“dato che quando noi siamo vivi essa non esiste, quando si presenta non esistiamo più noi”, nella traduzione di Giulio Cesare Maggi, Epicuro e oltre. Per un’etica della felicità, Obarra edizioni, 2012

“Perciò la morte, il più temuto di tutti i mali, per noi è nulla, dato che quando noi siamo vivi essa non esiste, quando si presenta non esistiamo più noi”

da:

«Filastrocca della morte», di Mimmo Mòllica. Dedicata a Gigi Proietti nel giorno della morte

Chissà, io morirò forse domani,
triste e malato o sbranato dai cani?
Forse io me ne andrò senza parlare,
forse danzando, impegnato a ballare?
Magari morirò sotto Natale,
forse per Pasqua oppure a Carnevale?

Forse tra un anno tirerò le cuoia
ucciso dalla fame o dalla noia?

…..

Venga correndo, corra, salti, voli,
però non porti fiori né cannoli,
giacché non siamo antichi né moderni,
noi siamo il tempo, quindi siamo eterni.

vai alla intera poesia

https://parcodeinebrodi.blogspot.com/2020/11/filastrocca-della-morte-di-mimmo-mollica.html

UN PERSONAGGIO A TUTTO CAMPO: ANTONIO SPALLINO, POLITICO, INTELLETTUALE E SPORTIVO, il ricordo di Vincenzo Guarracino

SPALLINO UN RICORDO

UN PERSONAGGIO A TUTTO CAMPO: ANTONIO SPALLINO, POLITICO, INTELLETTUALE E SPORTIVO

Per molti, a Como, è rimasto “il Sindaco” per antonomasia, avendo ricoperto questa carica per tre mandati dal ’70 all’’85, interpretando la politica come servizio, con serenità e rigore, al punto da imprimere una fisionomia ben precisa alla città con interventi decisivi e fortemente innovativi (per tutti, la famosa Città Murata e la Spina Verde).

Uomo politico, sportivo, dirigente e intellettuale, era nato a Como il 1° di aprile del 1925.

Personaggio di indiscusso e prestigioso passato, è stato molte cose contemporaneamente: amministratore, politico, sportivo, dirigente, pubblicista, bibliofilo.

Impegnato in politica fin dagli anni ’60 nelle file della Democrazia Cristiana, nella quale aveva militato già suo padre, il senatore Lorenzo, è stato assessore all’urbanistica per il comune di Como dal 1965 al 1970 e poi Sindaco per tre mandati dal 1970 al 1985. Tra il ’77 e il ’79, era stato chiamato a far fronte al disastro ecologico dell’Icmesa di Seveso, in Brianza in qualità di Commissario straordinario della regione Lombardia.

Straordinaria, tra scherma e alpinismo, la sua carriera di sportivo. Nella scherma, era stato campione italiano assoluto di spada nel 1949, di fioretto nel 1958, campione del mondo a squadre di spada nel ’49 e di fioretto nel ’54 e ’55, e inoltre aveva vinto tre medaglie olimpiche, tra Helsinki nel ’52 e Melbourne nel ’56.

Nell’alpinismo, aveva fatto due scalate direttissime, l’una su roccia (1955), l’altra su ghiaccio (1956), nel gruppo dell’Ortles, in Alto Adige.

Come dirigente sportivo, era stato Presidente dapprima del Panathlon club di Como dal ’70 al ’74, e successivamente del Panathlon International dall’’88 al ’96, oltre che vice presidente del Comitato Internazionale “fair play”.

Presidente del Centro di Cultura Scientifica “A.Volta”, fin dalla sua origine nel 1981, è stato autore di importanti pubblicazioni che abbracciano ambiti diversi: dall’urbanistica, alla scherma, alla critica letteraria, alla poesia, alla bibliofilia.

Tra questi, vanno ricordati: Una frase d’armi (1997), sulla sua carriera di sportivo, “Ma perché tu non mi creda libero” (2001), sull’amore per i libri, e La Bibliothèque Moselliana. Les livres d’escrime (2005), monumentale compilazione su quanto è stato scritto nel tempo sul tema della scherma; oltre ciò, una raccolta di liriche, Le sepolte voci (1992), e la rivista di poesia e di critica letteraria “Sentimento”, di breve ma luminosa vita, pensata e realizzata nell’immediato dopoguerra, nel 1946, assieme ad alcuni amici (tra i quali, Francesco Somaini e Morando Morandini).

Nel 1995 gli era stata assegnata dalla città di Como l’onorificenza dell’Abbondino d’oro.

Poliedrico e versatile, dunque, dalle molteplici  applicazioni e competenze in ambiti diversi e apparentemente contrastanti, in ognuno rivelandosi capace di far tesoro dell’esperienza acquisita per riversarla in un armonico insieme.

Con in più il dono di saper coltivare e trasmettere un patrimonio di memorie, suo e di un’intera generazione, per mezzo della scrittura, lasciando trasparire attraverso la sua filigrana la dote di talenti ricevuti e posti a frutto e tali da comunicare agli altri la forza e ricchezza del suo stesso sistema di valori.

Il tutto, restando sempre fedele a una propria riconoscibile cifra esistenziale, intellettuale e soprattutto morale, corroborato da una serena fede fondata sui valori essenziali, quelli che lo sostenevano a livello intimo e privato ed erano non meno necessari nella vita pubblica: volontà di capire per incidere e cambiare, con competenza tecnica e sensibilità sociale, in una prospettiva trascendente, cercando di conciliare realismo e utopia, senza comunque farsi illusioni sui risultati del suo impegno, consapevole com’è dell’arditezza della sua sfida e rispettoso sempre della qualità dei suoi interlocutori.

VINCENZO GUARRACINO


Antonio Spallino 1925-2018) è stato ed E’ un grande

 

Stile è riuscire a portare bene un peso assegnato.
Significa reggere tale peso tentando di utilizzare in maniera concentrata tutte le energie disponibili, anche e soprattutto quelle minime.
Stile è quell’obbligo morale che dovremmo imporci per essere all’altezza delle situazioni e delle attese.
Stile è la capacità di comprendere e agire con equilibrio, adattando la propria forza ai compiti che ci aspettano.
Giovano ancora in questo augurio due antiche esortazioni.
Age quod agis, “Fai bene quello che stai facendo”, dicevano i latini.
Ne quid nimis, “Nulla di troppo, senza esagerare”, dicevano i greci e, ancora, ci hanno riportato i latini.
In queste massime ci sembra di trovare un invito alla moderazione ed al controllo più che mai adatti alla situazione del momento.
La consapevolezza dei nostri limiti ci potrebbe aiutare ad accettare e comprendere anche le altrui limitatezze e a rimanere all’interno di un gioco delle regole che è la sola garanzia di sopravvivenza.
Nota: i riferimenti linguistici sullo stile sono tratti dal libro di Vincenzo Guarracino, Antonio Spallino, uomo, amministratore, sportivo, intellettuale, Casagrande editore, Lugano 2013

 

Spallino

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Sulla figura di intellettuale e politico di ANGELO SPALLINO, ricordo anche questo libro:

Le regole del gioco
titolo Le regole del gioco
sottotitolo Carlo Ferrario intervista Antonio Spallino
autore Carlo Ferrario
Antonio Spallino
editore NodoLibri

vai a: http://www.nodolibrieditore.it/scheda-libro/carlo-ferrario-antonio-spallino/le-regole-del-gioco-9788871850191-156048.html

Spallino

“Momenti. La nostra vita è una serie di momenti. Ognuno di questi è un viaggio fino alla fine. Lasciamoli andare. Lasciamoli andare tutti”. Dal film: Now Is Good di Ol Parker con Dakota Fanning, Olivia Williams, Kaya Scodelario, Jeremy Irvine


“Momenti. La nostra vita è una serie di momenti. Ognuno di questi è un viaggio fino alla fine.

Lasciamoli andare.

Lasciamoli andare tutti”


dal film:

Now Is Good

di Ol Parker con Dakota Fanning, Olivia Williams, Kaya Scodelario, Jeremy Irvine. .

Sorgente: Frasi dal film Now Is Good | MYmovies

 

stralci dal film

https://www.youtube.com/results?search_query=Now+Is+Good+di+Ol+Parker+con+Dakota+Fanning

Roberto Herlitzska legge: CONGEDO DEL VIAGGIATORE CERIMONIOSO di Giorgio Caproni da: Antologia personale di Vittorio Gassman – Poesia italiana dell’Ottocento e del Novecento, Luca Sassella editore, 2000

Ascolta l’audio

Amici, credo che sia
meglio per me cominciare
a tirar giù la valigia.
Anche se non so bene l’ora
d’arrivo, e neppure
conosca quali stazioni
precedano la mia,
sicuri segni mi dicono,
da quanto m’è giunto all’orecchio
di questi luoghi, ch’io
vi dovrò presto lasciare.

Vogliatemi perdonare
quel po’ di disturbo che reco.
Con voi sono stato lieto
dalla partenza, e molto
vi sono grato, credetemi
per l’ottima compagnia.

Ancora vorrei conversare
a lungo con voi. Ma sia.
Il luogo del trasferimento
lo ignoro. Sento
però che vi dovrò ricordare
spesso, nella nuova sede,
mentre il mio occhio già vede
dal finestrino, oltre il fumo
umido del nebbione
che ci avvolge, rosso
il disco della mia stazione.

Chiedo congedo a voi
senza potervi nascondere,
lieve, una costernazione.
Era così bello parlare
insieme, seduti di fronte:
così bello confondere
i volti (fumare,
scambiandoci le sigarette),
e tutto quel raccontare
di noi (quell’inventare
facile, nel dire agli altri),
fino a poter confessare
quanto, anche messi alle strette
mai avremmo osato un istante
(per sbaglio)’ confidare.

(Scusate. E una valigia pesante
anche se non contiene gran che:
tanto ch’io mi domando perché
l’ho recata, e quale
aiuto mi potrà dare
poi, quando l’avrò con me.
Ma pur la debbo portare,
non fosse che per seguire l’uso.
Lasciatemi, vi prego, passare.
Ecco. Ora ch’essa è
nel corridoio, mi sento
più sciolto. Vogliate scusare.)

Dicevo, ch’era bello stare
insieme. Chiacchierare.
Abbiamo avuto qualche
diverbio, è naturale.
Ci siamo – ed è normale
anche questo – odiati
su più d’un punto, e frenati
soltanto per cortesia.
Ma, cos’importa. Sia
come sia, torno
a dirvi, e di cuore, grazie
per l’ottima compagnia.

Congedo a lei, dottore,
e alla sua faconda dottrina.
Congedo a te, ragazzina
smilza, e al tuo lieve afrore
di ricreatorio e di prato
sul volto, la cui tinta
mite è sì lieve spinta.
Congedo, o militare
(o marinaio! In terra
come in cielo ed in mare)
alla pace e alla guerra.
Ed anche a lei, sacerdote,
congedo, che m’ha chiesto se io
(scherzava!) ho avuto in dote
di credere al vero Dio.

Congedo alla sapienza
e congedo all’amore.
Congedo anche alla religione.
Ormai sono a destinazione.

Ora che più forte sento
stridere il freno, vi lascio
davvero, amici. Addio.
Di questo, sono certo: io
son giunto alla disperazione
calma, senza sgomento.

Scendo. Buon proseguimento

da:  Antologia personale di Vittorio Gassman – Poesia italiana dell’Ottocento e del Novecento, Luca Sassella editore, 2000

Paolo Ferrario, Como, 1948 – Disposizioni anticipate di trattamento e consenso informato in caso di malattia invalidante e grave

Paolo Ferrario, Como, 1948 –

Disposizioni anticipate di trattamento

e consenso informato in caso di malattia invalidante e grave

Scritto il 8  Ottobre 2008, confermato e aggiornato il 15 dicembre 2017 (dopo l’approvazione della  LEGGE 22 dicembre 2017, n. 219) e poi ancora il 5 febraio 2019.

“Ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, con le stesse forme di cui al comma 4, qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso. Ha, inoltre, il diritto di revocare in qualsiasi momento, con le stesse forme di cui al comma 4, il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento. Ai fini della presente legge, sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici.”, articolo 1 della LEGGE 22 dicembre 2017, n. 219

Io sottoscritto, Paolo Ferrario, nato a Como il 26 novembre 1948 e residente in questa città, nel pieno possesso delle mie facoltà mentali e fisiche, dichiaro quanto segue.

Potrebbe accadere che, a un certo punto della mia vita, mi venga a trovare in uno stato di malattia allo stadio terminale, coma irreversibile, morte cerebrale e, in generale, in un qualsiasi stato fisico nel quale la mia sopravvivenza sia legata all’utilizzo non temporaneo di macchine o altri sistemi artificiali, compresa l’alimentazione e l’idratazione forzata.

Nel caso fossi nelle condizioni di esprimere il mio consenso informato sono certo che non accetterei una degradazione corporea oltraggiosa per il mio sentimento della dignità personale. E, dunque, rifiuterei le “cure”.

Nel caso, invece, in cui fossi impossibilitato a esprimere la mia volontà, chiedo ora a mia moglie, alle persone che mi hanno conosciuto, al personale di assistenza che incontrerò, ai detestabili comitati di bioetica che vorrebbero decidere per me, al giudice che sarà chiamato ad emettere una sua sentenza, un gesto di compassione (nel senso di “comunanza di dolore”).

Ritengo che ogni forma di accanimento terapeutico che venisse praticato contro la mia volontà  sia un atto di crudeltà, lesivo della mia dignità di essere umano. Di conseguenza, considero la sospensione di tali trattamenti come un gesto di compassione.

Ho paura della morte, e ancora più della sofferenza, tanto più se inutile e indotta da tecnologie mediche (delle quali apprezzo immensamente i progressi scientifici e tecnici) ormai impossibilitate a consentire una qualità di vita accettabile alla mia sensibilità psicologica ed esistenziale. Vorrei tuttavia poterla accogliere come un lungo ed eterno sonno dove le molecole momentaneamente aggregate nel mio attuale corpo si stanno riaggregando in altre forme di vita. Là, nell’infinito che mi pre-esisteva e che continuerà oltre il mio temporale Io.

Considero l’essere tenuto in vita da un macchinario che si sostituisce permanentemente alle mie funzioni vitali una violenza da me non voluta che ritarda l’appuntamento che comunque mi aspetta, come per qualunque essere vivente.
Il corpo che ho avuto in prestito in vita lo cedo per trapianti. Nel caso incerto che ci fosse ancora qualcosa di utilizzabile

Per quello che potrà contare, lascio, infine, questa volontà.

Non vorrò funerali alla mia morte.

Le regole burocratiche decidano dove dovranno andare le mie ceneri. Mi piacerebbe che fossero restituite alla terra, nel luogo che più ho amato, oppure al lago che non ho mai abbandonato in tutto il corso del tempo che il  destino mi ha affidato.

La morte è la soglia inevitabile che attende ciascuno.

Le religioni pretendono di parlare di una ipotetica vita che ci sarà oltre quella soglia. La loro parola è violenza, essendo le religioni le prime “omicide” di ogni uomo che, da “essente” è destinato alla “gioia”, prima ancora che esse volessero far valere il loro bisogno di dominio attraverso i loro mostruosi “ministri”

Al mortale non è dato sapere cosa effettivamente ci sarà. Conta solo e soltanto il tempo presente e il ricordo. Tempo presente e ricordo conducono agli “eterni”. Non c’è bisogno di religioni

L’unica cosa che effettivamente possiamo fare è dare grande importanza all’ogni attimo che si manifesta prima di quella soglia.

Le persone vanno trattate bene, o male, prima della morte. Prego, dunque, che mi sia socialmente risparmiata l’ipocrisia del falso cordoglio funebre nei riti dei funerali

Paolo Ferrario

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Emanuele Severino commenta il SECRETUM di Francesco Petrarca, da Radio 3 Suite, 2004, Audio di cinque ore, da Antologia del Tempo che resta

vai a: Emanuele Severino commenta il SECRETUM di Francesco Petrarca, da Radio 3 Suite, 2004, Audio di cinque ore « Antologia del Tempo che resta.

JAMES HILLMAN, «Sto morendo,ma non potrei essere più impegnato a vivere», l’ultima intervista a SILVIA RONCHEY, in TuttoLibri 29 ottobre 2011



«Sto morendo,ma non potrei essere più impegnato a vivere». Così aveva scritto, nella suaultima mail. E così l’ho trovato, quando sono andata a salutarlo per l’ultimavolta nella sua casa di Thompson, nel Connecticut, pochi giorni prima chemorisse: il fantasma di se stesso, ma incredibilmente vitale; il corpo fisicoridotto al minimo, quasi mummificato, tutto testa, pura volontà pensante.Restare pensante era la sua scommessa, la sua sfida. Per questo aveva ridottoal minimo la morfina, a prezzo di un’atroce sofferenza sopportata con quellache gli antichi stoici chiamavano apatheia: un apparente distacco dalla paura edal dolore che traduceva in realtà un calarsi più profondo in quelle emozioni. L’unica cosa che contava era analizzareistante dopo istante se stesso e quindi la morte come atto oltre che nella suaessenza. Se Steve Jobs, morendo, ha lasciato detto «stay hungry, stayfoolish», l’ultimo insegnamento di James Hillman può riassumersi così: «Restapensante» fino all’ultima soglia dell’essere
Il tempo qui sembra fermo, lelancette puntate sull’essenza ultima.
«Oh, sì.Morire è l’essenza della vita».
Com’è morire?
«Uno svuotamento. Si comincia svuotandosi. Ma, si potrebbe chiedere, checos’è o dov’è il vuoto? Il vuoto è nella perdita. E che cosa si perde? Io nonho “perso” nel senso comune di “perdere”. Non c’è perdita in quel senso. C’è lafine dell’ambizione. La fine di ciò che si chiede a se stessi. E’ moltoimportante. Non si chiede più niente a se stessi. Si comincia a svuotarsi degliobblighi e dei vincoli, delle necessità che si pensavano importanti. E quando queste cose cominciano a sparire, restaun’enorme quantità di tempo. E poi scivola via anche il tempo. E si vive senzatempo. Che ore sono? Le nove e mezza. Di mattina o di sera? Non lo so».
E’ unacondizione perseguita dai mistici.
«Oh sì, dall’induismo per esempio, gli induisti nescrivono. Ma in questo caso è tutto unwillkürlich, involontario. E’accidentale».
Comunque noncredo non ti sia rimasta nessuna ambizione.«Davvero?» [Apre di scatto gli occhifinora socchiusi, con un lampo azzurro di sfida.]
Ti restaquella degli antichi romani: lasciare il tuo pensiero ai posteri.
«E’ vero. E’ molto importante per me che il miopensiero rimanga. Ma la parola posteri mi rimanda a postea, a un dopo, a unfuturo, in cui non voglio essere trasportato adesso».
Perché esistisolo al presente.
«Sì, e voglio tenere chiusa la porta con ilcartellino “Exitus”. La potrò aprire a un certo punto, quando capirò come farlonel modo giusto. [Tenta di scuotere il capo, ma il dolore lo ferma]. Non sapreiora come aprire quella porta senza che ne dilaghi una folla di creaturine chevogliono qualcosa. Molti degli antichi filosofi ne sono stati catturati,probabilmente tu sai chi lo è stato più degli altri. Io non voglio. Il miocompito è dialogare e tenere il dialogo aperto su quel che accade momento permomento. Il mio è piuttosto un reportage. Dal vivo. Dal vero»
Non potrebbeessere altrimenti: o non fai il reportage – come la maggior parte di chi sitrova nella tua condizione – oppure ciò che riferisci è la verità. E penso chetutti siano affamati di questa verità.
«Tutti sono affamati di morte. La nostra cultura lo è. Io, qui, comevedi, ne parlo continuamente. Ma non la esprimo. Perché nella morte io sonoimpegnato. Non voglio uscirne, per esprimerla, per vederla o guardarla intrasparenza. Non cerco di formularla. Ogni tanto si realizza qualcosa che mi porta in unaltro luogo dal quale posso osservarla. Magari anche di riflesso. Ogni sorta dicose si riflettono in questa introspezione, ma non l’attività essenziale di ciòin cui sono impegnato [ossia l’atto del morire]. Il tempo che mi dò è il qui eora».
Capisco
«E’ molto importante ciò che semplicemente il giorno ci dà, ogni singolacosa che si realizza durante il giorno. La persona, l’osservazione che hafatto, l’odore dell’aria in quel momento. E queste cose hanno bisogno di accettazione,di ricognizione, di riconoscimento... Adesso non ho ancora la parolagiusta. Ma trovare le parole è magnifico. Trovare la parola giusta è così importante. Leparole sono come cuscini: quando sono disposte nel modo giusto alleviano ildolore».
E il dialogoaiuta a trovarle?
«Sì, e mi rende così felice. Sai, da qualche tempole persone vengono da me come se avvertissero in me il richiamo di quel vuotodi cui parlavo. Se io non fossi così vuoto, non verrebbero».
Come unrisucchio che attira.
«Dev’essere così».
O unacondizione di saggezza?
«No. Una calamita. Cercano qualcosa cuiattaccarsi. Vogliono qualcosa, ed è la mia capacità di cristallizzare eformulare. Due parole che sono usate per una delle ultime fasi dell’alchimia.Cristallizzazione e formulazione. Le persone sono in pessima forma di questitempi, il mondo è in pessima forma. E in qualche modo il mio avere trovatoqualche solidità li attrae.
Ma nonparlavi di vuoto?
«Sì. Il mio stato di svuotamento esprime qualcosache non avevo finora realizzato e che può riassumersi nella parola coagulatio.Due princìpi governano tutti i processi alchemici: la coagulatio e ladissolutio. Coagulatio in alchimia significa rapprendersi in un punto,diventare più solidi, più definiti, formati, dotati di morphe. Ora l’interoprocesso che sto attraversando è la coagulazione della mia vita nel tempo. Mala coagulatio è sempre seguita dalla dissolutio. Che è esattamente ilcontrario: dissoluzione, le cose che si separano, si sciolgono, perdono la lorocapacità di definirsi. La cosa interessante è che improvvisamente questo spiegai miei sintomi. Non faccio che pensare, morbosamente, che sto affondando sempredi più, che mi sto dissolvendo. Ma le due cose, dissoluzione ecoagulazione, sono inscindibili. Non è fantastico? Non ci avevo riflettutofinché non mi è venuta per la prima volta in mente la coagulatio. E larubefactio, che permette alla bellezza di mostrarsi. Così ora sono una personadiversa. Non avevo mai percepito queste cose dentro di me. O non le avevo mairiconosciute. Prima, non avevo mai saputo chi ero».
Da dove vienequesta consapevolezza?
«Oh, decisamente dal morire».
Ti dici«impegnato nel morire». Vuoi arrivare alla morte in piena consapevolezza. Ma,come diceva Epicuro cercando di spiegare perché non bisogna averne paura, «seci sei tu non c’è la morte, e se c’è la morte non ci sei tu». «Esatto».
Mi stodomandando se allora questo tuo morire non sia un’intensificazione del vivere.«Assolutamente sì, non c’è il minimo dubbio. Quando la morte è così vicina lavita cresce, si esalta. Ne sono certo. Ma non vorrei essere presuntuoso».
In chesenso?«Orgoglio, arroganza, hybris: attenzione a non peccare contro gli dèi.Mai, in nessuna occasione».
Certo, ma noncredo che la tua sia hybris. Credo sia puro coraggio affrontare la morte aocchi aperti. E’ raro, ed è per questo che il tuo reportage è così prezioso.«E’prezioso, sì. Mi sto rendendo conto di qualcosa che non avevo mai realizzatoprima. Ha a che fare con un certo argomento di cui Margot ed io dovremo parlareprima, una certa decisione che io potrei prendere. Sai, nel mondo di oggi mi èconsentito, come lo sarebbe stato nel mondo greco».
Capisco a cosa alludi.
«Ma il punto è che dovrei mettermi nelle loromani, e sarebbero loro a decidere. In qualche modo io sarei il loro strumento,non loro il mio. Intendiamoci, lo spero. Ma sarebbero loro a informarmi quand’èil mio momento. Oppure potrei prenderlo nelle mie mani, che sono lo strumentoclassico: la mano [Hillman fa il gesto di trafiggersi il petto], o la vasca dabagno, come Petronio. Ma il fatto è che l’intera cerimonia – perché ladefinirei così – non è ancora lontanamente immaginabile. O meglio, l’idea èimmaginabile, dato che ne sto parlando ora. Ma c’è un’altra idea, sempreantica, che in qualche modo contrasta. Primum nil nocere. Primo, non fare delmale. [Si tratta del giuramento di Ippocrate.]
E allora,qual è la decisione migliore? che ne pensi?
Gli antichi stoici dicevano, a proposito delsuicidio: “C’è del fumo in casa? Se non è troppo resto, se è troppo esco.Bisogna ricordarsi che la porta è sempre aperta”. Evidentemente, la tua casanon è ancora piena di fumo. Quando lo sarà, lo sentirai.
«Riuscirò a sentirlo?»
Forse tisentirai confuso. Quello che so è che ora stai respirando, non c’è fumo nel tuocervello, nella tua psiche, nella tua anima. Quando ci sarà, forse prenderai inconsiderazione il suggerimento degli stoici. Non sei forse un pagano? non haiallenato per tutta la vita il tuo istinto a percepire le epifanie degli dèi?
«Oh sì che sono un pagano. E’ questo il punto».
E’ paganaanche la tua percezione della bellezza, del grande teatro verde della naturache hai scelto per questa tua ars moriendi, questa tua arte pagana del morireche è anche, o anzi è soprattutto un’arte estrema del vivere.
«Non mi piace definirla un’ars moriendi. E’ piuttosto un’arte dellostare in prossimità dell’essere, tenersi più stretti possibili a ciò che è».
fonte: LaStampa Tuttolibri, 29 ottobre 2011

Testamento biologico in vita – Living Will

Nessuno è tanto vecchio
 che non creda di poter vivere
ancora un anno

Cicerone
Tuttavia, a scanso di equivoci, in luogo esposto al pubblico ed accessibile ho scritto il mio testamento biologico in vita.

Io sottoscritto, … , nato a … il  … , nel pieno possesso delle mie facoltà mentali e fisiche, dichiaro quanto segue.
Potrebbe accadere che, a un certo punto della mia vita, mi venga a trovare in uno stato di morte cerebrale, coma irreversibile, malattia allo stadio terminale e in generale in qualsiasi stato in cui la mia sopravvivenza sia legata all’utilizzo non temporaneo di macchine o altri sistemi artificiali.
Nel caso in cui fossi impossibilitato a esprimere la mia volontà, chiedo ora a mia moglie (unico familiare che ho e che  spero avrò), alle persone che mi hanno conosciuto, al personale di assistenza che incontrerò, ai detestabili comitati di bioetica che vorrebbero decidere per me, al giudice che sarà chiamato ad emettere una sua sentenza, un gesto di compassione.
Faccio mia la definizione di “compassione” – nella sua accezione buddhista di “un sentimento considerato portatore, per ogni essere senziente, del desiderio del bene per gli altri“.
Ritengo ogni forma di accanimento terapeutico come un atto di crudeltà, lesivo della mia dignità di essere umano. Di conseguenza, considero la sospensione di tali trattamenti come un gesto di compassione.
Ho paura della morte, e ancora più della sofferenza, tanto più se inutile e indotta dalle tecnologie mediche. Vorrei tuttavia poterla accogliere come un lungo ed eterno sonno dove le molecole momentaneamente aggregate nel mio attuale corpo si stanno riaggregando in altre forme di vita.
Considero l’essere tenuto in vita da un macchinario una violenza non voluta che ritarda l’appuntamento che comunque mi aspetta, come per qualunque essere vivente.
Il corpo che ho avuto in prestito in vita lo cedo per trapianti.
Il resto vorrei che fosse cremato, e le mie ceneri restituite alla terra, nel luogo che più ho amato, oppure al lago che non ho mai abbandonato in tutto il corso del tempo.

8 Ottobre 2008

    Commenti inviati al vecchio Blog:

    #1 08 Ottobre 2008 – 18:35
     
    Sono donatore di midollo osseo e di organi. So già quale sarà la tua risposta, ma visto che non ho mai lasciato nulla di scritto, a scanso di ulteriori spiacevoli equivoci, posso fare un copia/incolla per uso strettamente privato?
    Lo stampo, poi lo lascio alla mia dolce metà (che oggi tanto dolce non è).

    Saluti,
    Addison.

    PS – anche se dici no, lo faccio lo stesso 😀
    PS2 – Yoav pare proprio buono.

    utente anonimo

    #2 08 Ottobre 2008 – 18:42
     
    certo, caro addison
    io stesso ho rimaneggiato secondo la mia personalità un testo che mi ha particolarmente colpito
    è da tempo che rumino questa idea di contribuire in qualche modo alla discussione che si è finalmente aperta in parlamento
    quanto alla moglie, fra qualche ora mettete a letto i vostri splendidi figlia, andate a letto anche voi, e ascoltate Yoav facendo l’amore.
    dovrebbe funzionare
    Utente: AMALTEO  Contattami Guarda il mediablog (foto, audio e video) di questo utente. AMALTEO

    #3 08 Ottobre 2008 – 19:44
     
    Caroamalteo, il tuo testo è proprio ben congeniato ed efficace. Anch’io ne approfitterò per un copia/incolla. Potrò diffonderlo solo a corto raggio, con il passa parola, tra coloro che condividono questa scelta, non avendo un blog. Ma se avessi un blog me lo stamperei bene in vista tra i pulsantini delle “utilità”. Molti blog = più probabilità di sostenere una buona causa. Grazie, un affettuoso abbraccio, maf
    utente anonimo

    #4 08 Ottobre 2008 – 19:48
     
    Mah, non so che dire!
    L’unico mio desiderio è quello di essere cremato… il resto è già scritto.

    Rino, certo del dubbio.

    utente anonimo

    #5 08 Ottobre 2008 – 22:26
     
    Finalmente ti mostri in fotografia in tutto il tuo splendore (i doni della pre-vecchiaia!).
    Il documento e tutto il resto meritano una pausa di riflessione lunga. Ci penso da tempo. In parte ho provveduto già. Un testamento biologico è serio. Subito dopo, musica di Nina e amore, come suggerisci tu al tuo amico addison.
    Utente: Kensington2008  Contattami Guarda il mediablog (foto, audio e video) di questo utente. Kensington2008

    #6 09 Ottobre 2008 – 07:39
     
    ciao maf
    grazie per la visita e le parole gradite.
    sì, il testamento di vita (che sul sito professionale ho reso pubblico con firma) è sia una mia personale convinzione che un contributo alla discussione parlamentare che si è finalmente aperta.
    fra i tre soggetti che hanno qualcosa da dire in tema di etica della responsabilità (l’Io, lo Stato, Dio) propendo nettamente per la libertà individuale. anche se sono in ascolto attento e non prevenuto nei confronti di coloro che argomenta con “Dio” e tecnicamente interessato a come verranno scritte le regole.
    in assenza di regole, tuttavia, ritengo azione strategica COMUNQUE scrivere e depositare un testamanto biologico in vita
    la situazione del povero beppino englaro è proprio quella di non avere neppure una pezza di appoggio per le decisioni di eluana. lo racconta qui: beppino englaro ed elena nave, Eluana. la libertà e la vita, rizzoli.
    un caro saluto, cara maf
    spero in buoni giorni per te
    Utente: AMALTEO  Contattami Guarda il mediablog (foto, audio e video) di questo utente. AMALTEO

    #7 09 Ottobre 2008 – 07:43
     
    ciao rino
    il dubbio è il pane dei saggi.
    diciamo che io sono molto interessato a quello che avviene PRIMA della cremazione.
    e dolorosamente per nulla interesato a quello che avviene DOPO
    grazie per essere presente sui miei sentieri
    Utente: AMALTEO  Contattami Guarda il mediablog (foto, audio e video) di questo utente. AMALTEO

    #8 09 Ottobre 2008 – 07:53
     
    caro gabriele
    grazie per il riferimento allo “splendore”.
    certamente è splendido essere arrivato a questo tratto di vita che chiamiamo pre-vecchiaia e di poterlo fare in quel posto che mi sopravviverà.
    più sopra ho spiegato le mie ragioni: personali e contemporaneamente politiche.
    comprendo che spesso fai riferimento alla tua tendenza a PERSONALIZZARE i rapporti che si instaurano sulla rete.
    vorresti che le persone si incontrassero coni loro veri nomi come fai tu e anche con i loro corpi.
    il fatto che io mi mimetizzi nella identità di amalteo e che quella vera sia tutelata (salvo per pochi amici e per gli esperti di indagine informatica) dipende da un patto con mia moglie.
    teme (e io pure) che qualche imbecille politizzato mi faccia del male per le sempre più mie consolidate idee sulla pericolosità della cultura islamica e per i loro comportamenti aggressivi.
    su questo argomento la penso come la lega nord. senza sì e senza ma.
    qui ci sono le fotografie (abbastanza sfumate) ma il nome no.
    l’aggressore del pianerottolo deve ancora aspettare
    quanto all’incontro dei corpi conj i veri amici è tutta un’altra cosa.
    vedrai che prima o poi ci incontreremo faccia faccia noi pre-vecchi del 1948. seconda metà del novecento
    un caloroso saluto 
    Utente: AMALTEO  Contattami Guarda il mediablog (foto, audio e video) di questo utente. AMALTEO

    #9 09 Ottobre 2008 – 09:20
     
    la lettura ha suscitato molti sentimenti in me, che per pudore e paura non riesco a verbalizzare, né mi sentirei di farlo coram populo,
    ma voglio dirti che apprezzo molto il tuo gesto che definisco di coraggio molteplice (e non solo di coraggio intellettuale), quello che dici e le foto mi dicono di te mi danno impressioni, intuitive certo, ma molto toccanti, dicono della fragilità e della grandezza e che di tutt’e due bisognerebbe farsi carico e tu, credo, che lo faccia e dicono che gli scogli della realtà, come ebbe a dire quel genio (malinconico pure lui!) tu non li schivi e non ti arrampichi sugli specchi per schivarli con lo stordimento della maniacalità in tutte le sue barocchissime e specializzatissime forme, tutte volte ad un unico fine: evitare il dolore del pensare..ecco credo che dietro a questa assunzione di responsabilità ci sia un gran lavoro personale di elaborazione del lutto e della perdita ed il bello e quel che conta infine è che non sia disgiunto dalla gioia selvaggia di farsi inondare da una voce tanto amata e ancora di riuscire testimoniare come si può la bellezza dell’esistere..
    celebrare la vita esserne capaci..Amalteo ti sento amico pur non conoscendoti e con un po’ di commozione ti mando un abbraccio
    Utente: papaverodicampo Contattami Guarda il mediablog (foto, audio e video) di questo utente. papaverodicampo

    #10 09 Ottobre 2008 – 09:46
     
    cara papavero
    pure io ti sento amica.
    mi piacciono le tue passeggiate nelle campagne senesi, la tua seminagione di haiku, le tue escursioni nel pensiero psicanalitico.
    tutti segni di percorso cosciente (ma attento all’inconscio) nel cammino del vivente.
    hai colto bene il mio sentimento rispetto alla questione (la vera QUESTIONE di ogni vivente).
    intra-vedere la fine, amare la vita, avere paura, desiderare che tutto sia come un sogno
    sperare che là dove finiranno le mie molecole ci sia il sorriso di luciana e la voce di nina simone. questi ultimi sogni umanissimi, di cui la natura – lo so – non terrà alcun conto
    ciao e grazie
    Utente: AMALTEO  Contattami Guarda il mediablog (foto, audio e video) di questo utente. AMALTEO

    #11 09 Ottobre 2008 – 17:59
     
    … sarebbe la conclusione VERA di una vita VERA.. di te, caro amalteo, che stai vivendo pienamente la vita.. e vuoi lasciarla pienamente e consapevolmente.. con un dono totale a questa vita.. con il dono degli organi perchè altri abbiano la possibilità di vivere.. la vita è questa che conosci.. non ne vuoi un’altra vissuta nella crudeltà..
    è uno scritto molto luminoso, il tuo.. uno scritto di una persona molto libera che dona la ricchezza della sua vita ad altri sia fisicamente che moralmente.
    Grazie.

    E io? .. devo fare ancora un po’ di conti con me stessa, con la concezione di vita che “mi è stata messa dentro”.. devo ancora mettermi a nudo, io, con le mie consapevolezze.. nella libertà.. quando riesco ad acquisirla dentro di me.. 

    Utente: Prisma2002  Contattami Guarda il mediablog (foto, audio e video) di questo utente. Prisma2002

    #12 09 Ottobre 2008 – 19:25
     
    cara prisma
    sono i confini della vita e della non vita che sono cambiati e che cambiano ogni giorno.
    è un processo storico del vivente appena cominciato (uso la locuzione “vivente” avendo come punto di attenzione il film Genesis che mi hai donato e gli studi della montefoschi. studi fondanti e definitivi)
    la situazione richiede uno sforzo di soggettività.
    per me la soggettività sarà (spero il più tardi possibile) di poter decidere del corpo che mi è stato assegnato.
    l’ho usato ed amato come ho potuto.
    ma, giunto al limite, non voglio forzare artificialmente un processo che è naturale.
    immagino che ricorderai quella lunga conversazione sul tempo che resta.
    un testamento è un atto che definisce la mia volontà.
    attualmente non c’è una legislazione adeguata.
    però si può dichiarare, in vita, quella che sarebbe la propria volontà
    ciò detto, mia cara, vorrei continuare a vivere la mia splendida pre-vecchiaia
    grazie per il tuo intervento e grazie ancora per il tuo tenere vivo il ricordo della nostra nina simone 
    Utente: AMALTEO  Contattami Guarda il mediablog (foto, audio e video) di questo utente. AMALTEO

    #13 10 Ottobre 2008 – 07:28
     
    egregio signor pinoamoruso
    ho cancellato immediatamente il suo commento
    avrei preferito che la sua ennesima petizione non fosse stata appicicata al mio testamento biologico.
    vada a distribuire i suoi volantini in un’altra piazza
    Utente: AMALTEO  Contattami Guarda il mediablog (foto, audio e video) di questo utente. AMALTEO

    #14 10 Ottobre 2008 – 17:23
     
    Niccolò, il piccolo (10 anni), ha visto la lettera e l’ha voluta leggere. La moglie mi ha detto che si è messo a piangere.
    Tenerissimo.
    Ho dovuto spiegare i motivi.
    Non è stato semplice.
    Saluti,
    Addison.
    utente anonimo

    #15 10 Ottobre 2008 – 19:02
     
    gli psicologi dicono che i bambini devono sapere che esiste il problema della morte.
    alcuni di loro, oltretutto, l’hanno dovuta affrontare (parlo di bambini che hanno avuto dei lutti).
    capisco la vostra difficoltà di genitori (la fotografia che esponi nel tuo blog parla di un piccolo molto affettuoso che si appoggia anche ad un fratello altrettanto affettuoso) ma non credo che sia stato male parlarne.
    il “parlare” è la nostra forma di comunicazione più alta. quella per cui siamo “umani”
    usare le parole anche per questo – a mio avviso – è comunque parte integrante di un processo educativo.
    Anzi: è indizio di grande senso di responsabilità da parte vostra.
    mi dispiace molto per nicolò.
    ma sono certo che avrete fatto quello che era necessario e utile per rassicurarlo
    un caro saluto , caro addison
    Utente: AMALTEO  Contattami Guarda il mediablog (foto, audio e video) di questo utente. AMALTEO

    #16 13 Ottobre 2008 – 18:58
     
    condivisibile in larga parte… ma non pensare a queste cose Amalteo, lunghi anni in salute e gioia ti aspettano! Un abbraccio
    Utente: Asoka  Contattami Guarda il mediablog (foto, audio e video) di questo utente. Asoka

    #17 14 Novembre 2008 – 12:57
     
    questa parte di un tuo commento ci sta bene anche qui:

    “… noi sappiamo che diventeremo di nuovo granelli di rena. a questo siamo adattati. lo sa anche il nostro corpo che rinnova incessantemente le cellule. […]
    … per insondabile legge
    ciò che più arde
    più resta

    lasciare traccia
    ma non solo nei blog (strumenti moderni del voler lasciare traccia) o nella memoria dei vivi
    lasciare traccia dentro la stessa materia
    cioè attraverso le nostra molecole, disfatte e ricostituite in altre forme del vivente”…

    GRAZIE

    Utente: Prisma2002  Contattami Guarda il mediablog (foto, audio e video) di questo utente. Prisma2002

    Non ci sono più: il pianista svedese Esbjorn Svensson del trio EST

    questa mattina abbiamo ricevuto questa tristissima notizia dalla direzione EST sul pianista svedese Esbjorn Svensson del trio EST:

    Esbjorn Svensson muore il 14 giugno 2008 in un incidenteper una immersione sub.

    Sapendo che anche tu sei un  accanito ammiratore di questo complesso ispiratore e delle loro consistenti e brillanti performances, nel corso degli anni, per IMC a Vicar Street, ti chiediamo di unirti a noi dimostrando tutta la nostra più profonda partecipazione alla famiglia Esbjorn e ai colleghi del suo trio Dan Berglund e Magnus Ostrum.

     

    Il pianista e compositore svedese Esbjorn Svensson è morto in un incidente sabato 14 giugno 2008 all’età di 43 anni. I nostri pensieri vanno, con profonda partecipazione, alla moglie, vedova, ai bambini e a Dan Berglund e Magnus Ostrom, uniti nella musica da parecchio tempo.

    Esbjorn Svensson era uno degli artisti jazz più influenti della storia contemporanea e il suo complesso E.S.T. è considerato il gruppo jazz di maggiore successo in Europa e oltre.

    E.S.T. è diventato famoso per il loro innovativo mix di jazz con il rock contemporaneo ed anche elementi di musica classica raggiungendo l’audience di giovani e adulti nei loro concerti in tutto il mondo. I loro album regolarmente entravano nelle classifiche jazz e pop ottenendo numerosi awards.

    Esbjorn Svensson nacque il 16 aprile del 1964 a Vasteras, Svezia. Sua madre suonava piano classico, suo padre amava Ellington e Svensson ascoltava alla radio gli ultimi successi pop. Alla scuola superiore, Esbjorn suonò nei suoi primi complessi, prendendo lezioni di piano per tre anni. Poi seguì quattro anni di studi musicali all’università di Stoccolma dove Svenson sviluppò l’abilità tecnica necessaria per esprimere pienamente le sue intuizioni. Così la sua esuberanza musicale giovanile e spensierata potè maturare in creativa consapevolezza.

    Nel 1993 Svensson fondò E.S.T. insieme al suo amico d’infanzia Magnus Ostrom, percussionista, e al bassista Dan Berglund e si concentrò completamente con questo trio completando il lavoro sul loro dodicesimo e ora definitivo album “LEUCOCYTE”..

    Come nota personale mi sento di aggiungere: “Esbjorn Svensson fu il più fine di tutti gli uomini che io abbia incontrato, semplice, modesto, rispettoso – LA SUA LUCE   LLUMINO’ IL MONDO INTERO e la sua musica ispirò persone in tutti gli angoli del mondo”!

    Burkhard Hopper

     

    Da: “The Gardian”:

    Jazz pianist Ebjorn Svendon morì in un incidente Sub.

    Martin Hodgson

    Lunedì, 16 giugno 2008

    The Guardian

     

    Esbjorn Svenson, pianista e compositore jazz svedese, è morto in un incidente sub, l’ha comunicato il suo manager ieri.

    Burkhard Hopper, manager del Trio di Esbjorn Svenson (E.S.T,), comunicò che Svensson morì sabato a Stoccolma. Aveva 44 anni. Secondo il sito allaboutjazz.com stava nuotando vicino a un molo con molti altri quando successe l’incidente; fu trovato con parecchie ferite sul fondo marino e la rianimazione non ebbe successo.

    Scondo John Fordham, critico Jazz di “The Guardian”,Svensson era un fenomeno raro nel mondo del Jazz: “Un eroe secondo le critiche più severe e una star internazionale secondo le critiche più scontate”.

    Una serie di 13 album ottenne il plauso della critica e il successo commerciale per la sua combinazione di jazz contemporaneo intersecato con rock, pop ed elettronica.

    Ieri, Hopper comunicò all’agenzia di stampa Reuters: Dal punto di vista musicale, ERA LA LUCE CHE    ILLUMINAVA IL MONDO, PERCHE’ IN CIO’ CHE FACEVA EGLI SPINGEVA IN LA’ I CONFINI.

    “Lui, disse, stava seguendo la musica che scaturiva dal suo interno. La sua musica ispirò persone in tutti gli angoli del mondo.”

    Formatosi nel 1993, E.S.T. fu il primo gruppo europeo ad essere onorato sulla copertina della prestigiosa rivista jazz americana Down Beat nel 2006.

    Nel 2006, il gruppo, con Dan Berglund sul doppio basso e Magnus Ostrom sulla batteria, vinsero l’European Jazz Award e il BBC Jazz Award.

    Ha lasciato moglie e due figli.

     

    Traduzione della mia preziosa amica Prisma

     

    Qualche pensiero:

    • Tristissima notizia. 
      Solo il jazz riesce ad identificare in modo assoluto la musica con il musicista. Impossibile
      piangere l'uomo senza fare lo stesso con il pianista.
      Quanto buona musica resterà non scritta..., Dodo

    Vorrei ricordarlo con il suo primo pezzo che mi ha folgorato:

    The Face of Love
    in Good Morning Susie Soho, 2000


    I giorni dei morti

    Ogn’anno, il due novembre, c’é l’usanza
    per i defunti andare al Cimitero.
    Ognuno ll’adda fà chesta crianza;
    ognuno adda tené chistu penziero.
    Totò, ‘A Livella

    La morte è la traccia più evidente della perdita irrecuperabile e, quindi, è anche la condizione che sta alla base di ogni attività mentale che mette al suo centro la memoria.
    I morti – i singoli morti e non l’astrazione della “morte” – collegano alla natura più intima di ciò che andrebbe ricordato.
    Sono i pensieri che affiorano alla mia mente quando, per l’appunto nel rituale dei  “giorni dei morti”, calpesto i sentieri dei cimiteri.
    Le tombe sintetizzano la minimalità del nostro arco di vita. La sua finitezza, cui opponiamo strenuamente l’espansione più o meno nevrotica del nostro io.
    In questo minimalismo la data di nascita e quella di morte sono, nei limiti estremi, quanto di più essenziale si può individuare in ogni percorso esistenziale.

    Ripercorro i cicli di vita di alcune persone che sono state fondanti nel mio cammino e che mi hanno fornito gli appigli necessari nei vari passaggi.

    Mio padre (1917-1988), 71 anni. Da lui ho appreso lo stile del lavoro artigianale e della applicazione minuziosa al manufatto Di lui ricordo i suoi 9 anni fra ferma militare e guerra;la cassa di dischi jazz portati nel baule da Napoli al nord dei laghi; Duke Ellington; i romanzi americani tradotti da Elio Vittorini; la rinascita lavorativa a 60 anni; il ruolo non certo di “padre morbido”, ma di padre provveditore sì. E altro ancora … Molto altro.

     

     


    Mio nonno (1893-1985), 91 anni. Giornalista localista, attore localista. Nato su lago da genitori sconosciuti. Di vocazione individualista. Autoritario per cultura. Camminatore e fumatore di toscani. Da lui ho appreso – fin dall’inizio – il gusto per la carta stampata, il desiderio impellente per la scrittura.

    Dante Visconti (1916-1973), 57 anni. Mio professore di Lettere e storico del Risorgimento.
    Gli devo ancora uno dei più grandi esercizi di memoria reiterativa. “Mandate a memoria il Canto XI dell’Inferno”:

    D’ogne malizia, ch’odio in cielo acquista,
    ingiuria è ‘l fine, ed ogne fin cotale

    o con forza o con frode altrui contrista.

    Dante Alighieri, Commedia, L’Inferno, XI, 22 e seguenti

    Ha lasciato segni in me indelebili: “Ragiona con la tua testa”, “Mi illudo che tu abbia assorbito da me l’amore alla ricerca della chiarezza e all’indipendenza di pensiero”, “Leggi Pascoli, lascia stare Carducci”, “Attento … chi diventa cattolico per la folgorazione sulla via di Damasco poi esagera”. E, infatti, nel 1971 ho creduto di essere un credente cattolico. Ma era solo un’illusione: non ho la grazia della fede, ma solo la ragionevole ragione. Avevo un appuntamento con lui. Era come andare ad una seduta analitica: si passava da Plinio il Vecchio a Salvemini. Con escursione laterale all’Ulisse di James Joyce. Era puro piacere della conversazione. Telefonata: “Avevi un appuntamento con Dante, vero? … Dante non c’è più …”. Se un tronco ha bisogno di radici forti, questa è la più forte, profonda e duratura. E’ quella dei diciott’anni. Il fugace padre parallelo.

     

     

     


    Tullio Aymone (1931-2002), 71 anni . Mi ha insegnato ad andare dentro al testo di sociologia, a ritesserne le trame, e soprattutto a decifrare le connessioni, a unire vicende individuali a vicenda storica. Metodo, innanzitutto, e poi contenuti. L’iniziatore alla mia professione. Ho già parlato di lui.


    Carlo Tullio Altan (1916-2005), 89 anni. Il professore di antropologia culturale. Il suo solido e ineguagliato schema analitico dell’”uomo in situazione” è fortissimo e ancora oggi mi accompagna nella decifrazione dei segni dei tempi.


    Franco Fornari (1921-1985), 64 anni. Il professore di psicanalisi che mi ha fatto studiare al momento giusto il trattato di Cesare Musatti: ottima scuola. I suoi semi sono nella complementarità fra “posizione paranoide” e “posizione proiettiva”. Insomma: come riconoscere il persecutore interno, prima ancora di proiettarlo all’esterno.

    Laura Conti (1921-1993), 72 anni. La marxista che mi ha introdotto alla teoria del valore. La romanziera, la politica del Pci, la divulgatrice di testi scientifici, l’ambientalista. L’esperta di politiche sanitarie. La grande alleata della mia formazione e la persona che mi ha fatto proseguire nella professione. Anche di lei ho già parlato.

    Enrico Berlinguer (1922-1984), 62 anni. Il politico della tradizione comunista, in bilico fra il passato e le sfide della democrazia rappresentativa. Strutturanti i suoi articoli del 1973 sul colpo di stato nel Cile e il conseguente compromesso storico, che trent’anni dopo ha generato il Partito democratico. E’ stato la mia necessaria mediazione alla militanza nel Pci:

    Qualcuno era comunista

    Perché Berlinguer

    Era una brava persona

    Giorgio Gaber

     

    Oriana Fallaci (1929-2006), 77 anni. La magistrale impastratrice della lingua italiana che ha raccontato da giornalista di grande scuola gli ultimi decenni del novecento.La Cassandra inascoltata del ciclo storico che si è aperto con l’11 settembre 2001. Nessuna sua previsione è stata, finora, disconfermata.

    E altri ancora, certamente.

    Se in questi giorni ciascuno ripercorre il suo Pantheon personale troverà molte figure, come le mie, che soffiano questo avvertimento:

     

    Guardando il mio Pantheon l’esercizio di meditazione che mi propongo nei giorni dei morti è quello di scorrere il tempo effettivamente trascorso da queste persone: dai 57 anni ai 91 anni, quando il ciclo è lungo.
    E’ un pensiero che mi serve come stimolo a dare il giusto peso alle cose.

    Il fatto è che non mi resta molto tempo.

    Forse è meglio concentrarmi su ciò che ha più valore.
    Che non è, certamente, la contingenza dei singoli eventi.

    Ma, piuttosto, sono le tracce durevoli che si inscrivono nel mio tempo che resta.

    Vittime, crimini, altruismo genetico e principio di responsabilità

    Quali sono le radici che s’afferrano, quali i rami che crescono 

    da queste macerie di pietra? Figlio dell’uomo, 
    tu non puoi dire, né immaginare, perché conosci soltanto 
    un cumulo d’immagini infrante, dove batte il sole, 
    e l’albero morto non dà riparo, nessun conforto lo stridere del grillo, 
    l’arida pietra nessun suono d’acque. 
    c’è solo ombra sotto questa roccia rossa,
    (Venite all’ombra di questa roccia rossa), 
      e io vi mostrerò qualcosa di diverso 
    dall’ombra vostra che al mattino vi segue a lunghi passi, o dall’ombra 
    vostra che a sera incontro a voi si leva; 
    in una manciata di polvere vi mostrerò la paura.

    Thomas Stearns Eliot, La terra desolata

    Un brutto primo novembre per l’ammiraglio Giovanni Gumiero.
    Sua moglie, Giovanna Reggiani (47 anni) è scesa dal treno in una isolata, desertica, pericolosa, buia stazione di una zona non periferica di Roma, anche se “bruciata” dallo sviluppo urbano. Qui è stata aggredita, si è difesa e, per reazione ed insopportabilità di questa sua reazione, un giovane romeno l’ha massacrata di botte, spappolandole la faccia, e buttandola in una scarpata di quattro metri. Poi è tornato nella sua baracca a contare il bottino. E’ stato catturato per la coraggiosa azione di una connazionale romena che ha fatto agire – lei sì, non alcuni ministri di cui sotto- il difficile, duro, complicato principio di responsabilità. C’è qualcosa di miracoloso nel vedere sopravvivere il gene dell’altruismo genetico anche dentro l’abisso della miseria.
    Solo ieri il governo aveva varato una serie di disegni di legge sulla sicurezza, per avviarli verso l’approvazione del Parlamento.
    A questi progetti legislativi la cosiddetta sinistra radicale di governo (un ex DS,  uno di rifondazione comunista  e un verde) si era opposta e messa di traverso (come a lorsignori piace dire), proprio nella parte riguardante la sicurezza urbana.
    Ora – su tardiva pressione di Walter Veltroni – uno di quei progetti diventa immediatamente esecutivo e diventa possibile espellere cittadini comunitari per motivi di sicurezza.
    Ci voleva un coma da violenza fisica e una probabile morte (infatti è morta qualche ora diìopo) per attivare nella sinistra massimalista quel principio di responsabilità che immediatamente ha esercitato – invece – la romena.
    Ci sono due particolari nelle pieghe di questa vicenda che desidero annotare.
    La prima è la rassomiglianza fra la mia situazione esistenziale e quella dell’ammiraglio Gumiero. Entrambi in età, senza figli e molto innamorati della propria moglie. Una moglie, come la mia, che non guida l’automobile e che si sposta solo su mezzi pubblici. Talvolta dovendo percorrere pezzi di strada isolati e insicuri. Come Giovanna Reggiani, che – per non prendere un taxi- preferiva camminare verso casa per settecento metri in una zona da Blade Runner o da Terra Desolata (Thomas Stearns Eliot).
    La seconda notazione è di ieri notte. Dove in un programma notturno di cronaca – quello dei dibattiti da salotto con la musichetta di Via col vento – una tizia, approvata da un altro interlocutore, ha sostenuto che l’evento deriva dalla solitudine di questi migranti. Che, soli e deprivati negli affetti, si trovano nella condizione di cercarli con la violenza.
    Il sociologhese e il psicologhese ha coniato un’altra categoria relativista: quello della “violenza fisica e sessuale da deprivazione culturale ed affettiva”.
    Temo che il tema della sicurezza sia il tallone di Achille di un qualsiasi governo di centrosinistra.
    Ed è dura per un elettore trovare, dall’altra parte, un’altra coalizione di governo che – indubbiamente – ha una politica per la sicurezza, ma al cui interno ha il partito di Alleanza nazionale, erede dei fascisti che si sono alleati con Hitler ed hanno mandato al macello del fronte russo le divisioni degli alpini. Come ha mirabilmente raccontato due sere fa Marco Paolini.

    Il tempo che resta

    “Il tempo che resta”

    E’ l’importante questione che l’associazione Accanto – Amici dell’Hospice San Martino” ha messo sotto riflessione in città:
    “il tempo che resta è ciò che resta a ciascuno dalla nascita all’ultimo delicato soffio o respiro.
    Il compito è quello di riuscire a viverlo il meglio possibile”,
    dice la locandina.

    In tre settimane si sono dipanati tre film e un dibattito:

    Le temps qui reste di Francois Ozon

    Go Now di Michael Winterbottom

    La mia vita senza di me di Isabel Coixet

     

    Chi, come me, sta velocemente avvicinandosi ai 60 anni questo tema se lo pone.

    Non dico insistentemente, ma spesso. Come una questione importante, ineliminabile, oggettiva.

    Il nostro tempo è breve.

    E’ breve sempre, sia che moriamo giovani (certo di più), sia che moriamo vecchi (di meno, ma con la stessa percezione che il tempo è breve).

    E’ tema talmente rilevante che mi trascino di stanza in stanza questo libro:
    Harald Weinrich, Il tempo stringe: arte ed economia della vita a termine, Il Mulino, 2006 (edizione originale: Knappe Zeit. Kunst un Okonomie des befristeten Lebens, 2004. Quindi sono grato a Francesca Rigotti che lo ha tradotto).

    Ecco alcuni capitoli di questo libro: Breve è la vita, lunga è l’arte, il tempo urge nell’aldiquà e nell’aldilà, il dramma del tempo scarso, finitezza-infinitezza, vivere con termini e scadenze.

    Weinrich è un magistrale esperto di linguistica e filologia e la sua ricerca è di immenso interesse.

    Ma tornando alla città c’è stato anche un dibattito a cui sono intervenuti:

    Maurizio Migliori, filosofo

    Don Bruno Maggioni, teologo,

    Giuliano Turone e Gherardo Colombo, magistrati.

     

    Ho preso qualche appunto che ora raccolgo e lascio qui nel mio blog –diario.

    La morte è un processo individuale che riguarda tutti. E’ l’evento più universale e “democratico” che ci sia. Per l’individuo è una esperienza del tutto irripetibile, che si conosce solo per averla vista solo attraverso il corpo di uno o più altri.

    Questa è la sua “eccezionalità”: tocca a tutti e a ciascuno, per ogni persona capita solo una volta. L’esperienza che ne facciamo è sempre indiretta.

    Le tecnologie mediche oggi ci pongono un problema. Un problema tipicamente “moderno”, cioè non presente nelle società del passato. Non era così nelle culture esplorate dalle letterature classiche o da quelle moderne. Diciamo fino almeno alla seconda metà del ‘900.

    Il problema è quello delle diagnosi sempre più selettive e precise e quello del tempo concesso in più dalle tecnologie mediche.

    Insomma, oggi la morte, che pure è coperta da mille tabù, oscurità, rimozioni sempre più può metterci davanti al nostro “Tempo che resta”. Può avvenire che uno di noi venga a conoscenza forte e viva che il suo viaggio volge al limite. Sapendolo, avendone coscienza. Una coscienza resa ancora più avvertita dalla tecnica

    Amici, credo che sia
    meglio per me ricominciare
    a tirar giù la valigia.
    Anche se non so bene l'ora
    d'arrivo, e neppure
    conosca quali stazioni
    precedano la mia,
    sicuri segni mi dicono,
    da quanto m'è giunto all'orecchio
    di questi luoghi, ch'io
    vi dovrò presto lasciare.

    Giorgio Caproni, Congedo del viaggiatore cerimonioso
    Questo processo della fine della vita individuale investe le politiche e le istituzioni.

    Un tempo si moriva a casa, poi in ospedale (nei reparti di medicina e geriatria). Oggi le istituzioni si specializzano: dal 1989 si è sviluppata in Italia la rete delle RSA- Residenze sanitarie assistenziali. Ed ora si creano gliHospice, strutture specializzate ad accompagnare in un contesto socio-sanitario alla morte i malati a prognosi infausta.

    La novità è questa: nell’elenco delle situazioni estreme occorre aggiungere quello della:

    possibile consapevolezza del tempo che resta

     

    E allora attorno e dopo questo problema nuovo ne nasce un altro:

    si può “pensare” il tempo che resta?

     

    Si può apprendere qualcosa di questa situazione? Si può “fare anima”, come direbbe James Hillman o Claudio Risè, attorno a questo evento.

    Ci si può provare.

    Maurizio Migliori, quella sera ci ha sapientemente provato. Per ora riassumo il suo denso contributo.

    Poi ci penserò e ripenserò e correggerò ed amplierò.

    Esordio:

    La NOSTRA morte è impensabile. E’ impossibile da razionalizzare.

     

    Possiamo applicare funzioni di pensiero solo alla morte degli altri.

    Tuttavia la morte ha anche una funzione attiva sulla vita. Sulla vita intera e sul frammento finale:

    la morte tende ad attribuire senso al tempo che resta

     

    Gli immortali dei romanzi di fantascienza e di fantasy sono dei soggetti infelici. Per loro il tempo eterno arriva a perdere significato. Non sanno cosa fare. Ricordo qui il discorso finale del perfetto robot in Blade Runner.

    La morte può produrre apprendimento:

    dà il senso del limite

    Cioè fornisce coscienza che siamo esseri finiti e limitatissimi.

    Siamo foglie, foglie importanti, ma foglie.

    Ricordo una frase di Alberto Moravia: “siamo rugiada della notte che si asciuga al sole”.

    E’ la coscienza di un limite pesante perché la natura è concentrata sulla viva non ci viene in aiuto per la morte:

    alla natura la morte non interessa,

    alla natura interessa solo la specie, non l’individuo

     

    La natura non ci aiuta. Anzi si allontana quando si avvicina la morte.

    Allora, cosa possiamo fare in una situazione di coscienza non solo della ineluttabilità della morte, ma del tempo scarso, come ben dice Weinrich?

    Possiamo, facendoci anche aiutare, fare questo:

    attraversare la nostra vita, l’unica cosa che veramente ci appartiene,

    alla luce della certezza della morte.

     

    Nessuno può dare istruzioni in proposito, data la singolarità dell’evento finale.

    Tuttavia qualche cosa può essere pensato. Già: pensare. Visto che la specie umana ha sviluppato la coscienza ed il pensiero. E proprio perché li ha elaborati ha anche necessariamente elaborato il tema della angoscia della morte. Lo sa bene chi possiede animali: soffrono, provano dolore, si nascondono. Ma non hanno coscienza della morte. Avvertono il dolore, quella cosa che non sentivano prima. E noi possiamo alleviarlo.

    Alcune cose che possono essere pensate:

    occorre sapere da subito che “il tempo è poco”

     

    Questo vale anche per i più giovani. Non è un problema dei pre-vecchi, come io sono, o dei vecchi. Anche un giovane dovrebbe apprendere che il tempo è poco. Non è facile, anzi sembra impossibile nella società dei consumi e dell’immagine.

    Occorre poi:

    sapere che siamo in cammino.

     

    E che questo cammino ha delle tappe e che il tempo non non va sprecato.

    Come? Per esempio non concentrandosi  su una sola cosa. Il lavoro, l’ideologia, il divertimento. Allargare il campo degli interessi. Come Tarzan: attaccarsi a più liane. Volare e prenderne un’altra.

    Poi si può, piano piano, senza masochismi eccessivi (come ho detto proprio questa mattina ad Arsenico, che pure il tema della sofferenza lo maneggia professionalmente)

    prepararsi ed accettare questo processo

    Allenarsi ad accettarlo

    Dire “non me lo aspettavo” è un insulto alla intelligenza.

    No: è nella gamma delle possibilità. O per cause probabilistiche, come nei mestieri pericolosi. O per rischi accettati. O, comunque, per biologia. Naturalmente si deve fare di tutto per ridurre i rischi

    Però può succedere.

    O nell’attimo dell’incidente e delle bombe nelle metropolitane (è un mio chiodo fisso: ma se loro mi dicono “ti odio e ti voglio uccidere”, io gli credo).

    O in un decorso lungo e assistito.

    E allora cosa pi può ancora fare in questo percorso che è la mia vita, la tua vita?

    si può relazionarsi con il mondo,

    si può tentare di lasciare un segno della nostra presenza

     

    Si può scrivere una poesia: magari l’unica poesia. Ma la mia. Sì : anche un haiku, senza la tecnica dell’haiku

    Si può fare un dipinto: magari l’unico, ma il mio.

    Si può scrivere in un blog. Chissà mai che questi segni dell’elettronica lascino da qualche parte una traccia di sé. E illuminino il cammino di un qualunque altro

    E dove si inscrivono le tracce di sé?

    In altre persone. Come un software invisibile che però plana su un hardware.

    Ecco la funzione delle biblioteche.

    La funzione delle piazze e delle vie.

    La funzione dei rituali.

    Tutto questo si può e deve fare.

    Sapendo, tuttavia che il passaggio finale è solitario.

    Soli, soli, soli.

    E chi ha la fortuna di avere la fede se la tenga cara e molto stretta.

    E chi non l’ha, e io sono uno che non l’ha, avrà uno strumento in meno.

    Ma chissà se in quel momento anche chi ha la fede non vacillerà, almeno per un attimo?

    Soli, soli, soli.

    è morto Tony Scott (1921-2007)

    Apprendo dal blog di Mondo Jazz che è morto Tony Scott (1921-2007)
    Lunga vita: ci farei la firma, come si dice.
    Mi capita in questi giorni in cui ho da riflettere sul Tempo che resta.

    Lo ricordo con una delle varie registrazioni che il glorioso produttore di musica Paolo Piangiarelli della Philology in questi ultimi anni gli ha affettuosamente e pazientemente promosso:

    My Funny Valentine
    in The clarinet Album, Philology, 13 aprile 1993

    Attenzione. Richiederebbe un ascolto attento, meditato e pensoso. Magari al buio. Sono soffi di clarino di 11 minuti. 
    Qualcosa di abbastanza unico. 

    Tony Scott aveva 72 anni
    Gli altri musicisti sono:
    Massimo Farao (p.)
    Aldo Zunino (cb)
    Giulio Capiozzo (batt.)

    Ricordo di LAURA CONTI (1921-1993)

    Laura Conti, biografia e voce dal passato.

    Dedicato a Prisma, che è ha spinto alla ricerca della voce

    Negli anni 1972- 1990 ho avuto la fortuna di frequentare, in una relazione che ha intrecciato innanzitutto l’amicizia e poi la politica, una straordinaria donna del nostro secondo Novecento: Laura Conti (1921-1993)

    Da lei ho imparato aspetti importanti del mio lavoro: l’impostazione teorica da dare agli studi storici, il funzionamento delle politiche sociali, l’uso non dogmatico nell’utilizzare il metodo nell’analisi dei fatti sociali, l’osservazione e la pratica dei ruoli amministrativi nelle istituzioni. Ora che sono più vecchio comprendo meglio che da lei ho imparato soprattutto un modo di affrontare le questioni della vita ed i compiti che ci sono assegnati nel percorrere la strada che il destino ci ha assegnato.

    Laura Conti è stata per me una vera scuola parallela. Probabilmente quella  più formativa, perchè appresa faccia a faccia, nella vicinanza della discussione intensa.

    Andavo da lei con il blocco degli appunti. E talvolta registravo le sue parole.

    Provavo nei suoi confronti una devozione filiale. Ammiravo la sua scrittura, la sua verve, le sue straordinarie capacità nell’estrarre da un libro il filo da inseguire e da elaborare in quadri e prospettive del tutto diverse da quelle impostate dallo stesso autore. Aveva una cultura di spettro ampissimo: medicina, biologia, economia, diritto, antropologia, sociologia. Ma tutto sempre inserito in quadri storici. Conversare con lei era un irripetibile godimento intellettuale.

    Andavo a prenderla sotto casa e la portavo fuori a cena. In modo che potessimo parlare in auto. Infatti la sua voglia di leggere e studiare la portava ad amministrare con oculatezza il suo tempo. Ognuno di questi appuntamenti di amicizia con me (più volte mi ha detto che ero come suo figlio) era per lei tempo sottratto ai suoi studi voraci. E quando tornava a casa, attorno a mezzanotte, andava avanti sul libro che aveva interrotto poche ore prima.

    Di lei conservo vivi ricordi personali (racconti biografici, storie di persone conosciute, valutazioni sulla politica) ed anche molti suoi scritti.

    La vita attiva ed adulta delle persone può essere opportunamente scandita in fasi.

    Per quanto mi riguarda vedo il film della sua biografia in questo modo:

    la giovinezza dei vent’anni (laurea in medicina in piena guerra, Resistenza, internamento nel lager di Bolzano);

    l’immediato dopoguerra e la militanza nel Psi e la successiva scelta del Pci, negli anni ’50;

    amministratrice negli enti locali, alla Provincia di Milano, negli anni ’70;

    la fase pionieristica dell’ avvio delle Regioni, nel ruolo di consigliere regionale, che si è intrecciata con la “folgorazione” del pensiero ambientalista e sua conversione su questo modello di pensiero (prima metà degli anni ’80);

    elezione nel Parlamento italiano e in quello europeo (seconda metà degli anni ’80);

    la sua contrarietà alla trasformazione del Pci in Pds (1989-1993). Un mondo che le cadeva addosso.

    E qui c’è la mia ferita, perchè in quell’arco di tempo le nostre strade si sono diversificate e – come è successo per molti militanti – si è rotta anche questa amorevole amicizia. Nessun rimpianto, come dice Giorgio Gaber nella sua canzone “Qualcuno era comunista”. Ma certo un dispiacere cui non si può porre rimedio. Tanto più che , successivamente, sotto gli impulsi della storia le mie prospettive politiche sono ulteriormente cambiate, fino ad avere scritto 11 settembre 2001-11 settembre 2006. To Cross the Line , cioè qualcosa che in quegli anni mi sarebbe apparso del tutto impossibile anche solo pensare.

    Resta, dunque, quel ricordo indelebile e intatto nei fili della memoria.

    Ma poi, molto dopo la sua morte, ricevetti da una assessora della Provincia di Bolzano una lettera che mi sollecitava a ricordare che Laura aveva anche sfiorato la deportazione nel lager di Mathausen. Ne parla Piero Caleffi nel libro Si fa presto a dire fame (edizioni del Gallo 1954 e poi Mondadori, 1967). Ne parla anche Laura, ma in una rarefatta forma letteraria, nel libro La condizione sperimentale, Mondadori.

    La Fondazione Micheletti di Brescia conserva circa 6.000 volumi della sua biblioteca e vari altri materiali di studio (appunti, ritagli, corrispondenza, scritti, materiali di lavoro, testi relativi all’attività politica e a pubblicazioni, rassegne stampa).

    Nel disco/libro di Tina Franchini e Fiorella Ferrazza, Come nascono i bambini,

    Edizioni I Dischi del sole, c’è un microsolco 33 giri con la sua voce.

    L’ho cercato e ritrovato fra le cose che si conservano. E fra poco sentiremo questo ulteriore esempio della sua poliedricità: quella della divulgatrice scientifica, in particolare di biologia

    Il 5 dicembre 2006 la cara amica Prisma mi ha inviato questa lettera, che riporto quasi per intero:

    ciao …,
    a proposito di sincronicità, questa mattina sono dovuta andare in lega ambiente
     di Milano, dove, per puro caso, ho visto un vecchio volantino 
    che parlava di una commemorazione di laura conti. 
    mi sono ricordata che …  ci sono più pagine dedicate a lei, così ho chiesto informazioni. 
    sono stati gentilissimi. magari le saprai già, comunque te le passo. 
    il 3 maggio 2006, in occasione dei 30 anni di seveso e dei 60 anni della 
    casa della cultura, di cui lei è stata segretaria, è stata organizzata dalla provincia 
    di Milano  in collaborazione con lega ambiente una cerimonia di commemorazione.
    ma la cosa più bella è avvenuta il 2 novembre 2006. 
    su proposta di letizia moratti, al "Famedio" (Tempio della Fama), del cimitero 
    monumentale di Milano, dove ci sono le tombe del manzoni, di verdi, ecc., 
    ci sono anche apposte, lungo le pareti, delle lapidi di marmo con incisi i nomi 
    di più personaggi benemeriti. 
    il 2 novembre è stata apposta anche la lapide di laura conti.
    inoltre sul sito www.altronovecento.quipo.it, rivista on line promossa dalla 
    fondazione micheletti, compare un numero monografico su laura conti.
    queste informazioni me le ha date una signora gentilissima, la dottoressa ..., 
    considerata una delle memorie storiche di laura
    ….  
    
    Sono certo che anche una piccola testimonianza, come questa pagina, può intrecciare 
    altre informazioni e ricordi. 
    E' come portare dei fiori alla cara Laura, che in questo momento riaffiora alla mia mente 
    attraverso il suo sorriso e quel gaio
    “ciao caro !!!”
    Fiori, fiori per Laura.
    E’ il mio motto 
    
    Ecco qui. Sono riuscito ad estrarre da un vecchio disco a 33 giri questa lettura:
    Laura Conti
    Lo sai come nascono i bambini?

    L’audio e’ stato cancellato dallo spazio su Splinder

    E’ un documento audio che va storicizzato, ai primissimi anni ’70. 
    Quando parlare di educazione sessuale era ancora una impresa difficile e irta di ostacoli.
    L’obiettivo era parlare di riproduzione sessuale a bambini molto piccoli.
    Vorrei che si apprezzasse la dolcezza di quella voce, l’ironia, il timbro.
    E che ve la immaginiate quando parlava di economia, di politica, di diritto, di storia, 
    di antropologia.
     Perché oggi questo documento audio?
    Non c’è un motivo particolare. Era arrivato il momento.
    Quando si è su tracce e sentieri ogni momento può essere quello giusto.