altro del rapporto psicoanalitico, fanno di quest’ultimo non soltanto l’ambito ma l’essenza stessa della dinamica evolutiva del pensiero, che è quella del ripetuto salto evolutivo del pensiero su se stesso; dinamica che si era già fatta consapevole di sé, nel momento in cui il pensiero raggiunse il livello di riflessione del soggetto umano.
[..]
Dalle riflessioni di Silvia Montefoschi emerge allora che l’oggetto sul quale l’analista opera e il parametro da lui utilizzato nel rapporto analitico mutano radicalmente. L’oggetto infatti non è più il relazionarsi del paziente all’analista, bensì il modello di rapporto nel quale entrambi sono calati; il parametro non è più il modo dell’analista di relazionarsi al paziente, bensì un nuovo modello di rapporto che già è presente, come necessità, all’interno della dialettica dello stesso rapporto analitico.
Il modello di rapporto, nel quale paziente e analista si trovano calati, è quello dell’interdipendenza ove il paziente si fa oggetto conosciuto e l’analista si fa soggetto conoscente, e il nuovo modello di rapporto, che già è presente come necessità all’interno della stessa relazione analitica, è quello dell’intersoggettività dove paziente ed analista si sperimentano entrambi come soggetti che riflettono insieme sulla dinamica della loro relazione la quale si svela, sempre ad entrambi, come una problematica relazionale universalmente umana al di là delle possibili variazioni che si danno nelle singole storie personali. Problematica che è quella della interferenza tra i due modelli di rapporto.
[…]
È a partire da questa visione che Silvia Montefoschi fonda il suo metodo di operare, assumendo l’altro della relazione psicoanalitica soltanto come soggetto che si rapporta a lei come altrettanto soggetto.
E così facendo Silvia Montefoschi introduce, per la prima volta nell’ambito della teoria psicoanalitica, il concetto operativo di soggetto, come altro dall’io, quale punto di vista trascendente l’io.
Punto di vista dal quale poter analizzare i contenuti conoscitivi dell’io nei quali il soggetto umano ripone la propria identità restando perciò vincolato a conoscenze già date e arrestando così il divenire della conoscenza.
“In questo libro Bianca Pietrini e Fabrizio Raggi ripercorrono con me il cammino che il pensiero ha fatto, mettendo in luce la consequenzialità dei passaggi logici dall’inizio alla fine dell’opera che ha intenzionato la mia vita. È infatti alla luce del punto di arrivo che si illumina la linearità della strada lungo la quale si è svolto un intero discorso. Questo libro pertanto non è la rilettura di quelli che sono stati scritti attraverso di me, bensì un’opera nuova e unica, quale visione che il pensiero uno stesso ha avuto della sua intera storia.” (Silvia Montefoschi)
INDICE
Prologo
PARTE PRIMA – IL PERCORSO
L’uno e l’altro: interdipendenza e intersoggettività nel rapporto psicoanalitico
Silvia Montefoschi è nata a Roma nel 1926. Allieva di Ernst Bernhard, è approdata alla psicoanalisi, alla filosofia e poi ancora alla psicoanalisi dopo la laurea in medicina e in biologia. Tutta la sua Opera Omnia è in via di pubblicazione nelle Zephyro Edizioni di Milano (a cura di Baldo Lami e Maria Luisa Mastrantoni). Ho schedato così la sua opera:
L’ UNO E L’ALTRO. Interdipendenza e intersoggettività nel rapporto psicoanalitico FELTRINELLI, 1977, p. 368
OLTRE IL CONFINE DELLA PERSONA FELTRINELLI, 1979, p. 165
DIALETTICA DELL’INCONSCIO FELTRINELLI, 1980, p. 287
AL DI LA’ DEL TABU’ DELL’INCESTO. Psicoanalisi e conoscenza FELTRINELLI, 1982, p. 231
PSICOANALISI E DIALETTICA DEL REALE BERTANI EDITORE, 1984, p. 150
C.G JUNG UN PENSIERO IN DIVENIRE GARZANTI, 1985, p. 226
IL SISTEMA UOMO. Catastrofe e rinnovamento RAFFAELLO CORTINA, 1985, p. 234
ESSERE NELL’ESSERE RAFFAELLO CORTINA, 1986, p. 305
FU UNA PIOGGIA DI STELLE SUL MIO VISO (Napoli 1952) LABORATORIO RICERCHE EVOLUTIVE di Giampietro Gnesotto editore, 1989, p. 70
LA DIALETTICA DELL’INCONSCIO (1980), in Opere Volume Secondo – Tomo 1 ZEPHYRO EDIZIONI, 2001, p. 209-437
L’ UNO E L’ALTRO: L’INTERDIPENDENZA E L’INTERSOGGETTIVITA’ (1977), in Opere Volume Secondo – Tomo 1, ZEPHYRO EDIZIONI, 2001, p. 57-192
IL FONDAMENTO METODOLOGICO DEL PENSIERO DI JUNG (1985), in Opere Volume Primo ZEPHYRO EDIZIONI, 2004, p. 481-566
IL SENSO DELLA PSICANALISI. Da Freud a Jung e oltre (Opere Volume Primo) ZEPHYRO EDIZIONI, 2004, p. 618
OLTRE I CONFINI DELLA PERSONA (1979), in Opere Volume Primo ZEPHYRO EDIZIONI, 2004, p. 295-409
IL DIVENIRE DEL PENSIERO DI JUNG (1985), in Opere Volume Primo ZEPHYRO EDIZIONI, 2004, p. 567-608
L’ UNO E L’ALTRO: PROPOSTA PER UNA FENOMENOLOGIA DEL SOGGETTO (1977), in Opere Volume Primo, ZEPHYRO EDIZIONI, 2004, p. 95-264
OLTRE L’OMEGA. Tavole dei modelli raffiguranti il processo ZEPHYRO EDIZIONI, 2006, p. 114 + Tavole
L’ EVOLUZIONE DELLA COSCIENZA. Dal sistema uomo al sistema cosmico (Opere-Volume Secondo – Tomo 2), ZEPHYRO EDIZIONI, 2006, p. 618
L’ EVOLUZIONE DELLA COSCIENZA. Dal sistema uomo al sistema cosmico (Opere-Volume Secondo – Tomo 1), ZEPHYRO EDIZIONI, 2006, p. 618
L’ ULTIMO TRATTO DI PERCORSO DEL PENSIERO UNO. Escursione nella filosofia del XX secolo ZEPHYRO EDIZIONI, 2006, p. 319
SOLIME’ LORENZO, prefazione di Silvia Montefoschi L’ ECO DELLA VOCE DEL PENSIERO ovvero il dirsi dell’Essere nel dire dell’Uomo ZEPHYRO EDIZIONI, 2006, p. 256
LUDWIG WITTGENSTEIN E LA RIVOLUZIONE EPISTEMOLOGICA (1983), in Opere Volume Secondo – Tomo 2, ZEPHYRO EDIZIONI, 2008, p. 15-28
LUDWIG WITTGENSTEIN: IL LINGUAGGIO COME FONDAMENTO DEL SOCIALE (1983), in Opere Volume Secondo – Tomo 2, ZEPHYRO EDIZIONI, 2008, p. 29-38
LA VITA E’ CONOSCENZA. FUNZIONE ETICA E STRUTTURANTE DEL CULTURALE NEL PROCESSO TRASFORMATIVO DELLA PERSONA (1984), in Opere Volume Secondo – Tomo 2 ZEPHYRO EDIZIONI, 2008, p. 39-60
IL PRIMO DIRSI DELL’ESSERE NELLA PAROLA. I MITI COSMO-ANTROPOGONICI. LE DIVERSE VISIONI DELLA COSCIENZA ANTINOMICA (1984), in Opere Volume Secondo – Tomo 2 ZEPHYRO EDIZIONI, 2008, p. 61-94
LA FELICITA’ COME RAPPORTO CON L’UNIVERSALE (1984), in Opere Volume Secondo – Tomo 2 ZEPHYRO EDIZIONI, 2008, p. 95-106
IL SISTEMA UOMO. CATASTROFE E RINNOVAMENTO (1985), in Opere Volume Secondo – Tomo 2 ZEPHYRO EDIZIONI, 2008, p. 107-268
L’ ANIMA E OMBRA (1986), in Opere Volume Secondo – Tomo 2 ZEPHYRO EDIZIONI, 2008, p. 269-286
ESSERE NELL’ESSERE (1986), in Opere Volume Secondo – Tomo 2 ZEPHYRO EDIZIONI, 2008, p. 287-502
“Se cerco di cogliere sul piano esperienziale il fenomeno intersoggettivo che io assumo come parametro, strumento e finalità del mio interagire col paziente, devo dire che esso si rivela a me come la felice condizione dell’esistere con l’altro senza bisogni.
Se però analizzo questa condizione mi accorgo che essa si fonda sul soddisfacimento di due bisogni che le sono essenziali; quello che l’altro ci sia, in quanto è grazie all’esserci dell’altro che io mi manifesto come esistente e mi riconosco, e quello che io ci sia in libertà, poiché mi riconosco solo se sono libera di dirmi e di darmi così come, di volta in volta, l’esistere dell’altro mi rivela a me stessa.
In questa felice condizione, quindi, non percepisco altri bisogni se non quelli della presenza dell’altro e della mia libertà. Non sono forse questi i requisiti dell’esistere dell’uomo come soggetto?
…
Devo procedere nell’analisi di queste caratteristiche: la relazione e la libertà.
Il primo bisogno del soggetto per essere tale è l’esistenza di un altro da sé. Molte sono le forme sotto le quali questo altro si fa presenzaagli occhi dell’uomo: può essere, di volta in volta, il mondo esterno, ovvero il mondo delle cose e dei valori sociali, o il mondo interno, ovvero il mondo dei pensieri e degli affetti; può essere il Tu umano, l’altro dell’incontro, o il Tu interiore, l’altro cui l’uomo si riferisce quando è con se stesso; può essere la corporeità dell’uomo o i suoi comportamenti o i suoi modi di rapportarsi al mondo, nel momento in cui egli se ne distacca per riconoscerli e riferirli a sé; può essere infine l’uomo nella sua globalità, quando l’uomo stesso prende da se medesimo la distanza necessaria per definirsi in una identità.”
in Silvia Montefoschi, L’Uno e l’Altro: interdipendenza e intersoggettività, Feltrinelli, 1977, ora in Silvia Montefoschi, L’evoluzione della coscienza, Opere, Volume Secondo – Tomo 1, Zephyro Edizioni, Milano 2008, p. 74-75.
2. Lo scritto del 2004, citato nell’audio-video è qui:
Essere in situazione.
Che cosa vuol dire “essere in situazione”?
Ecco, essere in situazione – per me, MA ANCHE per gli altri – vuol dire esserci come INDIVIDUO singolo (materialmente costituito di corpo e pulsioni e geneticamente programmato a stabilire relazioni) che ha appreso – durante l’infanzia/adolescenza/età adulta/transizione alla vecchiaia – norme e valori dalla CULTURA che mi è stata attorno e che mi ha orientato a stare nella SOCIETA’, che è quell’insieme di costrutti umani (stato ed istituzioni, in primo luogo) che caratterizzano la specie umana .
Prima di morire, se sarò sereno e lucido, saranno questi flussi di pensiero a scorrermi davanti agli occhi che illuminano la mente. E sarà il fotogramma della vita in un attimo.
Appunti del 17 febbraio 2007, ai tempi del Blog su Splinder
Dò molta importanza agli eventi casuali che costellano la mia esistenza.
Dico sempre che niente avviene a caso. Nel caso c’è sempre un messaggio da trovare e comprendere.
Bene. Qualche giorno fa Batsceba (blogger di splinder con la quale ho perso i contatti) ha invitato sul suo blog a parlare di qualche proprio sogno. Un invito interessante, perchè talvolta propongono immagini potentissime.
I sogni sono una cosa seria, impegnativa. Sono anche qualcosa di un po’ sacro. Parlo di una sacralità interiore.
Proprio in quelle ore, riordinando la mia biblioteca avevo trovato un pacco di miei sogni, risalenti ad un periodo in cui non solo alla mattina li ricordavo, ma addirittura li ricopiavo per conservarli. Appunto come qualcosa di sacro, in quanto proveniente da quella parte di me non controllata dalla coscienza.
E così ho tirato fuori il sogno della accettazione delle parzialità.
Quella notte mi svegliai di colpo con l’impellente bisogno di scriverlo.
E’ fantastico svegliarsi in piena notte. Spinto da una forza irresistibile di fare i conti con me stesso.
Di questi tempi non mi capita più.
Per forza: sono sempre qui attaccato al blog … anche per la canzone di mezzanotte … si dorme poco … si ricorda poco dei sogni …
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Trascrizione del sogno della notte del 29 dicembre 1992, ore 2 e 20
Primo momento: un pezzo del sogno
Ho partecipato ad alcuni gruppi di incontro psicologico con fini terapeutici. Di quelli molto diffusi negli Stati Uniti, nei quali le persone si trovano per più giorni ed effettuano intense esperienze di comunicazione interpersonale e corporea.
In una di queste esperienze mi assumo io il compito di guidare un piccolo gruppo di attività creativa: mi pare di una cosa pittorica.
Il punto fondamentale è questo: non c’ è un momento di comunicazione complessiva al gruppo globale di questa singola esperienza che io conduco. Il piccolo gruppo non comunica a quello grande ciò che è successo.
Questo crea dei conflitti e qualcuno mi chiede il perché di questo.
Io lo liquido abbastanza velocemente ed una ragazza prende le mie difese e mi da ragione, dicendo che il desiderio invadente di sapere è un problema di quella persona, non mio.
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Secondo momento: rêverie sul sogno
In sé il sogno potrebbe fornire pochi messaggi significativi.
Sennonché quella notte feci una lunga “Reverie”, ossia una riflessione fra il conscio ed il dormiente di cui parla il filosofo francese Gaston Bachelard. Una esperienza davvero piena di anima.
E questo è il commento, registrato quella notte e poi da me trascritto dalla voce notturna e conservato come uno dei più potenti messaggi che il mio inconscio mi abbia suggerito:
Mi sono chiesto se qui ci sia anche un messaggio di valutazione del punto in cui sono nel percorso della mia vita e della stessa analisi. Come se fossi ad un bivio.
In particolare mi viene in mente la mia attuale situazione esistenziale.
Mi trovo nella condizione di poter accettare una serie di mie parzialità psicologiche.
Un esempio di parzialità è quella per cui, pur non avendo capacità grafiche, ultimamente imposto quasi tutto il mio lavoro didattico utilizzando le immagini.
Certe immagini geometriche, che tuttavia hanno un effetto evocativo non basato sulla parola.
Una seconda mia parzialità è quella per cui, pur non avendo una cultura filosofica (neppure elementare), sento di aver bisogno di riferimenti filosofici che ricerco anche in modo confuso ed eclettico nelle mie ricerche bibliografiche. Ed alcuni concetti, magari avvicinati in modo semplificato e superficiale, entrano a far parte della mia attività culturale.
Io credo che questo abbia a che fare con la mescolanza fra discorsi tecnici e spazio creativo. Mi rendo conto di avere due tipi di attività psichica: una collegata alla razionalità e un’altra – più laterale – in cui mi permetto di dare spazio alla creatività.
Dunque vivo esperienze parziali.
E allora forse questo sogno sta dicendomi qualcosa di molto significativo su come e dove orientare il tempo che resta della mia vita.
Terzo momento: ripresa del sogno
Ed ecco che , in questo momento , del sogno ricordo ancora qualcosa …. Qualcosa ancora sta affiorando … Era lì sopito … Ma la Reverie lo estrae.
I fatto è che tutti ce ne andiamo da quel luogo terapeutico, ognuno va per conto suo.
Io però poi provo il desiderio di scrivere a ciascuno una lettera, pur rendendomi conto che è una cosa scorretta, in quanto per farlo devo andare ad indagare sugli indirizzi privati delle persone e questo non fa parte della situazione relazionale che avevamo impostato nel gruppo.
A ciascuno dico la mia e più o meno faccio un discorso sull’importanza del “politeismo dei valori”.
Cioè dico che ciascuno prende dalla vita alcune occasioni,ed in queste occasioni l’importante è valorizzare la soggettività di ciascuno. Nel senso che le esperienze consentono di esprimere la soggettività di ciascuno.
E nella lettera dico che sono contento per l’esistenza di ognuno di loro.
Ma l’esperienza si è conclusa lì. Il cammino insieme si è concluso.
E se io non ho potuto dire a loro che cosa era avvenuto nell’ esperienza di gruppo che avevo gestito, questo non era un errore mio, ma semmai un problema di progettazione dell’’ attività terapeutica complessiva.
E che bisogna accettare che ci sono delle situazioni nelle quali non si riesce a fare tutto.
E che nonostante questo, io conservavo dentro di me un’immagine di ciascuno molto intensa.
E c’ è anche l’esigenza di provare a cambiare la vita.
Di essere più attivo nel mio progetto esistenziale.
Cioè devo attivamente prendere atto che sono ad un punto del percorso in cui posso accettare le parzialità della mia storia personale e che contemporaneamente devo fare uno sforzo attivo su di me.
E percorrere un’altra strada del bivio.
“Se cerco di cogliere sul piano esperienziale il fenomeno intersoggettivo che io assumo come parametro, strumento e finalità del mio interagire col paziente, devo dire che esso si rivela a me come la felice condizione dell’esistere con l’altro senza bisogni.
Se però analizzo questa condizione mi accorgo che essa si fonda sul soddisfacimento di due bisogni che le sono essenziali; quello che l’altro ci sia, in quanto è grazie all’esserci dell’altro che io mi manifesto come esistente e mi riconosco, e quello che io ci sia in libertà, poiché mi riconosco solo se sono libera di dirmi e di darmi così come, di volta in volta, l’esistere dell’altro mi rivela a me stessa.
In questa felice condizione, quindi, non percepisco altri bisogni se non quelli della presenza dell’altro e della mia libertà. Non sono forse questi i requisiti dell’esistere dell’uomo come soggetto?
…
Devo procedere nell’analisi di queste caratteristiche: la relazione e la libertà.
Il primo bisogno del soggetto per essere tale è l’esistenza di un altro da sé. Molte sono le forme sotto le quali questo altro si fa presenza agli occhi dell’uomo: può essere, di volta in volta, il mondo esterno, ovvero il mondo delle cose e dei valori sociali, o il mondo interno, ovvero il mondo dei pensieri e degli affetti; può essere il Tu umano, l’altro dell’incontro, o il Tu interiore, l’altro cui l’uomo si riferisce quando è con se stesso; può essere la corporeità dell’uomo o i suoi comportamenti o i suoi modi di rapportarsi al mondo, nel momento in cui egli se ne distacca per riconoscerli e riferirli a sé; può essere infine l’uomo nella sua globalità, quando l’uomo stesso prende da se medesimo la distanza necessaria per definirsi in una identità.”
in Silvia Montefoschi, L’Uno e l’Altro: interdipendenza e intersoggettività, Feltrinelli, 1977, ora in Silvia Montefoschi, L’evoluzione della coscienza, Opere, Volume Secondo – Tomo 1, Zephyro Edizioni, Milano 2008, p. 74-75.