
Pierre Jourde, La prima pietra, Prehistorica editore, 2023

Mappe nel Sistema dei Servizi alla Persona e alla Comunità
SCHEDA LIBRO«Su quali competenze locali fare leva e quali politiche immaginare al fine di dare spazio reale al “desiderio di restanza” che si va sviluppando tra i giovani delle aree interne?».
Da decenni le aree interne italiane sono coinvolte in intensi processi di spopolamento, di rarefazione dei servizi pubblici essenziali, di impoverimento produttivo.
Si tratta di tendenze ormai croniche e alquanto diffuse, che il lavoro di analisi e di proposta dell’Associazione Riabitare l’Italia ha contribuito a riportare al centro del dibattito pubblico.
Nonostante il declino demografico, economico e di attenzione, le aree interne continuano ad essere luoghi vivi, dove quotidianamente si riproducono beni pubblici fondamentali per l’intero paese e dove milioni di cittadini hanno scelto di vivere e di investire le loro capacità.
L’abbandono…
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“Nelle colline sopra Asti, Paolo Conte bambino ascoltò la telefonata con cui la donna delle pulizie fu avvertita che i suoi cinque figli erano stati fucilati dai nazisti …
anni dopo scriverà la più bella canzone italiana sul dopoguerra”
(in Aldo Cazzullo, Giuro che non avrò più fame, Mondadori, 2018, pagina 17):
Bionda, non guardar dal finestrino
che c’è un paesaggio che non va.
È appena finito il temporale,
sei case su dieci
sono andate giù.
Meglio che tu apri la capote
e con i tuoi occhioni guardi in sù.
Beviti sto cielo azzurro e alto
che sembra di smalto
e corre con noi.
Sulla Topolino amaranto
si va che è un incanto,
nel quarantasei.
Quindi, scrivo un diario on-line e in qualche modo mi racconto a persone che non mi conoscono.
Lo facevo anche prima, ma scrivevo in quaderni che ora ho abbandonato anche perché è più facile scrivere direttamente sulla tastiera del pc.
No che non ti posso spiegar tutta la tecnologia, ma conto sulla tua intelligenza e la tua capacità di comprendere, di là dalle mie righe.
Insomma nonno, scrivo io, scrive un altro e un altro ancora e ci conosciamo per caso on-line.
In queste situazioni ognuno fa come si sente, personalmente scrivo alle persone che mi sembrano simpatiche e che non si dimostrano troppo diffidenti. Sono due presupposti importanti per un’amicizia.
No che non la capisco la diffidenza in rete, sto attenta anch’io, ma non troppo, come in tutte le cose che voglio sperimentare nella vita.
sono attirato come un’ape laboriosa ai blog o post che hanno più il tono del “diario pubblico”.
inoltre…
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Il blog sembra una sciarpa di seta che, quando la riprendi dopo un po’ che non la indossi, la riannusi, la sfiori, la stropicci tra le mani e lei ti regala il ricordo di un profumo, di un incontro o di un luogo
vai alla scheda dell’editore:
https://www.youcanprint.it/a-letto-dopo-carosello/b/0d84d85e-a351-5678-b733-6e66d0814363
La pubblicità in Italia non ha mai goduto di chiara fama. Era vista come qualcosa di negativo, si parlava di ‘persuasori occulti’. Negli anni Trenta, per superare questa ‘vergogna’, la cartellonistica si affidò agli artisti. In televisione, nel ’57, proprio su questo interdetto, nacque invece Carosello”. A raccontare ”l’altra faccia” della pubblicità è il critico Aldo Grasso, alla mostra ”Il cibo immaginario. 1950-1970 pubblicità e immagini dell’Italia a tavola”, prodotta da Artix in collaborazione con Gruppo Cremonini e Coca-Cola Italia, che al Palazzo delle Esposizioni ha ripercorso vent’anni del paese attraverso iconografia, stili e linguaggi della pubblicità del cibo e dei riti del mangiare.”Carosello – spiega Grasso – è un’invenzione tipicamente italiana. Si aveva così paura della pubblicità, che si doveva inventare tutta una storia, un piccolo film, prima di nominare il prodotto, che poteva comparire solo nel codino finale”.Fondamentali, prosegue il critico, furono i testimonial, invenzione presa in prestito dagli Stati Uniti. ”I maggiori – prosegue – furono Ugo Tognazzi, che con Raimondo Vianello aveva inventato il programma ‘Uno due tre’; e poi Mina, che che dopo ‘Studio 1’ rappresentava il massimo dell’eleganza. L’idea era che ‘se lo dicono loro, allora si può fare’. La cosa più curiosa – aggiunse Grasso – è l”insegnamento’, al di là del prodotto, sul quale pesa molto il mito dell’America e la visione del futuro. Quello era il tempo dei voli spaziali e non a caso il primo Carosello della Coca-Cola, ad esempio, fu un cartone animato nello spazio con Joe Galassia dei fratelli Gavioli. Con questa formula – conclude – si potè sfatare quel mito dei persuasori occulti. Ecco perché tutta quella gioia, quello stupore, quell’euforia e ingenuità nello scoprire l’utilità dei prodotti. Carosello non fu solo pubblicità, ma il primo grande galateo del dopoguerra”. Ma questa è anche una storia in quel miscuglio etnico dell’ Italia, mi è tornato in mente il suo e delle parlate familiari ascoltate durante il militare tanti anni fa. E questa mi ha dato voglia di scrivere, forse perché il suo sfondo (e quel modo di vita, con personaggi leggendari, collere furibonde, litigi e brame carnali senza ritegni) era così lontano da essere ormai soltanto un mondo immaginario. In questo mondo immaginario, come l’aldilà di Dante, le parlate, risalivano a zii, nonni, parenti: ma non è più di questo mondo. Inoltre, ritrovo qui la mia antica passione per i fumetti, che si vede nel modo di scrivere. Assieme ci metterei quella per i libri di avventure, e quella per il mio amato “Pinocchio” (libro che ho tentato tante volte di riscrivere).
Mappe nel Sistema dei Servizi alla Persona e alla Comunità
“Come si distingue una vita adulta da una vita adolescente? Provo a dare una risposta semplice suggerita dall’esperienza clinica: una vita adulta tende ad assumere con coerenza le conseguenze delle proprie azioni; una vita adolescente non si preoccupa di questa assunzione perché, al fondo, ritiene che le proprie azioni non abbiano mai delle vere conseguenze. “
” Nella politica italiana il ruolo dell’adolescenza inguaribile, incapace di evolvere verso la vita adulta, salvo rare e individuali eccezioni, è interpretato, sin dal tempo della sua nascita, dal M5S.
Questo movimento ha ereditato le caratteristiche personologiche e antropologiche del suo fondatore:
il disprezzo per le istituzioni,
la pratica costante dell’insulto e del dileggio degli avversari,
la denigrazione in toto del sistema dei partiti,
la barzelletta come narrazione,
una concezione purista e fondamentalista della propria identità, il rifiuto della politica come arte delle mediazione,
la predicazione populista di slogan retorici per fronteggiare problemi complessi,
l’assenza…
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«Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa.»
Non ragioniam di lor, ma guarda e passa – Wikipedia
Povera patria
Schiacciata dagli abusi del potere
Di gente infame, che non sa cos’è il pudore
Si credono potenti e gli va bene quello che fanno
E tutto gli appartiene
dall’ Album: Come un cammello in una grondaia, 1991
….
povera patria – Cerca con Google
1: vietato attaccare la persona
2. vietato manipolare gli argomenti altrui
3. obbligatorio fornire le prove delle proprie affermazioni
vai a DILEMMI: https://www.raiplay.it/programmi/dilemmi
Le regole di (buona) comunicazione in DILEMMI, a cura di Gianrico Carofiglio, Rai3 – Mappeser.com: Mappe nel Sistema dei Servizi
Mappe nel Sistema dei Servizi alla Persona e alla Comunità
vai alla scheda dell’editore: https://www.egeaeditore.it/ita/prodotti/sociologia/abitare-la-prossimita-.aspx
Il libro di Ezio Manzini individua i pilastri su cui costruire un futuro a misura d’uomo, superando il modello della “città delle distanze” e offrendo un’alternativa credibile alla società “del tutto a/da casa”. Nel segno di impegno civico e nuove tecnologie.
La città dei 15 minuti? Per esistere (e resistere) deve fondarsi su tre pilastri fondamentali: comunità, cura e innovazione digitale. Concetti diversi, talvolta lontani, ma che non possono prescindere gli uni dagli altri nel dare vita a un futuro davvero a misura d’uomo.
Nel libro, Ezio Manzini parte dallo studio di esempi concreti (La ville du quart’heure, di Parigi, le Superillas di Barcellona, la Milano di WeMi e della riqualificazione delle periferie) per analizzarli e integrarli in una visione di insieme che permetta di costruire un modello di riferimento in grado di affrontare le sfide di oggi e di domani.
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Mappe nel Sistema dei Servizi alla Persona e alla Comunità
Ecco com’è nata Hey Hey Rise Up dei Pink Floyd: testo e significato della canzone per l’Ucraina:
Il testo di una strofa della canzone
Ой у лузі червона калина похилилася
Чогось наша славна Україна зажурилася
А ми тую червону калину підіймемо
А ми нашу славну Україну, хей, хей, розвеселимо
А ми нашу славну Україну, хей, хей, розвеселимо
La versione inglese
Oh, in the meadow a red viburnum has bent down low
For some reason, our glorious Ukraine is in sorrow
And we’ll take that red viburnum and we will raise it up
And we shall cheer for our glorious Ukraine, hey, hey
And we shall cheer for our glorious Ukraine, hey, hey
And we’ll take that red kalyna and will raise it up,
And we shall cheer up our glorious Ukraine, hey – hey!
La traduzione italiana
Nel prato un rosso viburno si è piegato in basso
La nostra gloriosa…
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VAI ALLA SCHEDA DELL’EDITORE:
https://www.ponteallegrazie.it/libro/disinformati-jacques-attali-9788833317793.html
Mai come in quest’epoca è stato facile per chiunque accedere a una mole smisurata di informazione. Mai come in quest’epoca è stato facile per chiunque produrne. Mai come in quest’epoca è stato facile diffondere notizie false, chiacchiere vane, distrazione di massa. Jacques Attali analizza l’attuale situazione dei media: la crisi dei media tradizionali; l’avvento di Internet; l’esplosione dei social, passati rapidamente da mezzo privato a strumento di informazione e propaganda. Intanto, le notizie che hanno un effettivo valore economico, politico, sociale sono accessibili solo a un’élite, che le acquista a caro prezzo; mentre chi brancola in rete piuttosto cede informazioni su di sé…
Come ci ha abituati, poi, dal passato e dal presente Attali trae indicazioni sul futuro. I rischi sono enormi, in un mondo dominato da pochi giganti monopolisti e con un pubblico ormai del tutto incapace di distinguere il vero dal falso, il fondamentale dall’irrilevante. Per evitare la catastrofe, bisogna agire urgentemente: dalla formazione dei giornalisti all’educazione dei lettori, dall’uso consapevole della tecnologia alla creazione di nuovi strumenti, molto è ciò su cui si deve intervenire. Fino allo smantellamento– avete letto bene – delle grandi piattaforme. Sarà una battaglia difficile, ma è necessaria. Perché quando è in pericolo il diritto di informarsi, sono in pericolo la democrazia e la libertà.
Legarsi alla montagna è stato un evento unico, ideato da Maria Lai, a cui partecipò l’intera comunità di Ulassai l’otto settembre del 1981. Legarsi alla montagna è la prima opera di Arte relazionale a livello internazionale.
vai alla scheda informativa: https://it.wikipedia.org/wiki/Legarsi_alla_montagna
BIOGRAFIA DELL’ARTISTA MARIA LAI:
https://it.wikipedia.org/wiki/Maria_Lai
e qui uno sguardo poetico sull’artista Maria Lai:
Mappe nel Sistema dei Servizi alla Persona e alla Comunità
“I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. E’ l’invasione degli imbecilli”.
fonte della citazione: https://www.bufale.net/notizia-vera-umberto-eco-internet-da-diritto-di-parola-a-legioni-imbecilli-bufale-net/
vai al video Umberto Eco – Internet, Social Media e Giornalismo:
Mappe nel Sistema dei Servizi alla Persona e alla Comunità
“Mi raccomando: giudizio !”, DAVIS SASSOLI
vai alla scheda dell’editore:
In occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia, Mondadori presenta la prima storia e antologia della canzone popolare e d’autore: un fenomeno di grandissima rilevanza culturale che ha accompagnato la nostra storia, anno dopo anno. Un’opera di immensa ricchezza, contestualizzata con cura rigorosa, un avvincente percorso a tappe che documenta l’evoluzione di un talento naturale degli italiani. Spesso connotata come “leggera” rispetto alla musica classica, la canzone rappresenta una delle forme più autentiche e originali d’espressione, specchio fedele di una società nelle sue varie sfaccettature, voce dei suoi desideri e anima delle sue passioni. Partendo dall’Inno di Mameli, passando dalla canzone napoletana di Libero Bovio alle atmosfere del Cafè-chantant, dagli autori sconosciuti dei canti popolari in dialetto ai poeti della formacanzone e ai più recenti successi di Sanremo, l’autore accompagna il lettore alla scoperta di epoche e vibrazioni diverse: un’occasione per comprendere chi eravamo e chi siamo.
vai a una recensione:
https://www.ansa.it/web/notizie/unlibroalgiorno/news/2011/11/30/visualizza_new.html_12103460.html
in
siamo nel TEMPO STORICO del: “nei limiti del possibile”
Mappe nel Sistema dei Servizi alla Persona e alla Comunità
Saverio Raimondo è un comico, autore televisivo e personaggio televisivo italiano
la storia di Splinder https://it.wikipedia.org/wiki/Splinder
Quindi, scrivo un diario on-line e in qualche modo mi racconto a persone che non mi conoscono. Lo facevo anche prima, ma scrivevo in quaderni che ora ho abbandonato anche perché è più facile scrivere direttamente sulla tastiera del pc. No che non ti posso spiegar tutta la tecnologia, ma conto sulla tua intelligenza e la tua capacità di comprendere, di là dalle mie righe.
Insomma nonno, scrivo io, scrive un altro e un altro ancora e ci conosciamo per caso on-line.
In queste situazioni ognuno fa come si sente, personalmente scrivo alle persone che mi sembrano simpatiche e che non si dimostrano troppo diffidenti. Sono due presupposti importanti per un’amicizia. No che non la capisco la diffidenza in rete, sto attenta anch’io, ma non troppo, come in tutte le cose che voglio sperimentare nella vita.
sono attirato come un’ape laboriosa ai blog o post che hanno più il tono del “diario pubblico”.
inoltre sono interessato a questo “ragionare sullo strumento” (il blog ) mentre lo si usa.
non sono in grado ancora (bisognerebbe farlo in modo più sistematico) di intravvedere i tipi di blog che le persone fanno.
però qualche idea me la sono fatta.
c’è il blog-diario. è quello più caldo
c’è il blog -invettiva. conviene starci alla larga
c’è il blog-informazione. talvolta più interessante di una enciclopedia
c’è il blog-gioco. talvolta con regole così complicate che ci vorrebbero ore per giocarci
… il blog-poesia …il blog-musica
e naturalmente altri ancora. e intrecci fra i vari tipi
una cosa è certa: i blog sono una espansione della nostra soggettività.
sono dei modi per coltivare se stessi.
per certi versi sono drammatici: parlano della nostra solitudine. esseri soli, in epoca di decadenza delle grandi aggregazioni sociali, che hanno voglia di esprimere se stessi attraverso delle identità protettive. delle maschere comunicanti.
dall’altra parte espandono la comunicazione. si fanno incontri insperati. si allarga il giro delle conoscenze. la reciproca conoscenza non è più coloro che ci sono vicini. ma è l’intera italia.
In quanto vivente nella modernità vivo non solo il politeismo dei valori, ma anche quello dei ruoli e delle situazioni.
Ma se dovessi ricordare per il futuro la “cifra” di questi mesi dovrei riferirla alla mia avventura sui Blog. E alla mia vorace curiosità per questa forma di comunicazione biografica resa possibile dalle tecnologie del Web.
Sull’ argomento ho avuto una interessante discussione con Ruckert che vorrei fissare anche nel mio blocco degli appunti.
Paolo a Ruckert Mi è piaciuta la tua rievocazione biografica sul Blog del 14 aprile . Volevo dirti subito – in breve – perchè trovo di grandissimo interesse culturale i Blog. Perchè credo che attraverso questi scritti e nei commenti stia avvenendo una rivoluzione. Cioè la costruzione di una intelligenza associativa. Ossia l’elaborazione di nuovi modi di pensare il mondo attraverso piccoli francobolli che fanno vedere le associazioni fra gli eventi e la loro interpretazione. Qualcosa che ha un equivalente storico solo con la nascita della “opinione pubblica” che è avvenuta con l’illuminismo francese. Nei blog vedo cultura, interessi, passioni. Tutte spezzettate: ma questa è la modernità. La modernità è frammento. Solo ogni singolo individuo può tentare di “mettere assieme”. Così i tuoi foglietti ne cassetti possono uscire. E magari incuriosire qualcuno .. che così incontra altri pensieri … Una grandissima rivoluzione. Tanto più profonda perchè molecolare. Con i blog si vede vistosamante che non c’è la “massa” (il riferimento-base dei fascismi e dei comunismi) ma individui pensanti che associano le loro intelligenze e sentimenti.
Ruckert: l’idea reticolare nella diffusione delle idee è interessante, bisognerà capire se e come prenderà piede, se non c’è il rischio che la rete possa imprigionare piuttosto che liberare, magari inserendoci in piccole comunità autoreferenziali. Il rischio, inutile negarlo, esiste come la potenzialità. Come spesso accade il problema è bilnaciare le due cose e fare in modo che da questa babele di passione interessi ideali possa venir fuori una massa critica (o magari diverse masse critiche) di maggiore respiro. Anche qua il tempo ci risponderà, per ora possiamo solo immaginare… Ciao 🙂
Paolo: “se non c’è il rischio che la rete possa imprigionare piuttosto che liberare, magari inserendoci in piccole comunità autoreferenziali” E’ vero. Allora l’unico ragionamento possibile è: qual’è il minore dei mali? LE autoreferenzialità? o il pensiero unico (insisto: quello delle culture totalitarie)? Propendo per il primo corno del dilemma. Trovo più libertà di pensiero in piccoli gruppi che condividono più comuni sentire. Il vero problema lo vedo nella possibile superficialità dei contatti. Relazioni sociali basate su “francobolli” tendono ad impoverire i significati di conoscenze più profonde e complessive.
Ciao Amalteo
Ruckert: vero, ma se ci fosse la terza via? L’ideale sarebbe combattere l’aureferenzialità in modo tale da ampliare sempre di più le piccole comunità che poi interagendo tra loro riescono a fare quella massa in grado di sviluppare la circolazione delle idee, che ne pensi?
Paolo: Caro Ruck, questa volta temo che o non siamo in sintonia o non ci capiamo. E’ la parola massa che mi incute timore, pensando al passato, soprattutto al secolo breve (1917-1945). Meglio infinitamente meglio individui che comunicano. Parlanti che crescono individualmente sulle normali sfide di una normale vita: nascita, crescita, espansione della personalità, fatica del lavoro, accettazione della morte. Nella massa c’è sempre bisogno di un capo. Come insegna anche la vicenda politica italiana: un popolo televisivo (non i parlanti dei blog) ha ancora acclamato un capo. Che non accetta le regole della democrazia. Ben sapendo che le televisioni sono sufficienti a creare qual “senso comune” che gli consentirà (probabilmente grazie a Bertinotti) di vincere per la terza volta. La televisone fà massa, i blog possono fare individui che trovano quei comuni sentire basati sul’intelligenza associativa. Ciao e grazie per gli stimoli a pensare
Ruckert: Non credo che non siamo in sintonia forse bisogna solo capirsi. Proviamoci magari partendo da un linguaggio comune perché bisogna intendersi sul senso delle parole. Al termine massa critica non voglio dare quel significato. Preferisco immaginare che l’insieme, anzi meglio la presenza sempre più numerosa di individui che comunicano e interagiscono tra loro crescendo individualmente, possano consentire un miglioramento qualitativo della società nelle sue diversità. Più la massa dei pensieri liberi aumenterà, più sarà possibile avere un miglioramento, a condizione però che tutti questi individui mantengano il più possibile un atteggiamento aperto verso l’esterno, in modo tale anche da far sviluppare in modo reticolare questo modello. E questa massa a differenza del passato potrebbe non avere necessità di un capo gerarchicamente sovraordinato proprio per la presenza di un reticolo che si muove orizzontalmente. Che dici? Siamo davvero così distanti? Ciao 🙂
Paolo: caro Ruck. Era proprio un malinteso linguistico sulla parola “massa”. Sono del tutto in accordo con il tuo ragionamento. Fra l’altro, nel tuo caso, non è solo un “ragionamento” ma una pratica attiva. La tua intelligenza e capacità di pensiero la vedo sempre messa in atto nelle tue interazioni con amìci di vecchia data o occasionali. Ti sei costruito con loro un cerchio-reticolo in cui amplificate le vostre esperienze ed i vissuti. Ecco la forza dei blog: una rivoluzione attraverso il parlarsi. Insomma una volta tanto la scienza e le tecniche possono essere utilizzate in modo attivo e partecipato. Dati i tempi che continuano ad essere piuttosto crudeli è davvero molto. ciao, a presto
MariaPrivi ad agosto sarà un anno che frequento il mondo bloggaro. Tempo di consuntivi? Ma no! Non ci credo.
Solo un momento per conversare.
Il blog è uno specchio abbastanza fedele dei tanti pubblici “reali”. Un mezzo con buone peculiarità ed inevitabili difetti.
Permette rapida, ed a volte mirata circolarità delle idee, ma si rischia di ricevere informazioni errate.
Eppure da Alex, con i blog, abbiamo ottenuto persino risultati concreti -vedi da me: Come muore la mia terra-.
Io con il blog faccio di tutto: amicizia, lavoro, passatempo.
Per alcune persone può diventare indispensabile (vecchi, persone sole, persone con bisogno ed impossibilità di comunicare altrimenti), per altre una droga (autoreferenzialità, sindrome del contatore, sostituzione impropria del virtuale con il reale), c’è chi lo adopera per raccattare sesso e chi per suscitare compassione.
Un buon mezzo, un cattivo mezzo, secondo l’uso -sia attivo, sia passivo- che se ne fa. Un mezzo sicuramente in linea con il carattere del nostro tempo.
Paolo condivisione piena, cara mariaprivi. Ben ritrovata! Mi fa immenso piacere che anche tu valuti positivamenta la rivoluzione comunicativa dei Blog. Condivido tutto, ma proprio tutto, quello che dici: luogo innanzitutto di conversazione; specchio fedele (quasi un campione) della opinione pubblica; rapidità nella circolazione delle informazioni; nuovi tipi di amicizia, non basata sulla vicinanza fisica, eppure forte ed affettuosa; spazio comunicativo per le persone sole anziane (direi anche: allenamento del cervello e quindi prevenzione della decadenza della memoria); compulsività per alcuni (è vero: però meno dannosa dei telefonini, perchè è mediata dalla lingua scritta, che è sempre un esercizio di ordine); certo anche luogo per promuovere incontri sessuali (che, però se consenzienti e sicuri, sono una gioia della vita).
Vero, verissimo: un mezzo, uno strumento. Non un fine. Uno strumento al servizio della personalità.
Dei blog amo moltissimo le coincidenze (incrociare persone particolari che magari mai avrei potuto conoscere) e le occasioni. Per esempio in queste ore sul blog di ruckert (post Gotan project) sta avviandosi la stesura di una discografia jazz interattiva che potrebbe concludersi con un testo quasi collettivo su questo genere musicale del novecento. ciao carissima. a presto
“Cosa si fa sui blog?” chiese Incredulo
“Sui blog si fa conversazione!” rispose Sperimentatore
Questo dialoghetto tra Amalteo e SurferRosa mi ha fatto ricordare alcuni frammenti e citazioni tratte dal libro di Dacia e Fosco Maraini, Il gioco dell’universo. Le lascio qui.
“Fosco era uno sperimentatore nato. Il campo dei suoi esperimenti era il linguaggio. Quasi mettendo in pratica la famosa frase di Roland Barthes: “Ogni rifiuto del linguaggio è una morte”. Con la morte lui ci giocava a rimpiattino: le parole gli rivelavano i nascondigli più sicuri, più impensabili per tenerla a bada. Ma rivela anche altro questa
passione, come dice T.S. Eliot nel saggio del Bosco Sacro dedicato a Philip Massinger, ovvero che una evoluzione vitale del linguaggio è anche una evoluzione del sentimento. Quindi non gioco di superficie, fine a se stesso, ma scavo, attraverso la lingua scritta, nella terra dura del pensiero. […]
… Il linguaggio comune, salvo rari casi, mira ai significati univoci, puntuali, a centratura precisa.
Nel linguaggio metasemantico invece le parole non infilano le cose come frecce, ma le sfiorano come piume, o colpi di brezza, o raggi di sole, dando luogo a molteplici diffrazioni, a richiami armonici, a cromatismi polivalenti, a fenomeni di fecondazione secondaria, ed è facile vedere i “duomi del pensiero” che si muovono lenti spinti dai “moti più segreti”.
Nel linguaggio comune dinanzi a cose, eventi, emozioni, pensieri nuovi, o ritenuti tali, si trovano suoni che danno loro foneticamente corpo e vita, che li rendano moneta del discorso.
Nel linguaggio metasemantico, o nella poesia, avviene proprio il contrario. Si propongono dei suoni e si attende che il proprio patrimonio d’esperienze interiori, magari il proprio subconscio, dia loro significati, valori emotivi, profondità e bellezze. E’ dunque la parola come musica e come scintilla.
… La parola è come una caramella, qualcosa da rigirare tra lingua e palato con voluttà, a lungo, estraendone fiumi di sapori e delizie.
… Parole belle, parole brutte, parole misteriose, parole semplici, parole complesse, parole didascaliche, parole
poetiche, parole logiche, parole in libertà… . […]
… Fosco confesserà inoltre che quasi ogni sua parola è frutto d’un lungo studio. Certe espressioni proprio non gli venivano per mesi, sapeva quello che cercava, ma il sassolino giusto la marea non glie lo gettava mai sulla spiaggia.
Poi un certo giorno, magari facendosi la barba, cambiando una gomma della macchina, studiando gli ideogrammi cinesi o seduto nella neve al sole, eccoti il sassolino cercato. Adesso gli resta solo da sperare di non aver scritto in una lingua privata e segreta, come dire per lui solo; ciò che proprio gli dispiacerebbe.
… La tensione poetica accompagnerà Fosco per tutta la vita. Ma non scriverà molti versi. La sua scrittura tendeva allo scientifico e allo storico. Eppure la gioia della poesia si insinua spesso anche fra i suoi più cocciuti elenchi. La poesia come gioco verbale, la poesia come affrancamento di una fantasia troppo costretta e razionalizzante, la poesia come alta acrobazia verbale, la poesia come gioco che si gioca. Tale la troviamo in questa fànfola:
Il giorno ad urlapicchio
Ci son dei giorni smègi e lombidiosi
col cielo dagro e un fònzero gongruto
ci son meriggi gnàlidi e budriosi
che plògidan sul mondo infrangelluto,
ma oggi è un giorno a zìmpagi e zirlecchi
un giorno tutto gnacchi e timparlini,
le nuvole buzzìllano, i bernecchi
ludèrchiano coi fèrnagi tra i pini;
è un giorno per le vànvere, un festicchio
un giorno carmidioso e prodigiero,
è il giorno a cantileni, ad urlapicchio
in cui m’hai detto “t’amo per davvero”.
Ma cosa sono le fànfole? Fosco rispondeva con una citazione da Palazzeschi.
“cosa ci hanno con noi quelle due sbrèndole, quelle ciufféche, quelle cirimbràccole?” – Palazzeschi
La fànfola è una forma dialettale, un ghirigoro linguistico, un grammelot finissimo ed esilarante che fa esplodere il linguaggio dall’interno, mostrando le sue contraddizioni, le sue povertà e le sue ricchezze. Rivelando soprattutto quanto il suono spesso prevalga sul significato, il fonema sul semantema.
… Ah, la magia delle parole! Che non smettono mai di sorprendere, di cicalare, di ridere, di manifestarsi e poi sparire nel nulla.
… E alla fine di tutte le nostre “esplorazioni” arriveremo dove abbiamo cominciato e per la prima volta conosceremo il “posto”. (T.S. Eliot)
Così Fosco accumulava parole con la pazienza di un grande camminatore della mente.”
Allora:
“Cosa si fa sui blog?” Chiese Incredulo
“Sui blog si fanno blogaloghi!” rispose Amalteo-Sperimentatore… ossia varianti dei dialoghi faccia a faccia.
Non vi sembra una “fànfola”?
Recentemente l’amico musicista Enzo Nini, mi raccontava un processo creativo che ha condiviso con altri musicisti.
A me è venuto in mente che il web e, precisamente, il blog, permette una comunicazione a 260° ( mancano ancora i profumi e le texture).
Certo una e-mail o un post, non hanno la magia di una lettera scritta a mano: non c’è l’inchiostro, la carta, la calligrafia, il profumo della mano che l’ha vergata, la sorpresa, i chilometri percorsi… ma compensano con la pluralità di opzioni.
Per quel che mi riguarda, nettamente superiori a una telefonata in quantità di sfumature trasmesse, anche se trovo irrinunciabile la voce, direi la musica in parole.
Mappe nel Sistema dei Servizi alla Persona e alla Comunità
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https://www.feltrinellieditore.it/opera/opera/la-storia-del-mondo-in-dodici-mappe/#descrizione
Nel corso della storia le carte geografiche hanno modellato la nostra visione del mondo e il posto che vi occupiamo. In questo brillante libro, Jerry Brotton sostiene che, lungi dall’essere meri strumenti della scienza, le mappe del mondo sono inevitabilmente descrizioni parziali e soggettive, intimamente legate ai sistemidi potere, all’autorità e alla creatività di tempi e luoghi particolari. I disegnatori di mappe non si limitano a raffigurare il mondo, lo costruiscono sulla base delle idee vigenti nella loro epoca. Questo libro analizza il significato di dodici mappe del mondo, a partire dalle rappresentazioni della storia antica e per finire con le immagini satellitari contemporanee. Ricrea vividamente gli ambienti e le circostanze in cui queste carte sono state create, mostrando come ciascuna di esse trasmetta un’immagine estremamente personale del mondo: la prospettiva cristiana centrata su Gerusalemme della mappamundi di Hereford del quattordicesimo secolo; lapiù antica…
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“…Le leggi son, ma chi pon mano ad esse? …”
da
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…. Quindi: 312 voti favorevoli e 313 contrari. La prima crisi consacrata in Aula della storia…
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Ero a New York, perbacco, in un meraviglioso mattino di settembre, anno 2001. (…) Ho acceso la Tv. Bè, l’ audio non funzionava. Lo schermo, sì. E su ogni canale, qui di canali ve ne sono quasi cento, vedevi una torre del World Trade Center che bruciava come un gigantesco fiammifero. Un corto circuito? Un piccolo aereo sbadato? Oppure un atto di terrorismo mirato? Quasi paralizzata son rimasta a fissarla e mentre la fissavo, mentre mi ponevo quelle tre domande, sullo schermo è apparso un aereo. Bianco, grosso. Un aereo di linea. Volava bassissimo. Volando bassissimo si dirigeva verso la seconda torre come un bombardiere che punta sull’obiettivo, si getta sull’obiettivo. Sicché ho capito. (…) Ero un pezzo di ghiaccio. Anche il mio cervello era ghiaccio. Non ricordo nemmeno se certe cose le ho viste sulla prima torre o sulla seconda. La gente che per non morire bruciata viva si…
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“Non amo le stroncature … di solito appagano un narcisismo aggressivo e spesso non riescono neanche a danneggiare l’oggetto che vorrebbero distruggere”
Giuseppe Pontiggia, in Sostare di fronte all’arte per vedere che non c’è, Il Sole 24 Ore 12 dicembre 1999
“La Mail è meno invasiva di una telefonata“
Penso al libro che più mi è caro, all’unico libro che Montaigne ha scritto nella sua vita e l’unico che mi porterei dovunque:
“Questo, lettore, è un libro sincero.
Ti avverto fin dall’inizio che non mi sono proposto, con esso, alcun fine,
se non domestico e privato.
Non ho tenuto in alcuna considerazione nè il tuo vantaggio nè la mia gloria.
Le mie forze non sono sufficienti per un tale proposito.
L’ho dedicato alla privata utilità dei miei parenti ed amici:
affinchè dopo avermi perduto (come toccherà loro ben presto)
possano ritrovarvi alcuni tratti delle mie qualità e dei miei umori,
e con questo mezzo nutrano più intera e viva la conoscenza che hanno avuto di me”
Montaigne, Saggi
Provo ad osservarmi.
E a scrivere mentre mi osservo.
E, in particolare, a mettere a fuoco i miei processi di pensiero.
Osservo i due poli opposti.
Da una parte c’è il continuo fluire del pensiero interno. E’ l’incessante ”stream of consciousness” che James Joyce ha osato sfidare sul piano letterario nel suo Ulisse. E’ un pensiero mobile, variabile, disordinato, confinante fra conscio ed inconscio. Talvolta si ferma. Più spesso scappa via e si dimentica del passo precedente.
E’ un gran compagno questo pensiero.
Si presentifica davanti allo specchio e mi fa dire: “ma chi sono io? .. chi è quello lì? … ma sono davvero io?”. O si manifesta con qualità psichica prima di dormire.
E’ il pensiero che lentamente si assopisce prima di dormire. Per fare posto al sogno.
E’ il pensiero che può essere messo al servizio della psiche con la reverie
All’altro polo c’è il pensiero applicativo. Quello dello studio analitico che si lega al lavoro ed alla professione. Qualsiasi lavoro attiva il pensiero applicativo. E’ pensiero pratico: “si fa così … no, si potrebbe anche fare così … questo adesso, questo dopo… occorre confrontare … ci vuole un parere …”
La coscienza occidentale è andata molto avanti nei pensieri applicativi.
Lo psicologo Howard Gardner nel suo Formae mentis, ha addirittura elaborato una tipologia delle intelligenze:
l’intelligenza linguistica;
l’intelligenza musicale,
l’intelligenza logico-matematica,
l’intelligenza spaziale,
l’intelligenza corporea;
l’intelligenza intrapersonale;
l’intelligenza interpersonale.
Libro fantastico il Formae mentis (Feltrinelli, 1987).
In mezzo a questi due poli si agitano, agiscono, prendono il sopravvento e lo perdono tantissimi altri stili di pensiero.
Il pensiero poetico. Quello dello sguardo intenso, unico e profondo sull’attimo. E’ un pensiero molto, molto legato allo sguardo. Sguardo diretto o obliquo. Ma comunque sguardo che vede oltre e dentro. Solo in quell’attimo. Lo sguardo che crea una realtà altra da quella percepita dalla coscienza.
Ancora il pensiero del gesto quotidiano. Accudirsi (oh , quanto sfuma sul pensiero interno, talvolta!), nutrirsi, fare ordine. Ricreare le condizioni per la propria sopravvivenza. E’ un pensiero apparentemente semplice che si affida alla memoria procedurale. Mia moglie mi dice che questo pensiero sarà molto, molto utile in vecchiaia.
C’è il pensiero della scelta. Cosa faccio? Cosa decido? Questa via o quest’altra? Decidere: tagliare. Ogni decisione è un taglio. Sanguina, poco o tanto
Insomma: ci sono tante varianti nei processi del pensare.
Anche perchè c’è sempre l’emozione di pensare. E’ lì che il pensare si umanizza perchè si impasta fra pensiero e sentimento ed ancora fra senzazione ed intuizione (quanto era saggio Jung. Il vecchio saggio Carl Gustav Jung)
Ma era ai Blog dove volevo arrivare.
Quale tipo di pensiero attiva il fare direttamente un blog o ancora visitarli e commentare?
A me sembra che attivi un pensiero relazionale.
Ossia un pensare che si struttura facendo rimbalzare dentro di sè e poi fuori di sè e poi ancora dentro di sè pezzetti del pensare di altri. Come dice anche Fully in un suo post.
E’ per questo che le tecnologie che sostengono i blog sono una rivoluzione della modernità.
Ed è proprio che da qui nascono i problemi. I nuovi problemi legati all’uso di queste straordinarie tecnologie. In una prospettiva negativa ne ha già parlato Sherry Turkle.
Oggi vorrei soffermarmi su tre aspetti: la scelta dei blog, il tempo per esplorarli, il pensiero applicativo emergente, la rottura della solitudine nella moltitudine.
La scelta dei Blog. Per me è avvenuta prima per amicizia, poi per casualità, poi per affinità, poi ancora per amicizie acquisite. La Z-List combina affinità e casualità. Ma costringe anche alla scelta. Ed è stato molto divertente leggere del tormento decisionale di Dodo (sanguinava un pochetto). L’interesse della Z-List (e forse anche qualla della “classifica per generi”): conoscere blogger eccentrici rispetto alle mie centrature. Il suo svantaggio è la mancanza di un aggregatore. Non è una catena. E’ un albero con rami e rametti. Come gi alberi genealogici
E qui nasce il problema del tempo per esplorarli
Il tempo è breve, il tempo stringe, il tempo che resta è sempre limitato.
Osservo che il mio rapporto Uno a Molti con i blog funziona su tre sfere.
C’è la sfera intima. Gli amici, quelli che si visitano proprio sempre, con cui si colloquia, in cui si commenta e si leggono gli altri commenti. Con cui si intessono rapporti ancora più intimi con le letterine interne. Qui i rimbalzi sono molto frequenti. E talvolta si mettono a tema questioni piuttosto interessanti.
Poi c’è la sfera dei frequenti. Li vado a vedere, ma non in modo metodico. Ogni tanto qualcuno sfugge. I loro amici non diventano miei amici (ma talvolta sì). Insomma è un’area più esplorativa, basata sul criterio prova ed errore. Certo talvolta alcuni finiscono inesorabilmente nelle spire pitoniche della sfera intima.
Infine c’è la sfera dei blog per ricerche. Si tratta di case tematiche. Di blogger che inseguono un tema che mi sta a cuore. Questi blog sfumano nei siti. Non ci vedo molta differenza fra un blog specialistico-tematico ed un sito.
Non dico che tradiscono la missione originaria del blog, che è quella di essere un diario pubblico. Però quasi.
Per me la vocazione interessante del blog è la sua introspezione esposta al pubblico.
E’ per questo che i commenti offensivi e giudicanti sono così fuori tono nella cultura dei blog. Eppure prevalgono: ma è l’effetto imitativo della “discussione da bar sport”. Ti devo distruggere per le tue opinioni. Non posso distruggerti fisicamente, lo faccio con le parole. Tanto è facile battere i tasti, salvare ed inviare.
Così succede che i blogger delle sfere frequenti e per ricerche sono estremamente mobili nel mio rapporto uno a molti. Entrano ed escono con grande facilità.
Quanti blog della sfera intima e frequente si possono “curare”?
Vediamo: 20 interlocutori fra gli amici scelti e che mi hanno scelto; 36 fra i preferiti (ossia i blog monitorati da splinder).
Tenuto conto delle frequenze di lettura, credo che la soglia di 20 si quella più realistica.
Compatibilmente con le altre cose da fare posso “curare” con la dovuta attenzione ed solo 20 relazioni.
Nell’universo delle relazioni internettiane è una molecola nello spazio.
Nelle relazioni fra persone è molto. Tanto più che la rete abbatte la geografia. Sono relazioni extra-territoriali.
Ma quale pensiero interno e pensiero applicativo attiva il pensiero relazionale emergente dei blog?
Qui c’è il problema. Un problema che è solo all’inizio, direbbe Emanuele Severino.
Si tratta di un pensiero frammentato.
Un pensiero erratico.
Un pensiero che si applica a troppi oggetti per esplorarne a fondo ciascuno.
Penso al libro che più mi è caro, all’unico libro che Montaigne ha scritto nella sua vita e l’unico che mi porterei dovunque:
“Questo, lettore, è un libro sincero.
Ti avverto fin dall’inizio che non mi sono proposto, con esso, alcun fine,
se non domestico e privato.
Non ho tenuto in alcuna considerazione nè il tuo vantaggio nè la mia gloria.
Le mie forze non sono sufficienti per un tale proposito.
L’ho dedicato alla privata utilità dei miei parenti ed amici:
affinchè dopo avermi perduto (come toccherà loro ben presto)
possano ritrovarvi alcuni tratti delle mie qualità e dei miei umori,
e con questo mezzo nutrano più intera e viva la conoscenza che hanno avuto di me”
Montaigne, Saggi
Come non intra-vedere in queste parole del 1592 lo spirito, l’atteggiamento, la direzione biografica che oggi spinge un qualsiasi scrittore di blog?
Come sto ora facendo io.
Eppure quali differenze insormontabili!
Lì una applicazione quotidiana, senza interruzioni, senza interventi esterni a elaborare il proprio sè.
Qui, per l’appunto, una erranza fra temi, parole chiave, musiche, proposte, oggetti di riflessione diversissimi. Tutti spesso solo toccati velocemente senza una forte e profonda ricerca indaginante.
Là l’interiorità che si fa universalità.
Qui l’esteriorità dei frammenti che solo a condizione di riprendersi da se stessi in mano potrebbe diventare esperienza unitaria.
E’ il grande problema: tanti messaggi, tante informazioni, tanti stimoli. Ma poco o nulla come socializzazione e educazione a mettere assieme.
E, ripeto, siamo solo agli inizi del problema. Perchè siamo dentro la rivoluzione
Per ultimo mi resta ancora un filo di ragionamento.
E’ abbastanza chiaro che la modernità, alimentata dal mercato e dalle burocrazie, è innanzitutto rottura delle solidarietà primarie tradizionali. Famiglia in primo luogo, ma poi anche comunità locali.
Questo fa sì che tutti noi (chi più, chi meno) siamo persone sole nella moltitudine.La moltitudine dei singoli ha sostituito le relazioni primarie.
Il blog integra, quando va bene, le relazioni faccia a faccia.
Più rischioso è quando le sostituisce.
Non c’è un rapporto causa effetto del tipo: la cultura dei blog provoca un impoverimento dei rapporti faccia a faccia.
No
Piuttosto l’estensione ed i radicamento, e le Z-List e le classifiche, insomma tutto questo avvitamento su se stessi dei blog, sono un sintomo della solitudine della moltitudine
Tuttavia essi talvolta alimentano anche forme nuove di solitudine scelta.
E qui il salto esistenziale si fa duro e terribile.
Fin quando si chiacchiera più o meno amabilmente sui post e nei commenti: “Caro di qui” … “Caro di là” … “condivido” … “non sono d’accordo” … e via discorrendo (“zio caro”: e qui capisce solo chi ha letto altro) …
Dicevo fin quando si parla con i tasti nasce, cresce, l’illusione di essere in relazione. Di avere amicizie solide che rompono la solitudine.
Ma appena arriverà la caduta, la malattia, il colpo inaspettato che mette fuori gioco il corpo e la sua stessa possibilità di relazione … ecco, in quel momento, tutte queste relazioni virtuali si disfarranno nel vento.
Cesseranno immediatamente di esistere. Nè più nè meno come quando si spegne un computer.
Non ci sarà più alcuna relazione virtuale importante e necessaria ad avvicinare l’impatto di quel problema.
Ed allora saranno ancora una volta solo le relazioni primarie, quelle faccia a faccia, quelle delle famiglie sia pure disgraziate, invadenti e terrificanti, dei preti odiati e sbeffeggiati, degli insegnanti colpevolizzati, dei vicini di casa invadenti, ma forse allora rivalutati, dei volontari onnipotenti ed ingrugniti nella loro vocazione salvifica a dimostrare la loro essenzialità per tenerci assieme, male e ancora per un poco. Ma a tenerci assieme
E se anche queste relazioni franeranno (e franeranno, perchè non tengono sul medio e lungo periodo) ci saranno solo le istituzioni del welfare a darci una gruccia, un lenzuolo pulito alla mattina, dopo la merda della notte.
Le tanto disprezzare istituzioni del welfare, delle quali ci si accorge per criticarne l’insufficienza, secondo la solita logica della “caccia al colpevole”, solo quando ne abbiamo bisogno.
Ed è qui che la politica, non la politica – spettacolo, ma la politica – azione eticamente sostenuta, riacquista il suo ruolo, peso, vocazione.
Dunque, mi dico: fai il tuo blog, cura le tue relazioni, costruisci pure questi legami sottili che passano per la comunicazione dei fili. Sappi, però, che sono rapporti effimeri, labili, leggeri. E allora tieni sempre d’occhio anche le persone fisiche, concrete, visibili.
Ringrazia il caso e la natura che ti ha messo vicino una moglie che illumina e scalda i giorni.
Tuttavia, se scarseggiano i rapporti interpersonali, perchè hai un pessimo carattere, punta ancora sulle politiche di welfare e sul loro funzionamento.
Magari qualcuno, quando sarai nel letto assistito o sul deambulatore, si ricorderà che Nina Simone sa farti piangere e contemporaneamente renderti sempre felice.
E si ricorderà di infilarti una cuffia sulle orecchie e far andare in loop le sue 500 canzoni.
riporto qui una conversazione che si è presentificata su facebook, dove avevo rilanciato la scheda del libro:
mi scrive Margherita
Sembra interessante. Lo stile e l’approccio didattico è come nel precedente testo dell’autrice (Il filosofo che c’è in te), finalizzato a fornire della filosofia un’ immagine semplificata e, perché no?, un mezzo per capire il mondo e se stessi. È il manuale scolastico che tenta di rispondere alla tormentata domanda “A che serve la filosofia?” Il fatto è che la filosofia, a mio parere, non “serve”, nel senso che non dà risposte. La filosofia è ricerca, una corsa agli ostacoli che sono singoli traguardi che si susseguono l’uno dietro l’altro, un confine che si sposta ininterrottamente.
rispondo
grazie !!! hai del tutto ragione: le tue parole chiariscono benissimo i contenuti di questo libro. Io non ho, purtroppo , avuto una cultura filosofica. Da studente di un istituto tecnico (perito edile…
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Durante una forte nevicata notò che i rami di molti alberi grandi e forti si erano spezzati sotto il peso della neve.
Solo un albero aveva resistito. Era il salice. I suoi rami, flessibili, si piegavano lasciando cadere la neve.
Akiyama ebbe quindi l’intuizione che sta alla base della pratica del jujutsu tradizionale, da lui in seguito ideato. La cedevolezza, la non resistenza, la flessibilità sono anche alla base del judo (che deriva proprio dal jujutsu), dello yoga e del buddismo.
Non opporre resistenza alla realtà dei fatti è anche il principio cardine della mindfulness.
Cedevolezza non significa arrendevolezza. Il salice lascia cadere la neve e, liberatosi dal suo peso, torna alla sua forma originale.
Elogio della Cedevolezza: la Leggenda del Salice – il blog di Claudia Porta
Jutsu vuol dire arte
Ju vuol dire cedevolezza, flessiblità, gentilezza.
Jujutsu : arte della cedevolezza (in: https://mappeser.com/2020/09/16/carofiglio-gianrico-della-gentilezza-e-del-coraggio-breviario-di-politica-e-di-altre-cose-feltrinelli-2020/?fbclid=IwAR27SdGvm_0zhjagrOdIdRYA-YBTtJn3j6DnUBhtiPW6_ueQo7BCyjZ3qak