
ALTAN, … si faccia ricoverare così vede un po’ di bella gente

in:
Mappe nel Sistema dei Servizi alla Persona e alla Comunità
Stefano Poli
Gli anziani che verrannoLa generazione dei Baby Boomer tra impegno, identità e disincanto COLLANA: Spe – Sociologia per la Persona Da tempo al centro dell’attenzione della Silver economy per le tendenze di consumo e l’impegno sociale, di recente i Baby Boomer sono stati oggetto |
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AL MIO VULCANICO MARITO:
E’ vero che quando si scampa alla mazzata vi può essere un’esplosione delle energie (in te già molto sviluppate sul piano della creatività), ma ho voglia di ricordarti che la fila dei progetti si sta allungando.
A difesa della labilità della memoria e per aver qualcosa da spuntare nel corso del tempo con il mio “OK”, cito in ordine sparso e magari mi dimentico anche qualcosa:
Luciana, domenica 30 novembre 2014
Caro Prof. Paolo ,
come di consueto, a fine anno corre l’obbligo di redigere un bilancio
dell’attività svolta.
Nella doppia partita del dare/avere credo di chiudere
in un pareggio: nelle passività ci sono diverse voci iscritte a bilancio che in
parte lei conosce,
nelle attività quest’anno si è inserito un conto nuovo,
la conoscenza di un Prof. che vive a Como coniugato con una Prof.sa/ Dott.sa
benemerita per l’attività che svolge.
Invece nella parte riguardante al Patrimoniale
purtroppo devo inserire negli ammortamenti il fatto che mi sono mangiato
un anno di vita, sul totale che il destino mi ha concesso.
Nella speranza che il capitale da erodere sia ancora elevato, le rinnovo
gli auguri di “BUONI GIORNI”.
Giuseppe Sardena. ( il primo a sinistra ).
Conversare su
IL MIO RICORDO DEGLI ETERNI
attraverso la voce di EMANUELE SEVERINO
incontro con Paolo Ferrario, Como 6 Giugno 2012
A dimostrazione dei temi trattati oggi da Emanuele Severino alla luce del primo pensiero filosofico basta scorrere i titoli del libro
LA BILANCIA, pensieri del nostro tempo, Rizzoli Bur, 1992/2011:
Riprendiamo la questione del “cos’è la filosofia” (trattata già nel primo incontro) attraverso il metodo dell’analisi etimologica che è strutturante nelle scalette argomentative di Severino:
C’è anche il problema della obiettiva difficoltà dei temi e delle mappe cognitive necessarie ad affrontarli. Per nostra fortuna da una decina d’anni Severino ha avviato una generosa opera di “semplificazione” che passa soprattutto attraverso la partecipazione a convegni, le lezioni didattiche nei cinema e nelle piazze, gli articoli sul Corriere della Sera:
La conversazione sul tema degli ETERNI parte dalle domande fondamentali che ogni individuo si pone quando diventa autoriflessivo.
Per questo ascoltiamo due audio:
Un ulteriore passaggio avviene attraverso la lettura di una parte cruciale del SIMPOSIO di Platone
Per accostare la sequenza: Tutto, Essere, Nulla
occorre partire da Parmenide:
e leggiamo qui quale interpretazione ne dà Severino:
A corredo del precedente testo, cominciamo a tracciare a grandi linee il tema del “perchè le cose sono eterne” e del Tempo, attraverso un audio: 5.Sev-Eterni e Nulla
Una parziale linea di comprensione (parziale per noi “dilettanti” della filosofia) è il tema del “Ricordo” e del “Ricordare”.
Ascoltiamolo dalla voce diretta di Severino:
Percorriamo alcune pagine di IL MIO RICORDO DEGLI ETERNI, Rizzoli 2011
Il racconto autobiografico si intreccia con i grandi temi evocati, e in particolare quello della follia essenziale che “si esprime nella persuasione che le cose escono e ritornano nel niente”
Amplifichiamo la riflessione ancora attraverso un audio:
La discussione si dipana su vari livelli, ciascuno molto personale e filtrato dalla propria esperienza e dai propri vissuti.
Concludiamo la serata con queste potenti parole pronunciate da Emanuele Severino in una lezione tenuta a Monza:
SCENARIO MULTICULTURALE dei miei prossimi 10-20-30 anni, insomma fino al fine vita
Era meglio morire da piccoli?
Paolo Ferrario
—————————-
la popolazione straniera, destinata ad aumentare in modo considerevole nei prossimi anni: passerà dagli attuali 4,6 milioni a 14,1 milioni nel 2065, con una forbice compresa tra i 12,6 e i 15,5 milioni.
15/17 ottobre 2010
Racconti poetici di luoghi interiori
Seminario a cura di Leonora Cupane
Tutor Ada Ascari
Restituzione narrativa
Ci ritroviamo il venerdì per iniziare il seminario, tante donne, come è solito vedere alla Libera, ma anche un uomo accolto immediatamente da tutte le partecipanti. Intorno ai grandi tavoli disposti a quadrato, ricoperti da colorate tovaglie azzurre, aspettiamo che Leonora prenda la parola e per iniziare al viaggio attraverso gli spazi poetici che dobbiamo attraversare.
Come primo saluto Leonora distribuisce dei bigliettini su cui sono segnate parole che rappresentano luoghi o spazi, e invita ciascuno a scrivere altre parole, che abbiano affinità non concettuali, ma esclusivamente sonore, con la parola scritta sul bigliettino. Ciascuno è poi invitato a scrivere poi un breve testo dal titolo Io ho dentro… Oppure Io sono… immaginando di essere, o di avere dentro di sé, quel luogo o quello spazio.
Tutti scrivono, ognuno con le parole e le risonanze del proprio spazio interiore, immersi nel primo sogno di luoghi lontani.
Leonora introduce qui il concetto di Petit-onze perché ciascuno possa creare un piccolo componimento estratto dal testo precedentemente composto.
[petit-onze: piccolo componimento poetico inventato dai surrealisti francesi, formato da 11 parole disposte su 5 righe in cui la prima di una parola, la seconda da due, la terza da tre, la quarta da 4 e l’ultima e conclusiva da un’unica parola]
Ci alziamo e ci disponiamo in cerchio, è venuto il momento di condividere le nostre poesie. In successione le parole prendono forma sulla bocca di ciascuno: spazi prima solo immaginati prendono corpo.
Segue un brindisi sonoro in cui ognuno pronuncia il proprio petit-onze prima che il precedente sia finito, così da creare una assonanza di voci che si rincorrono come una “ola” lungo il cerchio. Anziché toccare i bicchieri, si “toccano” le poesie. È una forma inconsueta, spiazzante, di presentazione poetica.
Ci sediamo, ancora mantenendo il cerchio vuoto davanti a noi, e Leonora introduce la parte teorica del seminario. Così come un bambino che sente le parole come organismi viventi, anche l’adulto può riscoprire il piacere bambino di usare, come dice Benjamin, “la lingua della domenica, della festa”. Il nostro intento sarà quello di ridare corpo alle parole restituendo loro la grana originale e lo faremo attraverso la poesia che è l’unico linguaggio che affonda le sue radici nel vivente, nel corpo perchè ha una pulsazione, un battito, un ritmo, attiva tutti i canali sensoriali, accende immagini interiori. Come dice Marina Cvetaeva “ciò che per l’uomo comune è spirito per il poeta è quasi carne”. Il poeta “sente nella propria carne l’ustione del mondo”, è vulnerabile a ogni sfumatura della realtà, si fa sorprendere da essa, mantiene un’attitudine di stupore ammirato.
Occorre innamorarsi del reale, perchè “solo quando la mente è innamorata è capace di esser pienamente assorbita nel processo conoscitivo”.
La poesia dialoga col silenzio: è linguaggio poroso, ha spazio e da spazio, le parole nella poesia si affacciano nel vuoto del bianco della pagina, i versi terminano sul bordo dell’abisso. Parole e silenzio si integrano. La poesia lavora proprio con gli spazi bianchi, quindi è proprio dagli spazi bianchi che cominciamo questo viaggio nei luoghi interiori.
Dopo queste indicazioni di Leonora ritorniamo ai tavoli e ci cimentiamo con la prima esperienza di scrittura automatica o libero-associativa in cui ciascuno deve scrivere “a rotta di collo” su una sollecitazione di Leonora
Gide dice che bisogna “Scrivere nell’ebbrezza e rileggere da sobri” e sobriamente, dopo la scrittura, ciascuno deve sottolineare nel proprio testo alcuni frammenti significativi, quindi ricopiarli e ricomporli secondo un respiro poetico, usando pochissimi connettivi.
Dopo la pausa, Leonora continua il suo excursus nella poetica dello spazio raccontata da Bachelard, distribuendo e leggendo ad alta voce delle fotocopie che riportano frammenti del pensiero del filosofo Bachelard sulla necessità di un fertile intreccio fra memoria e immaginazione. “Ogni memoria” afferma Bachelard “deve esser reimmaginata. I ricordi sono microfilm che non possono essere letti se non alla luce viva dell’immaginzione”.
È il principio base della reverie poetica: essa parte da immagini concrete, materiali, ma le dilata e pprofondisce al punto da risvegliarne il nucleo intimo, che si carica così di un valore soggettivo e denso di risonanze universali allo stesso tempo. Il reveur, il percipiente – sognatore, arriva così a sentire la rete sottile che connette tutti gli elementi del reale e ricompone così i legami, riconcilia gli opposti: “L’essere del sognatore” dice Bachelard “è un essere diffuso”, partecipa del mondo come un bambino, lo contempla nella sua interezza, senza scissioni. E’ l’infanzia infatti a custodire l’intreccio originario fra memoria e immaginazione. Per Bachelard la reverie, pur nutrendosi di memoria e percezione, nasce da un dilatarsi dell’immaginario.
Leonora distribuisce poi molte poesie che hanno per argomento la casa, spazio da cui partire per il nostro viaggio nei luoghi interiori ed esteriori. Sono suggestioni che attivano canali sensoriali, memorie, immagini. Il successivo esercizio è quello di farsi ispirare dai versi estrapolati dalle poesie stesse, creando un testo dal titolo:
Racconto una casa lontana nel tempo….
Tutti i partecipanti leggono il testo che hanno composto, ad alta voce, almeno due volte, e ogni partecipante trascrive sul suo quaderno qualche frammento che sentono particolarmente suggestivo. Poi, finite le letture condivise, ciascuno ricuce come vuole i frammenti che ha trattenuto dagli altri, senza aggiungere nulla, e ricompone così un nuovo testo con una scansione ritmica, una poesia dove sono presenti tutti i frammenti degli altri. Ognuno adesso ha i luoghi di tutto il gruppo dentro la propria poesia. Ci salutiamo leggendo questi ultimi componimenti in un cerchio sonoro dove i versi si intrecciano e rincorrono, fino al silenzio finale.
La mattina di sabato inizia secondo l’uso anghiarese con una nuova scrittura libero-associativa.
Ciascuno può lasciarsi andare ai propri luoghi reali od immaginari.
Montagne su cui batte un cuore rosso, torri di vedetta sul mare, ponti di pietra, altopiani da cui si vede il lontano, catini absidali rifulgenti d’oro, cunicoli con laghetti sotterranei, giostre, foreste sommerse, buchi di vuoto, stanze del cucito, conche tra le mani, tunnel bui, giardini selvaggi, aule, case sul lago, solai velati di ragnatele, saline con vasche, cassetti con noci e formaggio, vulcani, templi, labirinti oscuri, fiumi verdi di foglie, verande riparate da rampicanti, radure con gelsi, amache insicure su cui posare i sogni, scatole da non aprire… sarebbe infinito citare tutti i luoghi che si sono rivelati con la sorpresa degli stessi scrivani.
Stupore e meraviglia serpeggia nella stanza all’evocazione di tutti i luoghi che vivono dentro ciascuno.
Ma non è finita: la successiva sollecitazione è quella di individuare uno dei luoghi descritti e scrivere di quell’unico in cui si avrebbe piacere di abitare.
Terminata la scrittura ci si dispone a coppie e ciascuno sussurra al compagno o compagna il proprio testo. Sono necessarie più riletture per afferrare le parole e suggerire, da parte dell’ascoltatore, a chi legge di sottolineare alcuni frammenti che risuonano.
La fase successiva consiste nell’attribuire i frammenti di uno al luogo dell’altro, lasciandosi contaminare dal testo altrui come se un po’ del suo colore colasse sulla propria tavolozza. Le storie vengono intrecciate, le parole sono divenute autonome e si sono prese la rivincita.
Nel pomeriggio dopo un giro di commenti sull’esercitazione del mattino in cui traspare la soddisfazione provata specialmente nel momento di relazione a due di lettura e ascolto, Leonora ci invita a proseguire il viaggio all’interno degli spazi poetici di Bachelard prendendo in considerazione la dimensione verticale della casa che si innalza dalla cantina alla soffitta, una polarità che connota la soffitta come luogo della chiarezza e della solitudine scelta e sognante, contrapposta alla cantina, luogo dell’oscurità viscerale e indicibile.
L’invito è quello di salire con il pensiero, la memoria e la scrittura nella nostra soffitta e descriverla, minuziosamente. Dopo la scrittura Leonora invita ciascuno a individuare da 5 a 10 elementi riposti nella nostra soffitta e a coppie, in un rimbalzo vocale, far sì che ogni oggetto proprio divenga dimora dell’oggetto dell’altro
Si restituisce al gruppo, di nuovo in un cerchio in cui anche le parole si fanno cerchio, anzi, un lago dove, una volta lanciato un sasso, si formano innumerevoli cerchi concentrici, moltiplicando le immagini. Ogni oggetto si riverbera nell’altro, e alla fine siamo stracolmi, noi stessi siamo diventati soffitte.
Molto emozionate dall’atmosfera che si è venuta a creare, veniamo portate per mano da Leonora ancora più in alto, nella torre; luogo di solitudine, di luce, di silenzio. Spazio bianco a cui si accede da una botola della soffitta.
Dopo la scrittura ancora ci si divide a gruppetti di 4, questa volta per scegliere una frase, una sola, la più significativa, quella che da il senso a tutto lo scritto, quella che è il cuore del brano appena composto.
Poi ancora i gruppi si uniscono a due a due formando complessivamente tre gruppi che mettono in scena le frasi individuate lette da una di noi da una posizione elevata (la torre).
Le altre fanno da cassa di risonanza, eco alla voce “principale” intervenendo quando lo ritengono più opportuno.
Alla fine della giornata di sabato, stanche ma molto emozionate ci ritroviamo a pronunciare ciò che è stato scritto davanti a tutte le altre come saluto e buonanotte, arrivederci al giorno successivo.
Domenica mattina siamo consapevoli che oggi sarà l’ultimo giorno insieme, ci ritroviamo di nuovo al Castello di Sorci, nella sala del “tempio” pronte a ricominciare il viaggio attraverso gli spazi poetici di Bachelard. Oggi ci viene in aiuto anche Maria Zambrano che integra con lo spazio “radura” raccontato nel suo libro” Chiari del bosco” un vuoto lasciato da Bachelard.
Ed è proprio il vuoto, la sottrazione che connota la poesia, che ha caratterizzato molti degli scritti che si sono prodotti in questo seminario. Estrazioni di oggetti, frasi, engrammi e frammenti che svincolati dalle pastoie dell’ampollosità di scritture a volte troppo lunghe, brillano di luce propria.
Continuiamo il viaggio.
Leonora descrive gli spazi del guscio e del nido e come attraverso la narrazione possiamo trasformare ciò che è concentrato e chiuso in se stesso, bisognoso di protezione (il guscio) in uno spazio dal quale si parte e si ritorna, più morbido e libero (il nido). Abitazione di uccelli, che costruiscono il proprio spazio di riposo mimetico, uno spazio verde, leggero, in un fogliame verde.
Per trasferirci dallo spazio guscio allo spazio nido Leonora ci propone un nuovo esercizio. A coppie chi narra deve stare con gli occhi chiusi e raccontare il suo viaggio. Chi ascolta è invitato a scrivere ciò che viene narrato, il più fedelmente possibile.
L’esercizio ci porta via molto tempo, dalle osservazioni raccolte a posteriori si evidenzia il piacere di lasciarsi andare al flusso del pensiero, l’aspetto di sogno, il piacere di seguire una storia già tracciata ma all’inizio non conosciuta.
Le storie vengono trascritte su strisce di fogli incollati che ricostruiscono metaforicamente e anche visivamente un percorso attraverso una foresta di parole. Poi ancora un esercizio di sottrazione che mira a creare fisicamente sentieri e radure nel testo, togliendo gruppi di parole e trasportandoli, prima di cancellarli, su un altro foglio.
Ma sorprendentemente Leonora, dopo averci di nuovo chiamate in cerchio ci dice di leggere ciò è abbiamo scartato, non ciò che abbiamo evidenziato.
Ancora una volta uno spiazzamento nel sperimentare cosa succede quando si toglie, e ciò che si toglie sorprende: i gruppi di parole scartati creano dei nessi inaspettati, si ricompongono in un nuovo senso.
L’ultimo esercizio per salutarci ci vede attorno a grandi fogli colorati strappare brandelli di cartoncino su cui scrivere parole, frasi che in questi giorni ci sono risuonate in riferimento ai luoghi interiori.
Ogni frammento colorato viene di nuovo gettato nel mucchio da cui poi ciascuno ne raccoglie alcuni per comporre la propria poesia, ciò che metaforicamente sarà l’uovo da custodire nel nostro nido.
In questo palpitare di nessi, così Leonora ha chiamato l’esercizio in onore di Danilo Dolci, ci si ritrova per l’ultima volta a pronunciare sorprendenti composizioni poetiche, opere impensate fino a pochi minuti prima.
A conclusione del percorso seminariale e di questo scritto non posso che ringraziare Leonora, abile guida, tutto il gruppo che ha seguito fiduciosa la strada indicata e osservare che pur avendo sottratto molto, molto ci siamo arricchite.
Ada Ascari
Del rito rappresentato dalla visione in una sala cinematografica posso dire questo: ho provato l’emozione più grande con Blade Runner, in un cinema d’essai a Roma. Il film era appena uscito. Andammo a Roma, spinti da un presagio. Sentivamo che doveva trattarsi di una cosa importante. Schermo gigante. Prime file. Schiacciato dallo schermo e dai suoni.
Purtroppo, quello che accade la prima volta non si ripete uguale tutte le volte che rivediamo un film.
Cerco di dimenticare, per provare a rivedere come se fosse la prima volta. Adotto tutti i trucchi possibili. Lascio passare anche anni prima di tornare a vedere un film. Lo custodisco gelosamente, perché non vada perduto. Aspetto il momento propizio. Mi accade di pensare a volte: questo è il momento di rivedere… Ma è raro che accada.
Perciò ho scritto nel titolo del mio sito: salvare l’emozione estetica. Siamo bastardi. Ci lasciamo imbastardire il gusto dai mille stimoli che ci arrivano. Bisognerebbe chiudersi in un cenobio, per preservare la capacità di fruizione estetica. Anche la traccia lasciata in noi dai film visti è labile, come la nostra memoria (parlo di quella maschile): la nostalgia della Bellezza forse proviene dal fatto di essere ‘scemati di memoria’.
E’ bello poter dire: ricordo la tua bellezza.
E’ importante ‘degeneralizzare’, per non essere accusati di generalizzare. C’è una tendenza diffusa ad evitare il concetto. E’ come quando ‘la gente’ dice: non puoi giudicare. Oppure: chi sei tu, per giudicare? Dovrei spaventarmi! Poi, però, mi riprendo e mi ritrovo a pensare che chi si esprime così è un deficiente, nel senso letterale ed etimologico del termine: che manca, che è privo, che difetta. I deficienti e i corrotti non giudicano. Ai secondi non conviene.
Per il cinema e per l’arte, è la stessa cosa. I deficienti dicono: mi piace, non mi piace. Come quando mangiano il gelato al pistacchio. Che a loro piace.
Assenza di educazione estetica. Naturalmente, non si richiede la laurea in Filosofia, con tesi di Estetica!
Io non capisco niente di pittura. Dunque, sarei un deficiente se mi mettessi a dire della pittura cosa provo quando mi ritrovo di fronte a un quadro. Ci provo. Mi documento. Ma non ho una grande educazione all’immagine. Non conosco tutta la Storia delle arti figurative, dunque sono ignorante. L’ignorante si trasforma in deficiente quando vorrebbe impedire di giudicare a chi ha i mezzi per farlo.
Allora, “salvare l’emozione estetica” significa questo ed altre cose ancora.… Mostra tutto
Per il cinema, vale la stessa cosa. Brunetta ha scritto: “Il cinema è memoria”. E va bene. Salvo poi discutere su cosa intendiamo con lui per memoria.
Questo vuol dire che tu capisci di cinema più di me. Lo conosci meglio. Essendo poi un membro del genere umano femminile, hai una memoria più forte della mia. Se il cinema è memoria, lo è anche in questo senso minimo, per cominciare: è memoria storica, certo; memoria del costume del tempo… E’, però, anche traccia che genera memoria, cioè identità. Ecco il punto. Oltre ad essere un membro del genere umano maschile, io forse faccio derivare la mia identità più dalle idee che dalle immagini. Capisci perché sono più ignorante? e potenzialmente più deficiente?
Detto questo, parteciperò a questa dotta discussione con contributi di idee. Ad esempio, il “Francesco” della Cavani mi commuove per quello che vi si dice. Certo, anche per la pioggia, per la recitazione, per la fotografia, per il montaggio… E’ sconvolgente quello che dicono in quel film.
da una conversazione di Gabriele De Ritis con Renata, su FaceBook
Se vedo la questione dal punto di vista concretistico è evidente: una sola. Quella del nostro ciclo biologico, scandito dal tempo che resta.
Se invece mi dispongo sul piano esistenziale e simbolico, le cose stanno diversamente.
Arrivare a 59 anni con le funzioni cognitive ancora funzionanti e in condizione di salute accettabile (vediamo cosa succede il 27 novembre, però) offre una occasione psicologica per “fare memoria”
Come elabora la mia mente la scansione della vita alla luce del qui ed ora dell’oggi?
Ecco …
Lascio andare le briglie della memoria e fisso i momenti fondanti e la loro durata.
INFANZIA (1959 meno 1948: vita durata 11 anni)
Nasco nel 1948, da un amplesso – spero gaudente – quasi primaverile.
Quindi ho l’età della Costituzione della Repubblica Italiana.
Che venga da lì il mio rigorismo sulle regole? Ossia la convinzione profonda che sono le regole ad essere educanti e protettive?
Questa è la fase della necessaria dipendenza dalla famiglia:
In questo periodo ho vissuto in modo passivo come la risultante genetica ed educativa di mia madre e mio padre e cultural-educativa della scuola elementare:
Sono quello della prima fila a destra. E la biondina alla mia destra è stata la prima destinataria delle primarie pulsioni libidiche di allora. Forse decisive per l’orientamento sessuale.
Qui in terza media:
E’ stata una fase di Io passivo nella quale – in quanto vivente – ho costruito le impalcature del mio corpo e le prime radicine della psiche:
ADOLESCENZA (1963 meno 1959: vita durata 4 anni)
E’ la fase in cui l’Io diventa più attivo e nella quale le responsabilità della vita che mi è toccato costruire comincia ad essere solo mia e non più addebitabile ai genitori biologici.
Faccio risalire l’inizio della adolescenza alle prima vacanze da solo. Nel corso di un viaggio venni affidato ad un’altra famiglia di Barcellona. Era l’estate del 1959
Un bel ricordo.
E un bel sapore che riemerge dalla memoria sensoriale: l’ “orchata” del Barrio Gotico.
Sul piano della cronologia storica sono gli anni dell’avvio dei primi governi di centro-sinistra.
FORMAZIONE (1973 meno 1963: vita durata 10 anni)
L’adolescenza, con le sue trasformazioni somatiche e sessuali, sfuma in quella della formazione sempre più identificata e mirata. Insomma: qui costruivo – in modo prevalentemente inconscio – il futuro destino professionale.
Il primo perno importante è a 15 anni (1963) : scoprivo che non c’era solol’Iliade e l’Odissea, ma anche Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway.
E’ il periodo del professor Visconti, dei giornali studenteschi e delle irripetibili amicizie di quei tipi di anni.
Poi il volo fuori dal nido: l’Università. A 300 Km da casa.
Il Sessantotto.
Il massimo della contraddizione: credevamo che fossimo in Cina e invece eravamo a 30 metri dal Duomo.
Anche questa chiusura di fase è fissata in modo indelebile e stabile in un viaggio di studio: Parigi, in agosto e settembre del 1973, a 25 anni.
ETA’ ADULTA (2003 meno 1973: vita durata 30 anni)
Il centro di una esistenza è l’età adulta.
Ma qui non sono nella catalogazione delle età di cui si parla nelle facoltà di Scienze della formazione.
E – quindi – per me l’età adulta contiene al suo interno 3 vite
LAVORO (2007 meno 1973: vita durata 34 anni)
Howard Gardner in Cinque chiavi per il futuro (Feltrinelli 2007) sostiene che per acquisire l’intelligenza disciplinare (quella che governa il mestiere e la professione) occorrono dieci anni.
Sì … ci vogliono almeno 10 anni per entrare in un circuito lavorativo e saperlo attraversare.
Il sistema sociale italiano mi ha fornito un lavoro modesto ma gratificante.
Ho potuto mettere assieme apprendimento cognitivo continuo e un reddito di sopravvivenza.
Ci sono stati anni di stabilità, poi una caduta dolorosa e poi ancora una rinascita “napoleonica” (la polvere e l’altare del Manzoni).
Qui dentro splendono come gemme luminose ed assolute gli
ANNI DI VENEZIA (2003 meno 1997: vita durata 7 anni)
La fine di questa esperienza coincide con l’apertura della pre-vecchiaia.
AMORE (2007 meno 1982: vita durata 25 anni)
E’ certo che questo è il mio Mandala tibetano.
E’ il cuore pulsante della esistenza.
E tutto è dovuto ad un incontro sincronico con mia moglie
Questa vita dura tuttora e vorrei durasse in eterno.
POLITICA (2001 meno 1973: vita durata 28 anni)
E’ un percorso importante, nel quale non sono stato solo uno spettatore.
L’ho già raccontato in The Cross the Line
La militanza è stata attiva.
Ho cominciato sull’onda storica del colpo di stato militare nel Cile.
Ho partecipato a tutte le vicende del declino del modello comunista (sia pure nella sua variante italiana).
Ho concluso con l’attacco delle torri gemelle di New York, quando ho compresa la totale incapacità della sinistra di comprendere l’evento ed il ciclo che si apriva.
PRE-VECCHIAIA (2007 meno 2003: vita durata finora 4 anni)
Eccomi all’oggi.
Ho 59 anni e da 4 sono consapevolmente nella pre-vecchiaia
La vita tranquilla
Sei alla finestra.
C’è una nube di vetro a forma di cuore.
I sospiri del vento sono caverne in ciò che dici.
Sei il fantasma sull’albero lì fuori.
La strada è muta.
II tempo, come il domani, come la tua vita,
è in parte qui, in parte sospeso in aria.
Non puoi farci niente.
La vita tranquilla non da preavvisi.
Consuma i climi dello sconforto
e compare, a piedi, non riconosciuta, senza offrire nulla,
e tu sei lì.
Mark Strand, da Darker (1970), pubblicata in Il futuro non è più quello di una volta, traduzione di Damiano Abeni, Minimum Fax, 2006, p. 57
Lo dico con stupore (e paura): sono gli anni migliori
Vorrei che durassero a lungo.
Anche per vedere quante vite ho ancora da vivere
Auguro a chiunque passi di qui di arrivare a questi anni e goderli intensamente come riesco a viverli io.
Il giorno dopo.
La sincronicità svolge implacabilmente la sua funzione, come sempre mi è successo.
Claudio Risè, proprio oggi, pubblica una argomentazione sul tema: