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GROSSMAN Vasilij, a cura di Mario Alessandro Curletto, La cagnetta (1961/62), Adelphi edizioni, 2013, pagg. 88. Indice del libro
“La vita dipende dalla volontà altrui,
la morte dalla mia”
Montaigne
“Perciò la morte, il più temuto di tutti i mali, per noi è nulla, dato che quando noi siamo vivi essa non esiste, quando si presenta non esistiamo più noi”
da:
Chissà, io morirò forse domani,
triste e malato o sbranato dai cani?
Forse io me ne andrò senza parlare,
forse danzando, impegnato a ballare?
Magari morirò sotto Natale,
forse per Pasqua oppure a Carnevale?
Forse tra un anno tirerò le cuoia
ucciso dalla fame o dalla noia?
…..
Venga correndo, corra, salti, voli,
però non porti fiori né cannoli,
giacché non siamo antichi né moderni,
noi siamo il tempo, quindi siamo eterni.
vai alla intera poesia
https://parcodeinebrodi.blogspot.com/2020/11/filastrocca-della-morte-di-mimmo-mollica.html
presentazione del romanzo:
SPALLINO UN RICORDO
UN PERSONAGGIO A TUTTO CAMPO: ANTONIO SPALLINO, POLITICO, INTELLETTUALE E SPORTIVO
Per molti, a Como, è rimasto “il Sindaco” per antonomasia, avendo ricoperto questa carica per tre mandati dal ’70 all’’85, interpretando la politica come servizio, con serenità e rigore, al punto da imprimere una fisionomia ben precisa alla città con interventi decisivi e fortemente innovativi (per tutti, la famosa Città Murata e la Spina Verde).
Uomo politico, sportivo, dirigente e intellettuale, era nato a Como il 1° di aprile del 1925.
Personaggio di indiscusso e prestigioso passato, è stato molte cose contemporaneamente: amministratore, politico, sportivo, dirigente, pubblicista, bibliofilo.
Impegnato in politica fin dagli anni ’60 nelle file della Democrazia Cristiana, nella quale aveva militato già suo padre, il senatore Lorenzo, è stato assessore all’urbanistica per il comune di Como dal 1965 al 1970 e poi Sindaco per tre mandati dal 1970 al 1985. Tra il ’77 e il ’79, era stato chiamato a far fronte al disastro ecologico dell’Icmesa di Seveso, in Brianza in qualità di Commissario straordinario della regione Lombardia.
Straordinaria, tra scherma e alpinismo, la sua carriera di sportivo. Nella scherma, era stato campione italiano assoluto di spada nel 1949, di fioretto nel 1958, campione del mondo a squadre di spada nel ’49 e di fioretto nel ’54 e ’55, e inoltre aveva vinto tre medaglie olimpiche, tra Helsinki nel ’52 e Melbourne nel ’56.
Nell’alpinismo, aveva fatto due scalate direttissime, l’una su roccia (1955), l’altra su ghiaccio (1956), nel gruppo dell’Ortles, in Alto Adige.
Come dirigente sportivo, era stato Presidente dapprima del Panathlon club di Como dal ’70 al ’74, e successivamente del Panathlon International dall’’88 al ’96, oltre che vice presidente del Comitato Internazionale “fair play”.
Presidente del Centro di Cultura Scientifica “A.Volta”, fin dalla sua origine nel 1981, è stato autore di importanti pubblicazioni che abbracciano ambiti diversi: dall’urbanistica, alla scherma, alla critica letteraria, alla poesia, alla bibliofilia.
Tra questi, vanno ricordati: Una frase d’armi (1997), sulla sua carriera di sportivo, “Ma perché tu non mi creda libero” (2001), sull’amore per i libri, e La Bibliothèque Moselliana. Les livres d’escrime (2005), monumentale compilazione su quanto è stato scritto nel tempo sul tema della scherma; oltre ciò, una raccolta di liriche, Le sepolte voci (1992), e la rivista di poesia e di critica letteraria “Sentimento”, di breve ma luminosa vita, pensata e realizzata nell’immediato dopoguerra, nel 1946, assieme ad alcuni amici (tra i quali, Francesco Somaini e Morando Morandini).
Nel 1995 gli era stata assegnata dalla città di Como l’onorificenza dell’Abbondino d’oro.
Poliedrico e versatile, dunque, dalle molteplici applicazioni e competenze in ambiti diversi e apparentemente contrastanti, in ognuno rivelandosi capace di far tesoro dell’esperienza acquisita per riversarla in un armonico insieme.
Con in più il dono di saper coltivare e trasmettere un patrimonio di memorie, suo e di un’intera generazione, per mezzo della scrittura, lasciando trasparire attraverso la sua filigrana la dote di talenti ricevuti e posti a frutto e tali da comunicare agli altri la forza e ricchezza del suo stesso sistema di valori.
Il tutto, restando sempre fedele a una propria riconoscibile cifra esistenziale, intellettuale e soprattutto morale, corroborato da una serena fede fondata sui valori essenziali, quelli che lo sostenevano a livello intimo e privato ed erano non meno necessari nella vita pubblica: volontà di capire per incidere e cambiare, con competenza tecnica e sensibilità sociale, in una prospettiva trascendente, cercando di conciliare realismo e utopia, senza comunque farsi illusioni sui risultati del suo impegno, consapevole com’è dell’arditezza della sua sfida e rispettoso sempre della qualità dei suoi interlocutori.
VINCENZO GUARRACINO
Stile è riuscire a portare bene un peso assegnato.
Significa reggere tale peso tentando di utilizzare in maniera concentrata tutte le energie disponibili, anche e soprattutto quelle minime.
Stile è quell’obbligo morale che dovremmo imporci per essere all’altezza delle situazioni e delle attese.
Stile è la capacità di comprendere e agire con equilibrio, adattando la propria forza ai compiti che ci aspettano.
Giovano ancora in questo augurio due antiche esortazioni.
Age quod agis, “Fai bene quello che stai facendo”, dicevano i latini.
Ne quid nimis, “Nulla di troppo, senza esagerare”, dicevano i greci e, ancora, ci hanno riportato i latini.
In queste massime ci sembra di trovare un invito alla moderazione ed al controllo più che mai adatti alla situazione del momento.
La consapevolezza dei nostri limiti ci potrebbe aiutare ad accettare e comprendere anche le altrui limitatezze e a rimanere all’interno di un gioco delle regole che è la sola garanzia di sopravvivenza.
Nota: i riferimenti linguistici sullo stile sono tratti dal libro di Vincenzo Guarracino, Antonio Spallino, uomo, amministratore, sportivo, intellettuale, Casagrande editore, Lugano 2013
Sulla figura di intellettuale e politico di ANGELO SPALLINO, ricordo anche questo libro:
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vai a: http://www.nodolibrieditore.it/scheda-libro/carlo-ferrario-antonio-spallino/le-regole-del-gioco-9788871850191-156048.html
“Momenti. La nostra vita è una serie di momenti. Ognuno di questi è un viaggio fino alla fine.
Lasciamoli andare.
Lasciamoli andare tutti”
dal film:
Now Is Good
di Ol Parker con Dakota Fanning, Olivia Williams, Kaya Scodelario, Jeremy Irvine. .
Sorgente: Frasi dal film Now Is Good | MYmovies
stralci dal film
https://www.youtube.com/results?search_query=Now+Is+Good+di+Ol+Parker+con+Dakota+Fanning
Ascolta l’audio
Amici, credo che sia
meglio per me cominciare
a tirar giù la valigia.
Anche se non so bene l’ora
d’arrivo, e neppure
conosca quali stazioni
precedano la mia,
sicuri segni mi dicono,
da quanto m’è giunto all’orecchio
di questi luoghi, ch’io
vi dovrò presto lasciare.
Vogliatemi perdonare
quel po’ di disturbo che reco.
Con voi sono stato lieto
dalla partenza, e molto
vi sono grato, credetemi
per l’ottima compagnia.
Ancora vorrei conversare
a lungo con voi. Ma sia.
Il luogo del trasferimento
lo ignoro. Sento
però che vi dovrò ricordare
spesso, nella nuova sede,
mentre il mio occhio già vede
dal finestrino, oltre il fumo
umido del nebbione
che ci avvolge, rosso
il disco della mia stazione.
Chiedo congedo a voi
senza potervi nascondere,
lieve, una costernazione.
Era così bello parlare
insieme, seduti di fronte:
così bello confondere
i volti (fumare,
scambiandoci le sigarette),
e tutto quel raccontare
di noi (quell’inventare
facile, nel dire agli altri),
fino a poter confessare
quanto, anche messi alle strette
mai avremmo osato un istante
(per sbaglio)’ confidare.
(Scusate. E una valigia pesante
anche se non contiene gran che:
tanto ch’io mi domando perché
l’ho recata, e quale
aiuto mi potrà dare
poi, quando l’avrò con me.
Ma pur la debbo portare,
non fosse che per seguire l’uso.
Lasciatemi, vi prego, passare.
Ecco. Ora ch’essa è
nel corridoio, mi sento
più sciolto. Vogliate scusare.)
Dicevo, ch’era bello stare
insieme. Chiacchierare.
Abbiamo avuto qualche
diverbio, è naturale.
Ci siamo – ed è normale
anche questo – odiati
su più d’un punto, e frenati
soltanto per cortesia.
Ma, cos’importa. Sia
come sia, torno
a dirvi, e di cuore, grazie
per l’ottima compagnia.
Congedo a lei, dottore,
e alla sua faconda dottrina.
Congedo a te, ragazzina
smilza, e al tuo lieve afrore
di ricreatorio e di prato
sul volto, la cui tinta
mite è sì lieve spinta.
Congedo, o militare
(o marinaio! In terra
come in cielo ed in mare)
alla pace e alla guerra.
Ed anche a lei, sacerdote,
congedo, che m’ha chiesto se io
(scherzava!) ho avuto in dote
di credere al vero Dio.
Congedo alla sapienza
e congedo all’amore.
Congedo anche alla religione.
Ormai sono a destinazione.
Ora che più forte sento
stridere il freno, vi lascio
davvero, amici. Addio.
Di questo, sono certo: io
son giunto alla disperazione
calma, senza sgomento.
Scendo. Buon proseguimento
da: Antologia personale di Vittorio Gassman – Poesia italiana dell’Ottocento e del Novecento, Luca Sassella editore, 2000
Scritto il 8 Ottobre 2008, confermato e aggiornato il 15 dicembre 2017 (dopo l’approvazione della LEGGE 22 dicembre 2017, n. 219) e poi ancora il 5 febraio 2019.
“Ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, con le stesse forme di cui al comma 4, qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso. Ha, inoltre, il diritto di revocare in qualsiasi momento, con le stesse forme di cui al comma 4, il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento. Ai fini della presente legge, sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici.”, articolo 1 della LEGGE 22 dicembre 2017, n. 219
Io sottoscritto, Paolo Ferrario, nato a Como il 26 novembre 1948 e residente in questa città, nel pieno possesso delle mie facoltà mentali e fisiche, dichiaro quanto segue.
Potrebbe accadere che, a un certo punto della mia vita, mi venga a trovare in uno stato di malattia allo stadio terminale, coma irreversibile, morte cerebrale e, in generale, in un qualsiasi stato fisico nel quale la mia sopravvivenza sia legata all’utilizzo non temporaneo di macchine o altri sistemi artificiali, compresa l’alimentazione e l’idratazione forzata.
Nel caso fossi nelle condizioni di esprimere il mio consenso informato sono certo che non accetterei una degradazione corporea oltraggiosa per il mio sentimento della dignità personale. E, dunque, rifiuterei le “cure”.
Nel caso, invece, in cui fossi impossibilitato a esprimere la mia volontà, chiedo ora a mia moglie, alle persone che mi hanno conosciuto, al personale di assistenza che incontrerò, ai detestabili comitati di bioetica che vorrebbero decidere per me, al giudice che sarà chiamato ad emettere una sua sentenza, un gesto di compassione (nel senso di “comunanza di dolore”).
Ritengo che ogni forma di accanimento terapeutico che venisse praticato contro la mia volontà sia un atto di crudeltà, lesivo della mia dignità di essere umano. Di conseguenza, considero la sospensione di tali trattamenti come un gesto di compassione.
Ho paura della morte, e ancora più della sofferenza, tanto più se inutile e indotta da tecnologie mediche (delle quali apprezzo immensamente i progressi scientifici e tecnici) ormai impossibilitate a consentire una qualità di vita accettabile alla mia sensibilità psicologica ed esistenziale. Vorrei tuttavia poterla accogliere come un lungo ed eterno sonno dove le molecole momentaneamente aggregate nel mio attuale corpo si stanno riaggregando in altre forme di vita. Là, nell’infinito che mi pre-esisteva e che continuerà oltre il mio temporale Io.
Considero l’essere tenuto in vita da un macchinario che si sostituisce permanentemente alle mie funzioni vitali una violenza da me non voluta che ritarda l’appuntamento che comunque mi aspetta, come per qualunque essere vivente.
Il corpo che ho avuto in prestito in vita lo cedo per trapianti. Nel caso incerto che ci fosse ancora qualcosa di utilizzabile
Per quello che potrà contare, lascio, infine, questa volontà.
Non vorrò funerali alla mia morte.
Le regole burocratiche decidano dove dovranno andare le mie ceneri. Mi piacerebbe che fossero restituite alla terra, nel luogo che più ho amato, oppure al lago che non ho mai abbandonato in tutto il corso del tempo che il destino mi ha affidato.
La morte è la soglia inevitabile che attende ciascuno.
Le religioni pretendono di parlare di una ipotetica vita che ci sarà oltre quella soglia. La loro parola è violenza, essendo le religioni le prime “omicide” di ogni uomo che, da “essente” è destinato alla “gioia”, prima ancora che esse volessero far valere il loro bisogno di dominio attraverso i loro mostruosi “ministri”
Al mortale non è dato sapere cosa effettivamente ci sarà. Conta solo e soltanto il tempo presente e il ricordo. Tempo presente e ricordo conducono agli “eterni”. Non c’è bisogno di religioni
L’unica cosa che effettivamente possiamo fare è dare grande importanza all’ogni attimo che si manifesta prima di quella soglia.
Le persone vanno trattate bene, o male, prima della morte. Prego, dunque, che mi sia socialmente risparmiata l’ipocrisia del falso cordoglio funebre nei riti dei funerali
Paolo Ferrario
…
Commenti inviati al vecchio Blog:
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utente anonimo |
Rino, certo del dubbio.
E io? .. devo fare ancora un po’ di conti con me stessa, con la concezione di vita che “mi è stata messa dentro”.. devo ancora mettermi a nudo, io, con le mie consapevolezze.. nella libertà.. quando riesco ad acquisirla dentro di me..
“… noi sappiamo che diventeremo di nuovo granelli di rena. a questo siamo adattati. lo sa anche il nostro corpo che rinnova incessantemente le cellule. […]
… per insondabile legge
ciò che più arde
più resta
lasciare traccia
ma non solo nei blog (strumenti moderni del voler lasciare traccia) o nella memoria dei vivi
lasciare traccia dentro la stessa materia
cioè attraverso le nostra molecole, disfatte e ricostituite in altre forme del vivente”…
GRAZIE
questa mattina abbiamo ricevuto questa tristissima notizia dalla direzione EST sul pianista svedese Esbjorn Svensson del trio EST:
Esbjorn Svensson muore il 14 giugno 2008 in un incidenteper una immersione sub.
Sapendo che anche tu sei un accanito ammiratore di questo complesso ispiratore e delle loro consistenti e brillanti performances, nel corso degli anni, per IMC a Vicar Street, ti chiediamo di unirti a noi dimostrando tutta la nostra più profonda partecipazione alla famiglia Esbjorn e ai colleghi del suo trio Dan Berglund e Magnus Ostrum.
Il pianista e compositore svedese Esbjorn Svensson è morto in un incidente sabato 14 giugno 2008 all’età di 43 anni. I nostri pensieri vanno, con profonda partecipazione, alla moglie, vedova, ai bambini e a Dan Berglund e Magnus Ostrom, uniti nella musica da parecchio tempo.
Esbjorn Svensson era uno degli artisti jazz più influenti della storia contemporanea e il suo complesso E.S.T. è considerato il gruppo jazz di maggiore successo in Europa e oltre.
E.S.T. è diventato famoso per il loro innovativo mix di jazz con il rock contemporaneo ed anche elementi di musica classica raggiungendo l’audience di giovani e adulti nei loro concerti in tutto il mondo. I loro album regolarmente entravano nelle classifiche jazz e pop ottenendo numerosi awards.
Esbjorn Svensson nacque il 16 aprile del 1964 a Vasteras, Svezia. Sua madre suonava piano classico, suo padre amava Ellington e Svensson ascoltava alla radio gli ultimi successi pop. Alla scuola superiore, Esbjorn suonò nei suoi primi complessi, prendendo lezioni di piano per tre anni. Poi seguì quattro anni di studi musicali all’università di Stoccolma dove Svenson sviluppò l’abilità tecnica necessaria per esprimere pienamente le sue intuizioni. Così la sua esuberanza musicale giovanile e spensierata potè maturare in creativa consapevolezza.
Nel 1993 Svensson fondò E.S.T. insieme al suo amico d’infanzia Magnus Ostrom, percussionista, e al bassista Dan Berglund e si concentrò completamente con questo trio completando il lavoro sul loro dodicesimo e ora definitivo album “LEUCOCYTE”..
Come nota personale mi sento di aggiungere: “Esbjorn Svensson fu il più fine di tutti gli uomini che io abbia incontrato, semplice, modesto, rispettoso – LA SUA LUCE LLUMINO’ IL MONDO INTERO e la sua musica ispirò persone in tutti gli angoli del mondo”!
Burkhard Hopper
Da: “The Gardian”:
Jazz pianist Ebjorn Svendon morì in un incidente Sub.
Martin Hodgson
Lunedì, 16 giugno 2008
The Guardian
Esbjorn Svenson, pianista e compositore jazz svedese, è morto in un incidente sub, l’ha comunicato il suo manager ieri.
Burkhard Hopper, manager del Trio di Esbjorn Svenson (E.S.T,), comunicò che Svensson morì sabato a Stoccolma. Aveva 44 anni. Secondo il sito allaboutjazz.com stava nuotando vicino a un molo con molti altri quando successe l’incidente; fu trovato con parecchie ferite sul fondo marino e la rianimazione non ebbe successo.
Scondo John Fordham, critico Jazz di “The Guardian”,Svensson era un fenomeno raro nel mondo del Jazz: “Un eroe secondo le critiche più severe e una star internazionale secondo le critiche più scontate”.
Una serie di 13 album ottenne il plauso della critica e il successo commerciale per la sua combinazione di jazz contemporaneo intersecato con rock, pop ed elettronica.
Ieri, Hopper comunicò all’agenzia di stampa Reuters: Dal punto di vista musicale, ERA LA LUCE CHE ILLUMINAVA IL MONDO, PERCHE’ IN CIO’ CHE FACEVA EGLI SPINGEVA IN LA’ I CONFINI.
“Lui, disse, stava seguendo la musica che scaturiva dal suo interno. La sua musica ispirò persone in tutti gli angoli del mondo.”
Formatosi nel 1993, E.S.T. fu il primo gruppo europeo ad essere onorato sulla copertina della prestigiosa rivista jazz americana Down Beat nel 2006.
Nel 2006, il gruppo, con Dan Berglund sul doppio basso e Magnus Ostrom sulla batteria, vinsero l’European Jazz Award e il BBC Jazz Award.
Ha lasciato moglie e due figli.
Traduzione della mia preziosa amica Prisma
Qualche pensiero:
Tristissima notizia.
Solo il jazz riesce ad identificare in modo assoluto la musica con il musicista. Impossibile
piangere l'uomo senza fare lo stesso con il pianista.
Quanto buona musica resterà non scritta..., Dodo
Vorrei ricordarlo con il suo primo pezzo che mi ha folgorato:
La morte è la traccia più evidente della perdita irrecuperabile e, quindi, è anche la condizione che sta alla base di ogni attività mentale che mette al suo centro la memoria.
I morti – i singoli morti e non l’astrazione della “morte” – collegano alla natura più intima di ciò che andrebbe ricordato.
Sono i pensieri che affiorano alla mia mente quando, per l’appunto nel rituale dei “giorni dei morti”, calpesto i sentieri dei cimiteri.
Le tombe sintetizzano la minimalità del nostro arco di vita. La sua finitezza, cui opponiamo strenuamente l’espansione più o meno nevrotica del nostro io.
In questo minimalismo la data di nascita e quella di morte sono, nei limiti estremi, quanto di più essenziale si può individuare in ogni percorso esistenziale.
Ripercorro i cicli di vita di alcune persone che sono state fondanti nel mio cammino e che mi hanno fornito gli appigli necessari nei vari passaggi.
Mio padre (1917-1988), 71 anni. Da lui ho appreso lo stile del lavoro artigianale e della applicazione minuziosa al manufatto Di lui ricordo i suoi 9 anni fra ferma militare e guerra;la cassa di dischi jazz portati nel baule da Napoli al nord dei laghi; Duke Ellington; i romanzi americani tradotti da Elio Vittorini; la rinascita lavorativa a 60 anni; il ruolo non certo di “padre morbido”, ma di padre provveditore sì. E altro ancora … Molto altro.
Mio nonno (1893-1985), 91 anni. Giornalista localista, attore localista. Nato su lago da genitori sconosciuti. Di vocazione individualista. Autoritario per cultura. Camminatore e fumatore di toscani. Da lui ho appreso – fin dall’inizio – il gusto per la carta stampata, il desiderio impellente per la scrittura.
Dante Visconti (1916-1973), 57 anni. Mio professore di Lettere e storico del Risorgimento.
Gli devo ancora uno dei più grandi esercizi di memoria reiterativa. “Mandate a memoria il Canto XI dell’Inferno”:
D’ogne malizia, ch’odio in cielo acquista,
ingiuria è ‘l fine, ed ogne fin cotale
o con forza o con frode altrui contrista.
Dante Alighieri, Commedia, L’Inferno, XI, 22 e seguenti
Ha lasciato segni in me indelebili: “Ragiona con la tua testa”, “Mi illudo che tu abbia assorbito da me l’amore alla ricerca della chiarezza e all’indipendenza di pensiero”, “Leggi Pascoli, lascia stare Carducci”, “Attento … chi diventa cattolico per la folgorazione sulla via di Damasco poi esagera”. E, infatti, nel 1971 ho creduto di essere un credente cattolico. Ma era solo un’illusione: non ho la grazia della fede, ma solo la ragionevole ragione. Avevo un appuntamento con lui. Era come andare ad una seduta analitica: si passava da Plinio il Vecchio a Salvemini. Con escursione laterale all’Ulisse di James Joyce. Era puro piacere della conversazione. Telefonata: “Avevi un appuntamento con Dante, vero? … Dante non c’è più …”. Se un tronco ha bisogno di radici forti, questa è la più forte, profonda e duratura. E’ quella dei diciott’anni. Il fugace padre parallelo.
Tullio Aymone (1931-2002), 71 anni . Mi ha insegnato ad andare dentro al testo di sociologia, a ritesserne le trame, e soprattutto a decifrare le connessioni, a unire vicende individuali a vicenda storica. Metodo, innanzitutto, e poi contenuti. L’iniziatore alla mia professione. Ho già parlato di lui.
Carlo Tullio Altan (1916-2005), 89 anni. Il professore di antropologia culturale. Il suo solido e ineguagliato schema analitico dell’”uomo in situazione” è fortissimo e ancora oggi mi accompagna nella decifrazione dei segni dei tempi.
Franco Fornari (1921-1985), 64 anni. Il professore di psicanalisi che mi ha fatto studiare al momento giusto il trattato di Cesare Musatti: ottima scuola. I suoi semi sono nella complementarità fra “posizione paranoide” e “posizione proiettiva”. Insomma: come riconoscere il persecutore interno, prima ancora di proiettarlo all’esterno.
Laura Conti (1921-1993), 72 anni. La marxista che mi ha introdotto alla teoria del valore. La romanziera, la politica del Pci, la divulgatrice di testi scientifici, l’ambientalista. L’esperta di politiche sanitarie. La grande alleata della mia formazione e la persona che mi ha fatto proseguire nella professione. Anche di lei ho già parlato.
Enrico Berlinguer (1922-1984), 62 anni. Il politico della tradizione comunista, in bilico fra il passato e le sfide della democrazia rappresentativa. Strutturanti i suoi articoli del 1973 sul colpo di stato nel Cile e il conseguente compromesso storico, che trent’anni dopo ha generato il Partito democratico. E’ stato la mia necessaria mediazione alla militanza nel Pci:
Qualcuno era comunista
Perché Berlinguer
Era una brava persona
Giorgio Gaber
Oriana Fallaci (1929-2006), 77 anni. La magistrale impastratrice della lingua italiana che ha raccontato da giornalista di grande scuola gli ultimi decenni del novecento.La Cassandra inascoltata del ciclo storico che si è aperto con l’11 settembre 2001. Nessuna sua previsione è stata, finora, disconfermata.
E altri ancora, certamente.
Se in questi giorni ciascuno ripercorre il suo Pantheon personale troverà molte figure, come le mie, che soffiano questo avvertimento:
Guardando il mio Pantheon l’esercizio di meditazione che mi propongo nei giorni dei morti è quello di scorrere il tempo effettivamente trascorso da queste persone: dai 57 anni ai 91 anni, quando il ciclo è lungo.
E’ un pensiero che mi serve come stimolo a dare il giusto peso alle cose.
Il fatto è che non mi resta molto tempo.
Forse è meglio concentrarmi su ciò che ha più valore.
Che non è, certamente, la contingenza dei singoli eventi.
Ma, piuttosto, sono le tracce durevoli che si inscrivono nel mio tempo che resta.
Quali sono le radici che s’afferrano, quali i rami che crescono
Thomas Stearns Eliot, La terra desolata
Un brutto primo novembre per l’ammiraglio Giovanni Gumiero.
Sua moglie, Giovanna Reggiani (47 anni) è scesa dal treno in una isolata, desertica, pericolosa, buia stazione di una zona non periferica di Roma, anche se “bruciata” dallo sviluppo urbano. Qui è stata aggredita, si è difesa e, per reazione ed insopportabilità di questa sua reazione, un giovane romeno l’ha massacrata di botte, spappolandole la faccia, e buttandola in una scarpata di quattro metri. Poi è tornato nella sua baracca a contare il bottino. E’ stato catturato per la coraggiosa azione di una connazionale romena che ha fatto agire – lei sì, non alcuni ministri di cui sotto- il difficile, duro, complicato principio di responsabilità. C’è qualcosa di miracoloso nel vedere sopravvivere il gene dell’altruismo genetico anche dentro l’abisso della miseria.
Solo ieri il governo aveva varato una serie di disegni di legge sulla sicurezza, per avviarli verso l’approvazione del Parlamento.
A questi progetti legislativi la cosiddetta sinistra radicale di governo (un ex DS, uno di rifondazione comunista e un verde) si era opposta e messa di traverso (come a lorsignori piace dire), proprio nella parte riguardante la sicurezza urbana.
Ora – su tardiva pressione di Walter Veltroni – uno di quei progetti diventa immediatamente esecutivo e diventa possibile espellere cittadini comunitari per motivi di sicurezza.
Ci voleva un coma da violenza fisica e una probabile morte (infatti è morta qualche ora diìopo) per attivare nella sinistra massimalista quel principio di responsabilità che immediatamente ha esercitato – invece – la romena.
Ci sono due particolari nelle pieghe di questa vicenda che desidero annotare.
La prima è la rassomiglianza fra la mia situazione esistenziale e quella dell’ammiraglio Gumiero. Entrambi in età, senza figli e molto innamorati della propria moglie. Una moglie, come la mia, che non guida l’automobile e che si sposta solo su mezzi pubblici. Talvolta dovendo percorrere pezzi di strada isolati e insicuri. Come Giovanna Reggiani, che – per non prendere un taxi- preferiva camminare verso casa per settecento metri in una zona da Blade Runner o da Terra Desolata (Thomas Stearns Eliot).
La seconda notazione è di ieri notte. Dove in un programma notturno di cronaca – quello dei dibattiti da salotto con la musichetta di Via col vento – una tizia, approvata da un altro interlocutore, ha sostenuto che l’evento deriva dalla solitudine di questi migranti. Che, soli e deprivati negli affetti, si trovano nella condizione di cercarli con la violenza.
Il sociologhese e il psicologhese ha coniato un’altra categoria relativista: quello della “violenza fisica e sessuale da deprivazione culturale ed affettiva”.
Temo che il tema della sicurezza sia il tallone di Achille di un qualsiasi governo di centrosinistra.
Ed è dura per un elettore trovare, dall’altra parte, un’altra coalizione di governo che – indubbiamente – ha una politica per la sicurezza, ma al cui interno ha il partito di Alleanza nazionale, erede dei fascisti che si sono alleati con Hitler ed hanno mandato al macello del fronte russo le divisioni degli alpini. Come ha mirabilmente raccontato due sere fa Marco Paolini.
E’ l’importante questione che l’associazione Accanto – Amici dell’Hospice San Martino” ha messo sotto riflessione in città:
“il tempo che resta è ciò che resta a ciascuno dalla nascita all’ultimo delicato soffio o respiro.
Il compito è quello di riuscire a viverlo il meglio possibile”,
dice la locandina.
In tre settimane si sono dipanati tre film e un dibattito:
Le temps qui reste di Francois Ozon
Go Now di Michael Winterbottom
La mia vita senza di me di Isabel Coixet
Chi, come me, sta velocemente avvicinandosi ai 60 anni questo tema se lo pone.
Non dico insistentemente, ma spesso. Come una questione importante, ineliminabile, oggettiva.
Il nostro tempo è breve.
E’ breve sempre, sia che moriamo giovani (certo di più), sia che moriamo vecchi (di meno, ma con la stessa percezione che il tempo è breve).
E’ tema talmente rilevante che mi trascino di stanza in stanza questo libro:
Harald Weinrich, Il tempo stringe: arte ed economia della vita a termine, Il Mulino, 2006 (edizione originale: Knappe Zeit. Kunst un Okonomie des befristeten Lebens, 2004. Quindi sono grato a Francesca Rigotti che lo ha tradotto).
Ecco alcuni capitoli di questo libro: Breve è la vita, lunga è l’arte, il tempo urge nell’aldiquà e nell’aldilà, il dramma del tempo scarso, finitezza-infinitezza, vivere con termini e scadenze.
Weinrich è un magistrale esperto di linguistica e filologia e la sua ricerca è di immenso interesse.
Ma tornando alla città c’è stato anche un dibattito a cui sono intervenuti:
Maurizio Migliori, filosofo
Don Bruno Maggioni, teologo,
Giuliano Turone e Gherardo Colombo, magistrati.
Ho preso qualche appunto che ora raccolgo e lascio qui nel mio blog –diario.
La morte è un processo individuale che riguarda tutti. E’ l’evento più universale e “democratico” che ci sia. Per l’individuo è una esperienza del tutto irripetibile, che si conosce solo per averla vista solo attraverso il corpo di uno o più altri.
Questa è la sua “eccezionalità”: tocca a tutti e a ciascuno, per ogni persona capita solo una volta. L’esperienza che ne facciamo è sempre indiretta.
Le tecnologie mediche oggi ci pongono un problema. Un problema tipicamente “moderno”, cioè non presente nelle società del passato. Non era così nelle culture esplorate dalle letterature classiche o da quelle moderne. Diciamo fino almeno alla seconda metà del ‘900.
Il problema è quello delle diagnosi sempre più selettive e precise e quello del tempo concesso in più dalle tecnologie mediche.
Insomma, oggi la morte, che pure è coperta da mille tabù, oscurità, rimozioni sempre più può metterci davanti al nostro “Tempo che resta”. Può avvenire che uno di noi venga a conoscenza forte e viva che il suo viaggio volge al limite. Sapendolo, avendone coscienza. Una coscienza resa ancora più avvertita dalla tecnica
Amici, credo che sia
meglio per me ricominciare
a tirar giù la valigia.
Anche se non so bene l'ora
d'arrivo, e neppure
conosca quali stazioni
precedano la mia,
sicuri segni mi dicono,
da quanto m'è giunto all'orecchio
di questi luoghi, ch'io
vi dovrò presto lasciare.
Giorgio Caproni, Congedo del viaggiatore cerimonioso
Questo processo della fine della vita individuale investe le politiche e le istituzioni.
Un tempo si moriva a casa, poi in ospedale (nei reparti di medicina e geriatria). Oggi le istituzioni si specializzano: dal 1989 si è sviluppata in Italia la rete delle RSA- Residenze sanitarie assistenziali. Ed ora si creano gliHospice, strutture specializzate ad accompagnare in un contesto socio-sanitario alla morte i malati a prognosi infausta.
La novità è questa: nell’elenco delle situazioni estreme occorre aggiungere quello della:
E allora attorno e dopo questo problema nuovo ne nasce un altro:
si può “pensare” il tempo che resta?
Si può apprendere qualcosa di questa situazione? Si può “fare anima”, come direbbe James Hillman o Claudio Risè, attorno a questo evento.
Ci si può provare.
Maurizio Migliori, quella sera ci ha sapientemente provato. Per ora riassumo il suo denso contributo.
Poi ci penserò e ripenserò e correggerò ed amplierò.
Esordio:
La NOSTRA morte è impensabile. E’ impossibile da razionalizzare.
Possiamo applicare funzioni di pensiero solo alla morte degli altri.
Tuttavia la morte ha anche una funzione attiva sulla vita. Sulla vita intera e sul frammento finale:
la morte tende ad attribuire senso al tempo che resta
Gli immortali dei romanzi di fantascienza e di fantasy sono dei soggetti infelici. Per loro il tempo eterno arriva a perdere significato. Non sanno cosa fare. Ricordo qui il discorso finale del perfetto robot in Blade Runner.
La morte può produrre apprendimento:
dà il senso del limite
Cioè fornisce coscienza che siamo esseri finiti e limitatissimi.
Siamo foglie, foglie importanti, ma foglie.
Ricordo una frase di Alberto Moravia: “siamo rugiada della notte che si asciuga al sole”.
E’ la coscienza di un limite pesante perché la natura è concentrata sulla viva non ci viene in aiuto per la morte:
alla natura la morte non interessa,
alla natura interessa solo la specie, non l’individuo
La natura non ci aiuta. Anzi si allontana quando si avvicina la morte.
Allora, cosa possiamo fare in una situazione di coscienza non solo della ineluttabilità della morte, ma del tempo scarso, come ben dice Weinrich?
Possiamo, facendoci anche aiutare, fare questo:
attraversare la nostra vita, l’unica cosa che veramente ci appartiene,
alla luce della certezza della morte.
Nessuno può dare istruzioni in proposito, data la singolarità dell’evento finale.
Tuttavia qualche cosa può essere pensato. Già: pensare. Visto che la specie umana ha sviluppato la coscienza ed il pensiero. E proprio perché li ha elaborati ha anche necessariamente elaborato il tema della angoscia della morte. Lo sa bene chi possiede animali: soffrono, provano dolore, si nascondono. Ma non hanno coscienza della morte. Avvertono il dolore, quella cosa che non sentivano prima. E noi possiamo alleviarlo.
Alcune cose che possono essere pensate:
occorre sapere da subito che “il tempo è poco”
Questo vale anche per i più giovani. Non è un problema dei pre-vecchi, come io sono, o dei vecchi. Anche un giovane dovrebbe apprendere che il tempo è poco. Non è facile, anzi sembra impossibile nella società dei consumi e dell’immagine.
Occorre poi:
sapere che siamo in cammino.
E che questo cammino ha delle tappe e che il tempo non non va sprecato.
Come? Per esempio non concentrandosi su una sola cosa. Il lavoro, l’ideologia, il divertimento. Allargare il campo degli interessi. Come Tarzan: attaccarsi a più liane. Volare e prenderne un’altra.
Poi si può, piano piano, senza masochismi eccessivi (come ho detto proprio questa mattina ad Arsenico, che pure il tema della sofferenza lo maneggia professionalmente)
prepararsi ed accettare questo processo
Allenarsi ad accettarlo
Dire “non me lo aspettavo” è un insulto alla intelligenza.
No: è nella gamma delle possibilità. O per cause probabilistiche, come nei mestieri pericolosi. O per rischi accettati. O, comunque, per biologia. Naturalmente si deve fare di tutto per ridurre i rischi
Però può succedere.
O nell’attimo dell’incidente e delle bombe nelle metropolitane (è un mio chiodo fisso: ma se loro mi dicono “ti odio e ti voglio uccidere”, io gli credo).
O in un decorso lungo e assistito.
E allora cosa pi può ancora fare in questo percorso che è la mia vita, la tua vita?
si può relazionarsi con il mondo,
si può tentare di lasciare un segno della nostra presenza
Si può scrivere una poesia: magari l’unica poesia. Ma la mia. Sì : anche un haiku, senza la tecnica dell’haiku
Si può fare un dipinto: magari l’unico, ma il mio.
Si può scrivere in un blog. Chissà mai che questi segni dell’elettronica lascino da qualche parte una traccia di sé. E illuminino il cammino di un qualunque altro
E dove si inscrivono le tracce di sé?
In altre persone. Come un software invisibile che però plana su un hardware.
Ecco la funzione delle biblioteche.
La funzione delle piazze e delle vie.
La funzione dei rituali.
Tutto questo si può e deve fare.
Sapendo, tuttavia che il passaggio finale è solitario.
Soli, soli, soli.
E chi ha la fortuna di avere la fede se la tenga cara e molto stretta.
E chi non l’ha, e io sono uno che non l’ha, avrà uno strumento in meno.
Ma chissà se in quel momento anche chi ha la fede non vacillerà, almeno per un attimo?
Soli, soli, soli.
Apprendo dal blog di Mondo Jazz che è morto Tony Scott (1921-2007)
Lunga vita: ci farei la firma, come si dice.
Mi capita in questi giorni in cui ho da riflettere sul Tempo che resta.
Lo ricordo con una delle varie registrazioni che il glorioso produttore di musica Paolo Piangiarelli della Philology in questi ultimi anni gli ha affettuosamente e pazientemente promosso:
My Funny Valentine
in The clarinet Album, Philology, 13 aprile 1993
Attenzione. Richiederebbe un ascolto attento, meditato e pensoso. Magari al buio. Sono soffi di clarino di 11 minuti.
Qualcosa di abbastanza unico.
Tony Scott aveva 72 anni
Gli altri musicisti sono:
Massimo Farao (p.)
Aldo Zunino (cb)
Giulio Capiozzo (batt.)
Laura Conti, biografia e voce dal passato.
Dedicato a Prisma, che è ha spinto alla ricerca della voce
Negli anni 1972- 1990 ho avuto la fortuna di frequentare, in una relazione che ha intrecciato innanzitutto l’amicizia e poi la politica, una straordinaria donna del nostro secondo Novecento: Laura Conti (1921-1993)
Da lei ho imparato aspetti importanti del mio lavoro: l’impostazione teorica da dare agli studi storici, il funzionamento delle politiche sociali, l’uso non dogmatico nell’utilizzare il metodo nell’analisi dei fatti sociali, l’osservazione e la pratica dei ruoli amministrativi nelle istituzioni. Ora che sono più vecchio comprendo meglio che da lei ho imparato soprattutto un modo di affrontare le questioni della vita ed i compiti che ci sono assegnati nel percorrere la strada che il destino ci ha assegnato.
Laura Conti è stata per me una vera scuola parallela. Probabilmente quella più formativa, perchè appresa faccia a faccia, nella vicinanza della discussione intensa.
Andavo da lei con il blocco degli appunti. E talvolta registravo le sue parole.
Provavo nei suoi confronti una devozione filiale. Ammiravo la sua scrittura, la sua verve, le sue straordinarie capacità nell’estrarre da un libro il filo da inseguire e da elaborare in quadri e prospettive del tutto diverse da quelle impostate dallo stesso autore. Aveva una cultura di spettro ampissimo: medicina, biologia, economia, diritto, antropologia, sociologia. Ma tutto sempre inserito in quadri storici. Conversare con lei era un irripetibile godimento intellettuale.
Andavo a prenderla sotto casa e la portavo fuori a cena. In modo che potessimo parlare in auto. Infatti la sua voglia di leggere e studiare la portava ad amministrare con oculatezza il suo tempo. Ognuno di questi appuntamenti di amicizia con me (più volte mi ha detto che ero come suo figlio) era per lei tempo sottratto ai suoi studi voraci. E quando tornava a casa, attorno a mezzanotte, andava avanti sul libro che aveva interrotto poche ore prima.
Di lei conservo vivi ricordi personali (racconti biografici, storie di persone conosciute, valutazioni sulla politica) ed anche molti suoi scritti.
La vita attiva ed adulta delle persone può essere opportunamente scandita in fasi.
Per quanto mi riguarda vedo il film della sua biografia in questo modo:
la giovinezza dei vent’anni (laurea in medicina in piena guerra, Resistenza, internamento nel lager di Bolzano);
l’immediato dopoguerra e la militanza nel Psi e la successiva scelta del Pci, negli anni ’50;
amministratrice negli enti locali, alla Provincia di Milano, negli anni ’70;
la fase pionieristica dell’ avvio delle Regioni, nel ruolo di consigliere regionale, che si è intrecciata con la “folgorazione” del pensiero ambientalista e sua conversione su questo modello di pensiero (prima metà degli anni ’80);
elezione nel Parlamento italiano e in quello europeo (seconda metà degli anni ’80);
la sua contrarietà alla trasformazione del Pci in Pds (1989-1993). Un mondo che le cadeva addosso.
E qui c’è la mia ferita, perchè in quell’arco di tempo le nostre strade si sono diversificate e – come è successo per molti militanti – si è rotta anche questa amorevole amicizia. Nessun rimpianto, come dice Giorgio Gaber nella sua canzone “Qualcuno era comunista”. Ma certo un dispiacere cui non si può porre rimedio. Tanto più che , successivamente, sotto gli impulsi della storia le mie prospettive politiche sono ulteriormente cambiate, fino ad avere scritto 11 settembre 2001-11 settembre 2006. To Cross the Line , cioè qualcosa che in quegli anni mi sarebbe apparso del tutto impossibile anche solo pensare.
Resta, dunque, quel ricordo indelebile e intatto nei fili della memoria.
Ma poi, molto dopo la sua morte, ricevetti da una assessora della Provincia di Bolzano una lettera che mi sollecitava a ricordare che Laura aveva anche sfiorato la deportazione nel lager di Mathausen. Ne parla Piero Caleffi nel libro Si fa presto a dire fame (edizioni del Gallo 1954 e poi Mondadori, 1967). Ne parla anche Laura, ma in una rarefatta forma letteraria, nel libro La condizione sperimentale, Mondadori.
La Fondazione Micheletti di Brescia conserva circa 6.000 volumi della sua biblioteca e vari altri materiali di studio (appunti, ritagli, corrispondenza, scritti, materiali di lavoro, testi relativi all’attività politica e a pubblicazioni, rassegne stampa).
Nel disco/libro di Tina Franchini e Fiorella Ferrazza, Come nascono i bambini,
Edizioni I Dischi del sole, c’è un microsolco 33 giri con la sua voce.
L’ho cercato e ritrovato fra le cose che si conservano. E fra poco sentiremo questo ulteriore esempio della sua poliedricità: quella della divulgatrice scientifica, in particolare di biologia
Il 5 dicembre 2006 la cara amica Prisma mi ha inviato questa lettera, che riporto quasi per intero:
ciao …, a proposito di sincronicità, questa mattina sono dovuta andare in lega ambiente di Milano, dove, per puro caso, ho visto un vecchio volantino che parlava di una commemorazione di laura conti. mi sono ricordata che … ci sono più pagine dedicate a lei, così ho chiesto informazioni. sono stati gentilissimi. magari le saprai già, comunque te le passo. il 3 maggio 2006, in occasione dei 30 anni di seveso e dei 60 anni della casa della cultura, di cui lei è stata segretaria, è stata organizzata dalla provincia di Milano in collaborazione con lega ambiente una cerimonia di commemorazione. ma la cosa più bella è avvenuta il 2 novembre 2006. su proposta di letizia moratti, al "Famedio" (Tempio della Fama), del cimitero monumentale di Milano, dove ci sono le tombe del manzoni, di verdi, ecc., ci sono anche apposte, lungo le pareti, delle lapidi di marmo con incisi i nomi di più personaggi benemeriti. il 2 novembre è stata apposta anche la lapide di laura conti. inoltre sul sito www.altronovecento.quipo.it, rivista on line promossa dalla fondazione micheletti, compare un numero monografico su laura conti. queste informazioni me le ha date una signora gentilissima, la dottoressa ..., considerata una delle memorie storiche di laura …. Sono certo che anche una piccola testimonianza, come questa pagina, può intrecciare altre informazioni e ricordi. E' come portare dei fiori alla cara Laura, che in questo momento riaffiora alla mia mente attraverso il suo sorriso e quel gaio
Fiori, fiori per Laura. E’ il mio motto Ecco qui. Sono riuscito ad estrarre da un vecchio disco a 33 giri questa lettura: Laura Conti Lo sai come nascono i bambini?
L’audio e’ stato cancellato dallo spazio su Splinder
E’ un documento audio che va storicizzato, ai primissimi anni ’70. Quando parlare di educazione sessuale era ancora una impresa difficile e irta di ostacoli. L’obiettivo era parlare di riproduzione sessuale a bambini molto piccoli. Vorrei che si apprezzasse la dolcezza di quella voce, l’ironia, il timbro. E che ve la immaginiate quando parlava di economia, di politica, di diritto, di storia, di antropologia. Perché oggi questo documento audio? Non c’è un motivo particolare. Era arrivato il momento. Quando si è su tracce e sentieri ogni momento può essere quello giusto.
Lo stampo, poi lo lascio alla mia dolce metà (che oggi tanto dolce non è).
Saluti,
Addison.
PS – anche se dici no, lo faccio lo stesso 😀
PS2 – Yoav pare proprio buono.