Gauss Karl-Markus, Viaggio avventuroso intorno alla mia camera, Keller editore, 2023

scheda dell’editore

Molte persone cercano avventure viaggiando lontano, Karl-Markus Gauss le trova vicino: nel regno degli oggetti.

Si imbarca in un viaggio che ha i confini della sua stanza, ma che comunque porta il lettore attraverso tempi e paesi diversi. La ricchezza del mondo, sembra dirci l’autore, sta nelle cose di tutti i giorni: il letto, la scrivania, il libro di cucina scritto a mano dalla nonna, il vecchio baule con gli accessori in ferro o il tagliacarte dell’industriale moravo…

Sono tutti il punto di partenza di storie che raccontano di persone coraggiose e originali, di regioni remote, nazionalità sconosciute e passioni personali.

Calvino Italo, Guardare. Disegno, cinema, fotografia, arte, paesaggio, visioni e collezioni, a cura di Marco Belpoliti, Mondadori, 2023. Indice del libro

scheda dell’editore:

https://www.mondadoristore.it/Guardare-Disegno-cinema-Italo-Calvino/eai978880476570/

https://www.mondadoristore.it/Guardare-Disegno-cinema-Italo-Calvino/eai978880476570/

VIAGGIO IN SCOZIA 25 luglio-9 agosto 2022 Capitolo 3, rimando al blog carlabazar

Carlabazar

Sabato 30 luglio 2022

Dopo i bagordi serali facciamo una colazione molto leggera e partiamo con l’entusiasmo nelle vene, per affrontare il tratto spesso descritto come il più spettacolare delle Highlands . Il percorso con le strade più difficili , quasi tutte one way strette/strettissime (non idonee per i mezzi superiori a 8 metri) con frequenti passing place (di lunghezza inferiore a 8 metri appunto) : e qui più diventa difficile, più diventa bello … Nonostante il tempo piovigginoso e le nuvole che a tratti -con la bruma- nascondono il paesaggio, non saremo affatto delusi. Le stradine sono molto caratteristiche, e scendono impavide in mezzo alle montagne, si arrampicano coraggiose su colline e scogliere, con curve continue dettate dalle necessità del territorio, e riescono a stringersi tra muretti ed alti argini oltre ogni ragionevole previsione.

Impossibile fermarsi per fare fotografie : possiamo solo rallentare e fermarci in mezzo alla nostra…

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Viaggio in Scozia 25 luglio-9 agosto 2022 Capitolo 2, rimando al blog carlabazar

Carlabazar

Mercoledì 27 luglio 2022

Iniziamo la giornata con una passeggiata nel porticciolo, dove scopriamo che il paesino ospita una colonia di lontre residenti, che però non riusciamo ad avvistare ; troviamo solo un hotel che offre una colazione completa a buffet (dolce o salata) a 12 sterline (non esiste alcun bar aperto al mattino). Ci accompagnano nuvole e pioggerellina per tutta la giornata.

Il programma è apparentemente semplice : cercheremo di fare il giro completo dell’isola di Skye , percorrendo la strada che ci condurrà via via a scoprire le bellezze naturalistiche del paesaggio. E’ la più estesa delle circa 800 isole scozzesi, con i suoi 9900 abitanti : 80 chilometri di brughiere vellutate, aspre montagne, fiordi e laghi scintillanti, scogliere a picco sul mare delle Ebridi. Con queste isole rimane il centro della cultura gaelica : ospita la scuola gaelica più importante e oltre un terzo della popolazione parla…

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Gran Bretagna in camper: luoghi di Londra , aprile 2022

mi avete fatto vedere e ammirare tanti luoghi di Londra !!! vi ringrazio tantissimo. Paolo Ferrario

Carlabazar

Londra – Cotswolds (assaggio) – Epping Forest – Nancy.

CAPITOLO 2

Mercoledì 13 aprile

Mattino di riposo/doccia/gestione camper: Andiamo a prendere la Jessica all’uscita dal lavoro a Victoria per una tipica giornata londinese : pranzo Leon leggero ; passeggiata verso il centro città tra architetture e negozi; visita alla Royal Academy of Arts, con la bella mostra “Whistler’s Woman in White : Joanna Hiffernan”. Tè leggero del pomeriggio nel bar dell’Accademia (ottimo afternoon tea Hope and Glory). Cena oramai rituale da Flat Iron, il primo ristorante londinese dove ci ha portato la Jessica . Buonanotte.

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COSTANTINO D’ORAZIO, Andare per le piazze d’Italia, il Mulino

COSTANTINO D’ORAZIO

Andare per le piazze d’Italia

La piazza custodisce l’anima di ogni località, grande o piccola che sia. Punto d’arrivo e di partenza offre la chiave di lettura per comprendere intere civiltà: la piazza siamo noi.

vai a:

il Mulino – Volumi – COSTANTINO D’ORAZIO, Andare per le piazze d’Italia

La MAPPA, di Wislawa Szymborska, in Basta così, Adelphi. Lettura poetica di Domenico Pelini. …Amo le mappe perché dicono bugie. Perché sbarrano il passo a verità aggressive. Perché con indulgenza e buon umore sul tavolo mi dispongono un mondo che non è di questo mondo …

clicca sul seguente link per ascoltare l’audio:

https://drive.google.com/file/d/1FAfNFdPiE-n-XQyLUE0I4IlZ25dQn14G/view?usp=sharing

Piatta come il tavolo

sul quale è posata.

Sotto – nulla si muove,

né cerca uno sbocco.

Sopra – il mio fiato umano

non crea vortici d’aria

e lascia tranquilla

la sua intera superficie.

Bassopiani e vallate sono sempre verdi,

altopiani e montagne sono gialli e marrone,

oceani e mari – di un azzurro amico

sui margini sdruciti.

Qui tutto è piccolo, vicino, alla portata.

Con la punta dell’unghia posso schiacciare i vulcani,

accarezzare i poli senza guanti grossi,

posso con un’occhiata

abbracciare ogni deserto

insieme al fiume che sta lì accanto.

Segnalano le selve alcuni alberelli

tra i quali è ben difficile smarrirsi.

A est e ovest, sopra e sotto

l’equatore, un assoluto

silenzio sparso come semi,

ma in ogni seme nero

la gente vive.

Forse comuni e improvvise rovine

sono assenti in questo quadro.

I confini si intravedono appena,

quasi esitanti – esserci o non esserci?

Amo le mappe perché dicono bugie.

Perché sbarrano il passo a verità aggressive.

Perché con indulgenza e buon umore

sul tavolo mi dispongono un mondo

che non è di questo mondo.

Map

Flat as the table
it’s placed on.
Nothing moves beneath it
and it seeks no outlet.
Above—my human breath
creates no stirring air
and leaves its total surface
undisturbed.
Its plains, valleys are always green,
uplands, mountains are yellow and brown,
while seas, oceans remain a kindly blue
beside the tattered shores.
Everything here is small, near, accessible.
I can press volcanoes with my fingertip,
stroke the poles without thick mittens,
I can with a single glance
encompass every desert
with the river lying just beside it.
A few trees stand for ancient forests,
you couldn’t lose your way among them.
In the east and west,
above and below the equator—
quiet like pins dropping,
and in every black pinprick
people keep on living.
Mass graves and sudden ruins
are out of the picture.
Nations’ borders are barely visible
as if they wavered—to be or not.
I like maps, because they lie.
Because they give no access to the vicious truth.
Because great-heartedly, good-naturedly
they spread before me a world
not of this world.

(Translated, from the Polish, by Clare Cavanagh)


fonte:

La mappa, Wislawa Szymborska

… e questa siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude …

LUOGHI del LARIO e oltre ...

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.

GIACOMO LEOPARDI

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mi ricordo di quella volta in cui ho camminato per una parte del sentiero della Strada Regia, da Torno a Faggeto, e poi lungo lo stradone per arrivare a Pognana, autunno 2017, 25 ottobre

 

  1. Da Como a Torno in battello (14 e 45 – 15 e 09).

2. Poi camminata dal bar Pianta dell’infanzia fino ai cancelli della Pliniana:

3. Ora il pezzo del sentiero della Via Regia

4. All’incrocio con lo stradone che porta Molina e discesa verso Faggeto:

5. In cammino sullo stradone verso Pognana:

qui è dove è sepolto il cane della mia infanzia Pantò

6. L’imbarcadero di Pognana visto da terra:

7. Pognana vista dal lago

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Rapido video che fa vedere, dal lago, il percorso a piedi da Torno a Pognana

 

Imitando Georges Perec. Primo “tentativo di esaurimento di un luogo”: Piazza San Fedele, Como, 2011

 

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Piazza San Fedele, ore 13

Il sole illumina la facciata e il campanile nascosto dalla casa col porticato.

A quest’ora il sole ha già fatto il suo giro parziale della giornata e da questa parte c’è ombra.

L’osservatorio è ampio.

Da sinistra: Trombetta foulard; una vetrina senza insegne evidenti; Moglia abbigliamento; un portone di legno marrone; negozio Vodafone; sulla facciata del porticato: “Piazza del mercato del grano”; “Piazza San Fedele”; sotto il porticato un altro negozio di abbigliamento con saldi al 50%. Facendo girare lo sguardo in senso orario, poi, la piazza si allarga fino ad arrivare alla facciata ed al portale della chiesa. Dopo ancora negozi: Daniela Vecchi; Cherie; abbigliamento And … And; quattro vetrine del Verga accessori cucina; l’inizio della Via Odescalchi e della Via Natta. Sopra quest’ultima una casa con la facciata medievale in mattoni in cotto. Di lato l’altro bar/tabaccheria e il porticato che corre alle mie spalle.

Due piccioni mangiano le briciole che ho loro gettato. Poco dopo arrivano due passerotti che becchettano quello che resta.

I tavolini da 4 persone che si sporgono sulla piazza sono 17. Ma dietro ce ne sono altri, sotto al portico.

Se dovessi contare le finestre, i balconi, i portoni, i vasi potrei “esaurire” la parte statica della piazza.

Per la parte dinamica oggi registro solo questo. Prima passa un’auto di ordinanza del carabinieri, con due persone a bordo. Si ferma un attimo e poi se ne va lentamente. Poi passa un’auto della finanza, con tre persone a bordo con gli occhiali neri. Non posso fare a meno di associarli alle guardie del corpo del dittatore Doc Duvalier di Haiti.

Apro il Corriere di Como: “è caccia aperta all’uomo – probabilmente straniero – che nella notte fra sabato e domenica ha violentato una ventenne a Cantù”

Nota:

Il concetto di “esaurimento di un luogo” è una suggestione di estremo interesse cognitivo e sociale del letterato/sociologo francese Georges Perec (1936-1982)

Splendido è : Georges Perec, TENTATIVO DI ESAURIMENTO DI UN LUOGO PARIGINO (1975), a cura di Alberto Lecaldano, Libri Piccoli Voland, 2011

Carlo Rivolta interpreta : Carlo Emilio Gadda, La casa della Brianza e Viaggi di Gulliver, cioè del Gaddus

1 LUGLIO 2008

La settimana scorsa è morto Carlo Rivolta.


Lascio per i passanti Carlo Rivolta interpreta : Carlo Emilio Gadda, La casa della Brianza e Viaggi di Gulliver, cioè del Gaddus
Nel 2005 il Centro Studi C.E. Gadda di Longone al Segrino, in una manifestazione culturale coordinata dal Prof. Mario Porro, lo invitò a leggere alcune pagine della fase milanese-lombarda dello scrittore
 AUDIO

Testo del pezzo che ho denominato “Breanza”:

Questa terra felice, denominata Breanza, da ‘bre’ che signi­fica fortunato, è tra le più ridenti e verdi della provincia no­stra ed è la natural sedia di quelle amplissime e venustissime ville ch”e i maggiori nostri edificarono a loro dimora per l’ozio loro, dopo le urbane contenzioni e li affanni delle politiche in­vidie: piantandovi d’attorno convenienti ed acconcissime piante, che superstiti sopra la banalità popolano d’uno fanta­sioso e nobile popolo antichi giardini.

I discendenti de’ vecchi signori intristirono nelle democratiche giostre, nel corso delle quali vennero tra le nuvole de’ molti coriàndoli quasi al tutto disarcionati. Altri infetidirono nel commercio del borbonzola, sorta di odorosissimo e pedagno escremento venato d’un suo borbomiceto verde-azzurro che ne fa ghiotti i deglutitori sua. Sicché le antiche ville, o ne vennero segati appiè i grandissimi ed alti sogni d’alberi, per cavarne legno d’opera e sul terreno edificarvi le scuole di chi non impara, o siffattamente diradarono nella verde piana, da parer pochi e verdi cespi fra le distrette d’un fumoso cantiere; dove comandano i capimastri e i bozzolieri.

….

Questa felice Breanza gode di otto generazioni di felicità, di cui voglio dire. Prima è quella che ne’ pozzi neri non acco­glie i doni soltanto de’ suoi naturali e gutturali inabitanti,ma quelli anche preziosissimi della signoria che vi va in villa, la di cui qualità è così ricca d’ogni fecondativa sustanzia, che qué­sta sola cagione basterebbe a implorare da Dio quella preloda­ta signoria, se l’onnipotente Iddio a nostro sostegno e alle­grezza non l’avesse già di per sé procurata. Tu vedi qui la da­ma e i dami, la ex dama e li ex dami condescendere con carita­tevole e dolce guardo e labbro all’eloquio e al commercio de’ cavernicoli, prendere soave informazione de’ ricolti e delle lo­ro patate, o suggerir medicina alle femmine, affaticate ogni dì più da que’ duo mali temibilissimi verso di cui per solito non usano la medicina, che sono la miseria e il mastio. Il mastio le astringe a promulgare la prole, e la miseria a ringhiottir le la­crime, e frenare lo sbadiglio. Ma il sorriso de’ marchesi è di tanto loro conforto, che esse dopo quello sorriso, corrono a uno nuovo figlio, e a un nuovo digiuno. Come vedi, non è pic­colo dono che nel salvadanaio tu vi metta non il tuo soldo so­lo, ma il mio pure, che l’Italia Letteraria me ne consente d’a­verne uno sì lauto. E così non è felicità poca a questa già così felice Breanza, lo aver ne’ pozzi neri una doppia restituzione delle susine sue, con quella di quelle che la signoria comporta d’altronde, di Bosnia, o California, o Provenza.

La seconda generazione di felicità è nelle mosche, che vi vengono ancor più numerose che i signori, sebbene non ne ab­bino le insigni qualità e virtù sue. Dal Campanone di Teodolinda Regina alla Ritonda del Cagnola sopr’Inverigo l’agosto e tutto un campanare di campane e uno volo di molteplicissime mosche, delle quali la qual si da ne’ formaggi, la qual nelli frutti, la qual nelli deretani de’ cavalli, la qual nella perniciosa defecazione de’ viventi e dipoi subito nel risotto loro, che è uno buonissimo condito di Lombardia. E quale osa pervenire, per difetto di riverenza qual è propio delle mosche, a mettersi a generare con la compagna in sull’ appisolato naso della pre­commemorata Signoria. E come, anco in sul naso de’ Grandi di mosche si genera mosche, così tu ne vedi venire delle nuvo­le sopra la costoletta, ch’è altro buonissimo condito di Lom­bardia. Donde vedi quanto sia più saggio quel povero villanello che si astiene dal mangiar costoletta, con che si astiene ad un tempo e dal gravame dello stomaco e dalla perenne insidia di queste felicissime mosche.

La terza generazione di felicità di Breanza è le campane, che distendono il loro metallo ne’ cuori di tutti: appena ad­dormito che tu sie, ecco ti risvegliano subite, chiamandoti senza indugio alle lodi del Signore. Queste laudi tu le puoi di­re in diversi modi, e cioè nel volgare nostro o anche per chiaro e preciso latino. Il latino compiace a Dio, pur che sie latino d’una sorta che non l’offenda o con la durezza de’ propositi o con la varietà delle comparazioni animalesche. Ed è in Brean­za alcuna sorta di preti che fanno sermoni buonissimi e con esempli grandi e propiamente suasivi, su qual tu vogli de’ co­mandamenti d’Iddio N.S. e de’ peccati ch’Elli ne difende dal fare e che noi, o per pravità inveterata di nostra natura o calo­re alcuno che si genera ne’ visceri nostri dopo la cena, o per il freddo che vi ha in mancanza di quella, del continovo faccia­mo, dico questi peccati proibitissimi et anco di venerdì. Uno vizio solo hanno purtuttavia questi cotali preti ch’io dico, ed è che quando li da il farnetico, si missono in la mente che le sua campane non suonino bastante per intronare la gloria di Dio nelli orecchi de’ peccatori e delle peccatrici. Ed è in quello farneticante zelo che fatto il consiglio e persuaso della biso­gna, subito imprendono a mutar campane, e sempre le mutano facendole duo volte le priori campane; e come l’onda del suo­no è nel peso, e il peso è nel volumine, e per duo volte la misu­ra il volumine è otto volte, così d’otto in otto fanno cotali campane che il campanile non l’ha da reggere. E allora o rirsaldano il campanile o rifanno quello: che la prima è migliore che la seconda, che se a rifare bisogna primo tu lo levi dal só­pra in giù, rinsaldare bisogna tu lo rifacci dal sotto in su. Ma perché l’appetito del doppio suonare non istia così lungo quanto dura il rifar campane e campanile nella chiesa, ne ven­gono questi cotali e soavissimi preti con alcuni messeri di Fab­brica, a casa de’ marchesi per l’obolo. Ed è marchesi di duo nature, e cioè quelli che innanzi le ville hanno pan d’oro da mangiare e quelli che dietro le ville hanno croste da ródere. E dar dinaio nelle campane, è per li uni una gloria celeste: e per gli altri è una gloria verde. E quando questi secondi Marchesi hanno figli difettivi che non si contentano a mangiar l’ugne in sopra il latino, ma vogliono pane dopo il latino, così per la glo­ria delle campane ci sarà l’obolo e per i figli le lacrime, senza speranza.

Ma dirò della quarta generazione di felicità, ch’è in la dit­ta Breanza. Ed è nello ingresso di detta terra; dove soffia uno treno che ti fa nel viso uno fummo buonissimo, e tu te ne lavi dipoi in uno bacile di tua casa, che con quel fummo che hai preso ne li cigli fai un brodo da otto. Questo treno pertiene a una compagnia, che forse la fece Moisè profeta quando volse lasciare la terra di Egitto e rasciugati li mari andorno per La Magna e la Breanza a Milano a deporvi l’ova della compagnia di questo venusto treno. Dicono altri che li fussero alcuni mercatanti della Belgica a far primi quel treno dove sono officine denominate « La Meuse »; e in uno monu­mento ch’io vedo eretto in Erba dove detto treno più piffe­ra, vedo ch’è scritto il nome del Senatore Giuseppe Gadda, come di principe del fare quel treno. Ma il mio zio di nobile e onesta memoria fece far quello da mezzo secolo in qua, e se fu allora buono, è oggi buonissimo. Io dico che le ova di Moisè le si dischiusero in una gallina che la fece poi mille polli: e piffete e puf fé te con quel treno tu ne giugni felicemente a Breanza. Puoi pensare che ‘l postremo di que’ treni, con che pervenghi a Erba, si diparta di Milano all’ore di not­te, conchiusi li negozi tua, ma tu erri: che a notte si dorme, e quel treno pure. Puoi pensare che se ne venghi, come dicono li Spagnoli, «uno poco liviano, pero livianito livianito». E che no! Che viene cacagio cacagio, quanto e più Biagio, a suo dolce e bell’agio. Fa prima, a venire, messer marchese Checco Pedolzi, detto il Cocco: che vi viene in uno suo ca­lesse, e con il venire in calesse ha servato li duo rognoni tan­to sani e suavi, che più sani e più dolci di quelli ha soltanto li piedi.

Dirò ora della quinta generazione di felicità ch’è infitta nel­la felice Breanza. Et è dessa quell’antiquo e felice modo dell’aucupio che dicesi da noi della bressanella, come che provenghi da quella nobile villa che Druso chiamavala Brixia e noi diciam Bressa. Questo gradevole aucupio è nel paretaio, sovr’alle coste che soprapprendono più nel piano, dove tu vi ti ascondi, dentro le verzure e ‘l bosco di dette costole, e vi stai sufolando con intenzione grande de’ tua nervi, dall’alba a mezzo il mattino. Li augelli purtuttavia non vi vengono, non perché abbino essi alcuna astuzia o una froda siffatta da scan­sare quello ingegno, che poi così temibilmente li occupa, ma perché non v’ha in Lombardia nissuno augello volante, se non balsamato ne’ musei, oltracché le galline, quando tu queste vogli pur dire che son augelli. Ma «l’uomo è cacciatore» dice uno modo da noi: e tu, che sei vuomo e cacciatore e lombardo, sùfola per l’augello,e così puoi augellare per il sùfolo.

E, lasciando dell’aucupio, dirò che altri animali sono in la terra, che non sono nel cielo. Che v’ha la donnola, ovver bellòla, lo scorpio, la sanamandra, il ghiro, il tasso, l’ariccio detto l’istrice, la volpe, e ‘l più di tutti ghiotto che da noi li cacciato­ri grandi lo chiaman «légora», et io lo chiamo, dato l’un caso o l’altro, o gatto ovverosìa coniglio. Questa légora la fa mettere li stivali grandi a costoro, che per cacciar légora vuole calzar duo grandi stivali. Fa prendere cadauno un fucile, detto schioppo o doppietta, e tre o quattro cani ansimanti, che «ti­rano», che «puntano», che fanno ù, ù, ù quanto è lunga la ma­ne; e con mille puntamenti e mille tirature e ù, ù non ne ven­gono a capo di nissuna légora, avvegnacché siano quaranta schioppi, ottanta stivali e cani centoventi. Solo v’ha centoventi palmi di lingua e dugentoquaranta mantici in soffio che basterebbono a Vulcano d’accender li fochi dello scudo. E v’ha di grandi e gloriosi ritorni, e poco a poco, tra li stivali e i cani, quella légora che di terra lombarda è onninamente fugitiva, se non che la entrò con l’anima dentro nel corpo di messer lo micio gnào gnào, quella légora, dico, tu te la trovi imaginata, stanata, puntata, tirata ed ancisa nei discorsi che ne fan­no: e dipoi come di légora si genera légora, quella medemà doventa duo, e le duo quattro, e le quattro increscono fino a quel nòvero che quelli boriando e trionfando, con passi di Marte e stivaloni di Vinciguerra, possono sustenere col nòvero de’ co­nigli, o de’ gatti, o d’entrambi li generi che faranno cotti la gran festa di Nembrot in nella osteria del suo vico. Tu li senti nel treno, che con la légora e con il cane e con la pinna e con il pelo e col punta e col tira, già ti vincono il soffiare del pìffete pàffete. Tu li senti dentro cucina del trattore, urlare circa la sua imaginata légora e dirne grandissime laudi, e dipingerla così presta, così scaltra, così feroce, che quasi ella li avrebbe mangiati, se elli non erano quei virtuosi che sono. Ma incon­tra a loro neppur potè quella légora, benché légora la fusse al certo: che incontra a uomini così fatti, con tanto stivale nel suo pie, gli è d’uopo alla légora che infine dopo una infinita corsa la si persuada daddovero esser légora se pure al principio la fussi buon’anima del gatto, ch’era fuggito alla ciavatta di monna Perpetua.

Ed è pure, in questa generazione di felicità, una terza sotto­spezie, dopo l’aria e la terra: e cioè dopo lo star a sufolare nell’aucupio e il circuire nella légora. E la è questa propiamente uno stare, come l’aucupio, ma ti bisogna qui tutto il contrario che sufolare: che lo animale a che tu intendi qui non vuoi sùfolo, ma uno vermicino minimo di che si ciba, tanta è la varie­tà delli appetiti dei detti animali, ch’è come quella dell’uomi­ni, che qual ciba il vermine e qual ciba lo sùfolo. Dico che que­sto animale non è se non il pesce, la di cui nazione è più propia nella marina, ma quando il suo regno nativo vi vengon sover­chio, o è il regno troppo salso per chi non ami salsedine, ven­gono simili pesci a far l’ova sua in sui fiumi e di questi nei la­ghi. Così v’ha pesci anco nei lachi di Breanza che son cinque, e cioè l’Eupili, il laco di Oggiono, che può nelle sciutte dive­nir duo; e i lachi di Alserio, Segrino e Montorfano. Tu non vi peschi però né cavedoni, né trote, né anguille, né rombi, né scorfani, né naselli; e neppur quelli pesci tenche, o lucci, o lavarelli, né agoni (Corno), che i trisavoli nostri, di memoria santa, stati cent’anni in sui detti laghi, vi pescarono per la fe­sta del Buonaparte dopo essersi lasciati pescare essi col vermi­cino trino, che ebbe il capo di libertà, il mezzo di egualità, e la coda di fraternità. Tu non vi peschi altro pesce che i gobbetti, o gobitt, il di cui seme fu immesso ne’ detti laghi dall’alta provvidenza di chi lo importò non so se d’America o d’Affrica o d’Oceania; che quella materia centuplicante, ch’è il seme del pesce, è bene venga dal di fuori a migliorare il di dentro. Questi gobbi hanno duo virtù grandi, che li fanno principi e civi soli delle nostrane lacustri città. Prima virtù è quella ch’essi mangiano tutti li altri infanti pesci (che nissun pesce è fante), li quali per esser più dolci e men gobbi, non hanno pos­sa all’incontro. Seconda è ch’elli sono tanto suavi nel fritto, che men dolce non è né l’assenzio, né il fiele. Non so qual cat­tedra né quale ambulanza li suggerì per suo profitto a’ Lom­bardi, correndo gli anni di nostro Signore da 1900 a 1910. Ma la provvidenza fu certa, che, con tanta dolcezza di detti pesci gobbi, ogni villano d’Eupili ama più tosto pescar carote di pentola, che uno viperone fuor dal laco.

E v’ha una felicità sesta, ch’è uno arbore pungentissimo, ed è la robinia. Questa robinia, sopra a la terra lombarda, è più feconda che non le mosche sopra al risotto o i pesci gobbi in Eupili. Ignota in antico ai maggiori, uno grande scrittor no­stro, che fece scritture assai buone e castissime, e compiacevasi a un tempo medesimo in nell’agricoltura, dicono l’avesse fatta venir d’Oceania. Ah! quanto amerei che il detto scritto­re non avesse ad aver fatto quest’opera, ch’è la pessima sua: egli propagò la robinia come nessun santo apostolo ha mai propagato la Fede di N.S. In quella terra che tutta la ricopriva il folto e sano popolo delli abeti, e la mormorante abetaia, nel vento, pareva dare agli umani il suspiro e la resina, egli vi fece venire questo arbore nuovo, ch’è a quelli nobilissimi come uno signor nuovo a uno vecchio signore. Neppure li virtuosi discepoli di Nembrot vi andrebbono a cercar la légora con li stivali, dentro cotali spine della robinia. Ma la robinia cresce in tre anni quanto l’abete in trenta: più celere che la zucca dell’Ariosto salita in sul pero, da notte a mattina, e va in passo con le voglie del celere tempo; nel quale si sente che tutto ciò che è materia si muove così celermente, che messer domine Giove, se l’ fusse oggi qua e tramutatosi in toro, non arriverebbe a ingredire nella ritrosa vacca Europa; e che detta vacca al vederlo già la si sarebbe ritramutata in una comune femina, con grande berleffo del detto Giove. Ela Pasifae ch’era per  contro una femina invereconda di quelli rimotissimi secoli l’avrebbe potuto con questo gran toro venire in quel suo nefandissimo connubio, sendoli mancata l’Europa in sul meglio.

Ed è settima felicità di Breanza che il vino vi viene dal col­le, e la grandine vi arriva dal cielo. Tu metti l’uve ne’ filari, | poi le pigi e fai vino crodello: le torchi e ne spiccia il torchiato. Ogni cosa propiamente vi arriva da quella parte che arrivar; suole e degge: così di Milano il piffete puffete, e la reverendis­sima signoria; del campanile il suono delle campanone,

come lustrale acqua si spande secondo disse in una buonissima e serena poetica l’abate Gia­como Zanella; ch’era un animo alto e buono: e le campane ti mettono in corpo il giuraddìo, le mosche d’ogni dove vi vengono, la légora in ogni dove la corre e fino dentro alle spoglie delli gnàvoli, gnàvoli, il di cui principe è il grande Gnào-Gnào.

… Il vino ecc.

Ed è ottava felicità di Breanza che potrà murare un dì marmora publiche, inscritte al mio nome con dire:

Qui sul colle ch’è aperto al cielo e ridente

Non si accomunò con i vivi

II Marchese della Nobile Miseria.

 

Da: Carlo Emilio Gadda, Racconti dispersi, Viaggi di Gulliver, cioè del Gaddus, in Romanzi e racconti II, a cura di Dante Isella, Garzanti, Milano 1989, pagg. 960-966

Indispensabile per collocare sul piano letterario e su quello biografico questo testo consiglio questa colta analisi:

Mario Porro (cur.), Gadda e la Brianza, nei luoghi della “cognizione del dolore”, Edizioni Medusa, Milano 2007, p. 226

 Il racconto che inizia con la frase “Il signor Francesco Pellegatta credeva in Dio” è stato pubblicato qui:

Carlo Emilio Gadda, Villa in Brianza, a cura di Giorgio Pinotti, Adelphi, 2007, p. 70