«Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa.»
Non ragioniam di lor, ma guarda e passa – Wikipedia
Categoria: Ideologie: Destra e Sinistra
quando berlusconi andava in Russia per il compleanno di (s) putin – Adnkronos.com, 8 ottobre 2019
Le ideologie ritengono che una sola idea basti a spiegare ogni cosa … Hannah Arendt, in Le origini del totalitarismo

Chiedimi chi erano i comunisti. Intervista di Simonetta Fiori sul libro: Ezio MAURO, La dannazione, Feltrinelli, 2020, in Il Venerdì di Repubblica 20 nov 2020
GIANNI RODARI, Il paese senza errori

il terrorismo, dal punto di vista ideologico, è sorto all’interno delle scuole, delle università e delle fabbriche, da una lettera a la Provincia di Como del 19 marzo 2018
La “profezia” di Filippo Turati (Canzo, 26 novembre 1857 – Parigi, 29 marzo 1932) al Congresso di Livorno del 1921, citazione ripresa da Wikipedia
« Ciò che ci distingue non è la generale ideologia socialista – la questione del fine e neppure quella dei grandi mezzi (lotta di classe, conquista del potere ecc.) – ma è la valutazione della maturità della situazione e lo apprezzamento del valore di alcuni mezzi episodici.
Primo fra questi la violenza, che per noi non è, e non può essere, programma, che alcuni accettano pienamente e vogliono organizzare [commenti], altri accettano soltanto a metà (unitari comunisti o viceversa). Altro punto di distinzione è la dittatura del proletariato, che per noi, o è dittatura di minoranza, e allora non è che dispotismo, il quale genererà inevitabilmente la vittoriosa controrivoluzione, o è dittatura di maggioranza, ed è un evidente non senso, una contraddizione in termini poiché la maggioranza è la sovranità legittima, non può essere la dittatura. Terzo punto di dissenso è la coercizione del pensiero, la persecuzione, nell’interno del Partito, dell’eresia, che fu l’origine ed è la vita stessa del Partito, la grande sua forza salvatrice e rinnovatrice, la garanzia che esso possa lottare contro le forze materiali e morali che gli si parano di contro. Ora tutti e tre questi concetti si risolvono poi sempre in un solo: nel culto della violenza, sia esterna sia interna, e hanno tutti e tre un presupposto, nel quale è il vero punto di divergenza tra noi: la illusione che la rivoluzione sia il fatto volontario di un giorno o di un mese, sia l’improvviso calare di un scenario o l’alzarsi di un sipario, sia il fatto di un domani e di un posdomani del calendario; e la rivoluzione sociale non è un fatto di un giorno o di un mese, è il fatto di oggi, di ieri e di domani, è il fatto di sempre, che esce dalle viscere stesse della società capitalista, del quale noi creiamo soltanto la consapevolezza, e così agevoliamo l’avvento; mentre nella rivoluzione ci siamo; e matura nei decenni, e trionferà tanto più presto, quanto meno lo sforzo della violenza, provocando prove premature e suscitando reazioni trionfatrici ne deriverà ed indugierà il cammino. Ond’è che per noi gli scorcioni sono sempre la via più lunga, e la via, che altri crede più lunga, è stata e sarà sempre la più breve. La evoluzione si confonde nella rivoluzione, è la rivoluzione stessa, senza sperperi di forze, senza delusioni e senza ritorni. (…) Questo culto della violenza, che è un po’ negli incunaboli di tutti i partiti nuovi, che è strascico di vecchie mentalità che il Socialismo marxista ha disperse, della vecchia mentalità insurrezionista, blanquista, giacobina, che volta a volta sembra tramontata e poi risorge di nuovo, e a cui la guerra ha ridato un enorme rigoglio, non può essere di fronte alla complessità della lotta sociale moderna, che una reviviscenza morbosa ed effimera. Organicamente la violenza è propria del capitalismo, non può essere del socialismo. E propria delle minoranze che intendono imporsi e schiacciare le maggioranze, non già delle maggioranze che vogliono e possono, con le armi intellettuali e coi mezzi normali di lotta, imporsi per legittimo diritto. La violenza è il sostitutivo, è il preciso contrapposto della forza. È anche un segno di scarsa fede nella idea che si difende, di cieca paura delle idee avversarie. È, insomma, in ogni caso, un rinnegamento, anche se trionfi per un’ora, poiché apre inevitabilmente la strada alla reazione della insopprimibile libertà della coscienza umana, che ben presto, diventa controrivoluzione, che diventa vittoria e vendetta dei comuni nemici. (…) Con la violenza che desta la reazione, metterete il mondo intero contro di voi. Questo è il nostro pensiero di oggi, di ieri, di sempre, ma sopra tutto in periodo di suffragio universale: quando voi tutto potrete se avete coscienza e, se no, nulla potrete ad ogni modo. Perché voi siete il numero e siete il lavoro, e sarete i dominatori necessari del mondo di domani a un solo patto: che non mettiate, con la violenza, tutto il mondo contro di voi. Ecco il tondo del solo nostro dissenso, che è di oggi come di ieri, nel quale sempre insorgemmo e ci differenziammo. E quando Terracini ci dice, credendo coglierci in contraddizione: lanci la prima pietra chi in qualche momento, nel Partito, non fece appello alle violenze più pazze, io posso francamente rispondergli: eccomi qua! quella pietra io posso lanciarla [applausi vivissimi]. Sì, a noi può dolere che questa mostruosa fioritura psicologica di guerra ci divida fra noi, ci allontani tutti quanti dalla mèta, ci faccia perdere anni preziosi, facendo involontariamente il massimo tradimento al proletariato, che noi priviamo di tutte le enormi conquiste che potrebbe oggi conseguire, sacrificandolo alle nostre divisioni ed alle nostre impazienze, suscitando tutte le forze della controrivoluzione. Si, noi lottiamo oggi troppo spesso contro noi stessi, lavoriamo per i nostri nemici, siamo noi a creare la reazione, il fascismo, ed il partito popolare. Intimidendo ed intimorendo, proclamando (con suprema ingenuità anche dal punto di vista cospiratorio) l’organizzazione dell’azione illegale, vuotando di ogni contenuto l’azione parlamentare che non è già l’azione di pochi uomini, ma dovrebbe essere, col suffragio universale, la più alta efflorescenza di tutta l’azione, prima di un partito, poi di una classe; noi avvaloriamo e scateniamo le forze avversane che le delusioni della guerra avevano abbattute, che noi avremmo potuto facilmente debellare per sempre. (…) Le vie della storia non sono facili. Noi possiamo cercare di abbreviarle con sincerità, sdegnosi di popolarità, facilmente accettate a prezzo di formule ambigue. E questo noi facciamo e faremo, e con voi e fra voi, o separati da voi, perché è il nostro preciso dovere. Noi saremo sempre col Proletariato che combatte la sua lotta di classe. (…) Fu unicamente il culto di alcune frasi isolate da comizio (la violenza levatrice della nuova storia” e somiglianti), avulse dal complesso dei testi, e ripetute per accidia intellettuale che, in unione alle naturali ribellioni del sentimento, velò a troppi di noi il fondo e la realtà della dottrina marxista. Quel culto delle frasi, in odio al quale Marx amava ripetere che egli, per esempio, “non era marxista”, e anche a me – di cento cubiti più piccolo – a udire le scemenze di certi pappagalli, accadde di affermare che io non sono turatiano [Ilarità]. Perché nessuna formula – neanche quella di Mosca – sostituirà mai il possesso di un cervello, che, in contatto coi fatti e con le esperienze, ha il dovere di funzionare. (…) Sul terreno pratico, quarant’anni o poco meno di propaganda e di milizia mi autorizzano ad esprimervi sommariamente un’altra convinzione. Potrei chiamarla (se la parola non fosse un po’ ridicola) una profezia, facile profezia e per me di assoluta certezza. Vi esorto a prenderne nota. Fra qualche anno – io non sarò forse più a questo mondo – voi constaterete se la profezia si sia avverata. Se avrò fallito, sarete voi i trionfatori. Questo culto della violenza, violenza esterna od interna, violenza fisica o violenza morale – perché vi è una violenza morale, che pretende sforzare le mentalità, far camminare il mondo sulla testa (…), e che è ugualmente antipedagogica e contraria allo scopo – non è nuovo (…), nella storia del socialismo italiano, come di altri Paesi. E il comunismo critico di Marx e di Engels ne fu appunto la più gagliarda negazione. Ma, per fermarci all’arretrata Italia, che, come stadio di evoluzione economica, sta, a un dipresso, di mezzo fra la Russia e la Germania, la storia dei nostri Congressi, che riassume in qualche modo le fasi del Partito, (…) quella storia dimostra a chiare note come cotesta lotta fra il culto della violenza che pretende di imporsi col miracolo ed il vero socialismo che lo combatte, è stata sempre, nelle più diverse forme, a seconda dei momenti e delle circostanze, il dramma intimo e costante del partito socialista. Ma il socialismo, in definitiva, fu sempre il trionfatore contro tutte le sue deviazioni e caricature. (…) nella storia del nostro partito l’anarchismo fu rintuzzato, il labriolismo finì al potere, il ferrismo, anticipazione, come ho detto, del graziadeismo [nuova ilarità], fece le capriole che sapete, l’integralismo stesso sparì e rimase il nucleo vitale: il marcio riformismo, secondo alcuni, il socialismo, secondo noi, il solo vero, immortale, invincibile socialismo, che tesse la sua tela ogni giorno, che non fa sperare miracoli, che crea coscienze, sindacati, cooperative, conquista leggi sociali utili al proletariato, sviluppa la cultura popolare (senza la quale saremo sempre a questi ferri e la demagogia sarà sempre in auge), si impossessa dei Comuni, del Parlamento, e che, esso solo, lentamente, ma sicuramente, crea con la maturità della classe, la maturità degli animi e delle cose, prepara lo Stato di domani e gli uomini capaci di manovrarne il timone. (…) La guerra doveva rincrudire il fenomeno. La lotta sarà più dura, più tenace e più lunga, ma la vittoria è sicura anche questa volta. (…) Fra qualche anno il mito russo, che avete il torto di confondere con la rivoluzione russa, alla quale io applaudo con tutto il cuore (Voce – Viva la Russia!) …. il mito russo sarà evaporato ed il bolscevismo attuale o sarà caduto o si sarà trasformato. Sotto le lezioni dell’esperienza (…) le vostre affermazioni d’oggi saranno da voi stessi abbandonate, i Consigli degli operai e dei contadini ( e perché no dei soldati?) avranno ceduto il passo a quel grande Parlamento proletario, nel quale si riassumono tutte le forze politiche ed economiche del proletariato italiano, al quale si alleerà il proletariato di tutto il mondo. Voi arriverete così al potere per gradi… Avrete allora inteso appieno il fenomeno russo, che è uno dei più grandi fatti della storia, ma di cui voi farneticate la riproduzione meccanica e mimetistica, che è storicamente e psicologicamente impossibile, e, se possibile fosse, ci ricondurrebbe al Medio evo. Avrete capito allora, intelligenti come siete [ilarità], che la forza del bolscevismo russo è nel peculiare nazionalismo che vi sta sotto, nazionalismo che del resto avrà una grande influenza nella storia del mondo, come opposizione ai congiurati imperialismi dell’Intesa e dell’America, ma che è pur sempre una forma di imperialismo. Questo bolscevismo, oggi – messo al muro di trasformarsi o perire – si aggrappa a noi furiosamente, a costo di dividerci, di annullarci, di sbriciolarci; s’ingegna di creare una nuova Internazionale pur che sia, fuori dell’Internazionale e contro una parte di essa, per salvarsi o per prolungare almeno la propria travagliata esistenza; ed è naturale, e non comprendo come Serrati se ne meravigli e se ne sdegni, che essa domandi a noi, per necessità della propria vita, anzi della vita del proprio governo, a noi che ci siamo fatti così supini, e che preferiamo esserne strumenti anziché critici, per quanto fraterni, ciò che non oserà mai domandare né al socialismo francese né a quello di alcun altro paese civile. Ma noi non possiamo seguirlo ciecamente, perché diventeremmo per l’appunto lo strumento di un imperialismo eminentemente orientale, in opposizione al ricostituirsi della Internazionale più civile e più evoluta, l’Internazionale di tutti i popoli, l’Internazionale definitiva. Tutte queste cose voi capirete fra breve e allora il programma, che state (…) faticosamente elaborando e che tuttavia ci vorreste imporre, vi si modificherà fra le mani e non sarà più che il vecchio programma. Il nucleo solido, che rimane di tutte queste cose caduche, è l’azione: l’azione, la quale non è l’illusione, il precipizio, il miracolo, la rivoluzione in un dato giorno, ma è l’abilitazione progressiva, libera, per conquiste successive, obbiettive e subiettive, della maturità proletaria alla gestione sociale. Sindacati, Cooperative, poteri comunali, azione parlamentare, cultura ecc., ecc., tutto ciò è il socialismo che diviene. E, o compagni, non diviene per altre vie. Ancora una volta vi ripeto: ogni scorcione allunga il cammino; la via lunga è anche la più breve… perché è la sola. E l’azione è la grande educatrice e pacificatrice. Essa porta all’unità di fatto, la quale non si crea con le formule e neppure con gli ordini del giorno, per quanto abilmente congegnati, con sapienti dosature farmaceutiche di fraterno opportunismo. Azione prima e dopo la rivoluzione – perché dentro la rivoluzione – perché rivoluzione essa stessa. Azione pacificatrice, unificatrice. (…) Ond’è, che quand’anche voi avrete impiantato il partito comunista e organizzati i Soviet in Italia, se uscirete salvi dalla reazione che avrete provocata e se vorrete fare qualche cosa che sia veramente rivoluzionario, qualcosa che rimanga come elemento di società nuova, voi sarete forzati, a vostro dispetto – ma lo farete con convinzione, perché siete onesti – a ripercorrere completamente la nostra via, la via dei social-traditori di una volta; e dovrete farlo perché è la via del socialismo, che è il solo immortale, il solo nucleo vitale che rimane dopo queste nostre diatribe. E dovendo fare questa azione graduale, perché tutto il resto è clamore, è sangue, orrore, reazione, delusione; dovendo percorrere questa strada, voi dovrete fino da oggi fare opera di ricostruzione sociale. Io sono qui alla sbarra, dovrei avere le guardie rosse accanto… [Si ride], perché, in un discorso pronunziato il 26 giugno alla Camera: Rifare l’Italia!, cercai di sbozzare il programma di ricostruzione sociale del nostro paese. Ebbene, leggetelo quel discorso, che probabilmente non avete letto, ma avete fatto male [Ilarità]. Quando lo avrete letto, vedrete che questo capo di imputazione, questo corpo di reato, sarà fra breve il vostro, il comune programma. [Approvazioni]. Voi temete oggi di ricostruire per la borghesia, preferite di lasciar crollare la casa comune, e fate vostro il “tanto peggio, tanto meglio!” degli anarchici, senza pensare che il “tanto peggio” non dà incremento che alla guardia regia ed al fascismo. [Applausi]. Voi non intendete ancora che questa ricostruzione, fatta dal proletariato con criteri proletari, per se stesso e per tutti, sarà il miglior passo, il miglior slancio, il più saldo fondamento per la rivoluzione completa di un giorno. Ed allora, in quella noi trionferemo insieme. Io forse non vedrò quel giorno: troppa gente nuova è venuta che renderà aspra la via, ma non importa. Maggioranza o minoranza non contano. Fortuna di Congressi, fortuna di uomini, tutto ciò è ridicolo di fronte alle necessità della storia. Ciò che conta è la forza operante, quella forza per la quale io vissi e nella cui fede onestamente morrò uguale sempre a me stesso. Io combatterei per essa. Io combatterei per il suo trionfo: e se trionferà anche con voi, è perché questa forza operante non è altro che il socialismo. Evviva il Socialismo! » |
(Filippo Turati – dal “Discorso al XVII Congresso Socialista del 1921”) |
il paradosso della sinistra estremista: “L’elettore di sinistra non esiste …
L’elettore di sinistra non esiste.
Perchè o è elettore e quindi vuole vincere per eleggere qualcuno
O è di sinistra, e non vuole vincere.
Quindi non può essere elettore.
Se è di sinistra, può solo perdere
Roan Johnson, in 7 Corsera, 2 ottobre 2017
Ada Buffulini, QUEL TEMPO TERRIBILE E MAGNIFICO. Lettere clandestine da San Vittore e dal lager di Bolzano e altri scritti, a cura di Dario Venegoni, prefazione di Tiziana Valpiana, Mimesis editore, 2015
LE DUE PIAZZE di sabato 28 marzo e come anticipava Giorgio Gaber con DESTRA/SINISTRA
AUDIO DI : Giorgio Gaber Destra – Sinistra
ma io dico che la colpa è nostra
è evidente che la gente è poco seria
quando parla di sinistra o destra.
Ma cos’è la destra cos’è la sinistra…
Ma cos’è la destra cos’è la sinistra…
Fare il bagno nella vasca è di destra
far la doccia invece è di sinistra
un pacchetto di Marlboro è di destra
di contrabbando è di sinistra.
Ma cos’è la destra cos’è la sinistra…
Una bella minestrina è di destra
il minestrone è sempre di sinistra
tutti i films che fanno oggi son di destra
se annoiano son di sinistra.
Ma cos’è la destra cos’è la sinistra…
Le scarpette da ginnastica o da tennis
hanno ancora un gusto un po’ di destra
ma portarle tutte sporche e un po’ slacciate
è da scemi più che di sinistra.
Ma cos’è la destra cos’è la sinistra…
I blue-jeans che sono un segno di sinistra
con la giacca vanno verso destra
il concerto nello stadio è di sinistra
i prezzi sono un po’ di destra.
Ma cos’è la destra cos’è la sinistra…
I collant son quasi sempre di sinistra
il reggicalze è più che mai di destra
la pisciata in compagnia è di sinistra
il cesso è sempre in fondo a destra.
Ma cos’è la destra cos’è la sinistra…
La piscina bella azzurra e trasparente
è evidente che sia un po’ di destra
mentre i fiumi, tutti i laghi e anche il mare
sono di merda più che sinistra.
Ma cos’è la destra cos’è la sinistra…
L’ideologia, l’ideologia
malgrado tutto credo ancora che ci sia
è la passione, l’ossessione
della tua diversità
che al momento dove è andata non si sa
dove non si sa, dove non si sa.
Io direi che il culatello è di destra
la mortadella è di sinistra
se la cioccolata svizzera è di destra
la Nutella è ancora di sinistra.
Ma cos’è la destra cos’è la sinistra…
Il pensiero liberale è di destra
ora è buono anche per la sinistra
non si sa se la fortuna sia di destra
la sfiga è sempre di sinistra.
Ma cos’è la destra cos’è la sinistra…
Il saluto vigoroso a pugno chiuso
è un antico gesto di sinistra
quello un po’ degli anni ’20, un po’ romano
è da stronzi oltre che di destra.
Ma cos’è la destra cos’è la sinistra…
L’ideologia, l’ideologia
malgrado tutto credo ancora che ci sia
è il continuare ad affermare
un pensiero e il suo perché
con la scusa di un contrasto che non c’è
se c’è chissà dov’è, se c’é chissà dov’é.
Tutto il vecchio moralismo è di sinistra
la mancanza di morale è a destra
anche il Papa ultimamente
è un po’ a sinistra
è il demonio che ora è andato a destra.
Ma cos’è la destra cos’è la sinistra…
La risposta delle masse è di sinistra
con un lieve cedimento a destra
son sicuro che il bastardo è di sinistra
il figlio di puttana è di destra.
Ma cos’è la destra cos’è la sinistra…
Una donna emancipata è di sinistra
riservata è già un po’ più di destra
ma un figone resta sempre un’attrazione
che va bene per sinistra e destra.
Ma cos’è la destra cos’è la sinistra…
Tutti noi ce la prendiamo con la storia
ma io dico che la colpa è nostra
è evidente che la gente è poco seria
quando parla di sinistra o destra.
Ma cos’è la destra cos’è la sinistra…
Ma cos’è la destra cos’è la sinistra…
Destra-sinistra
Destra-sinistra
Destra-sinistra
Destra-sinistra
Destra-sinistra
Basta!
Siamo tutti Charlie! – Una mostra contro la censura, per la libertà di espressione –
Giorgio Cavalleri mi suggerisce la lettura di: Pietro Brignoli, Santa messa per i miei fucilati. Le spietate rappresaglie italiane contro i partigiani in Croazia dal diario di un cappellano, Longanesi, 1973
Durante la visita che ci hanno fatto Giorgio ed Elisabetta Cavalleri, colgo l’occasione per parlare con lui del libro BELLA CIAO, controstoria della resistenza di Giampaolo Pansa (Rizzoli, 2014). Di quest’ultimo libro mi è rimasta impresso in particolare la doppiezza dei comunisti di allora: da una parte persone indubbiamente coraggiose che hanno combattuto con tenacia contro i fascisti e i nazisti che occupavano il Nord Italia dopo il 1943, dall’altra persone estremamente intrise della ideologia centrata sulla “spallata rivoluzionaria” da loro sperata in rapporto alla rivoluzione sovietica del 1917. Costoro avevano, per così dire, due nemici: in primo luogo i nazifascisti, ma in second luogo anche gli eventuali “nemici interni” che non aderivano compiutamente a quel progetto politico.
Le conseguenze sono state molte volte tragiche per i destini individuali . Si trattava di fare una lotta armata che contemplava sia obiettivi militari, sia attentati a singole persone allo scopo di dimostrare la propria presenza ed i propri obiettivi.
Giorgio Cavalleri, nella conversazione, nega che i comunisti in quei tempi volessero effettivamente fare una rivoluzione di tipo sovietico (ossia organizzata da gruppi minoritari molto ideologizzati e disciplinati, come insegnava il leninismo).
Per raccontare quel contesto storico e culturale, Giorgio mi ha proposto di leggere il seguente libro: Pietro Brignoli, SANTA MESSA PER I MIEI FUCILATI, Le spietate rappresaglie italiane contro i partigiani in Croazia, dal diario di un cappellano.
E’ un libro di terribile testimonianza che mostra in tutta evidenza quali tempi tremendi fossero quelli. Pietro Brignoli era un prete, al seguito dell’esercito italiano, che aveva il compito di assistenza religiosa alle persone che venivano rastrellate, sommariamente giudicate e poi fucilate. Fra i “colpevoli” c’erano gli “innocenti” che per caso finivano per essere catturati
Il racconto parla di paura, di coraggio, di “grazie dell’olio santo”, di miserie personali, di amarissime delusioni. E di crudeltà insopportabili per le nostre attuali sensibilità.
E’ un libro che conferma l’importanza cruciale della politica nel condizionare e distruggere le singole vite.
In quegli anni prima il fascismo italiano strinse un patto, assieme ai nazisti, con l’Unione Sovietica di Stalin, poi l’Italia venne divisa in due nel pieno della seconda guerra mondiale e da una parte arrivarono gli americani e dall’altra l’Italia condivise l’alleanza e infine la sconfitta dei nazisti.
In questi eventi storici scanditi in un arco di tempo piuttosto limitato (1938-1945: sette anni) avvennero per l’appunto le nefandezze raccontate da Pietro Brignoli e Giampaolo Pansa.
La politica consiste proprio in questo: nel determinare scelte collettive che in modo inevitabile e per così dire “scientifico” (ecco perchè occorre parlare di “scienza politica”) travolgono le singole persone, le loro identità, i loro specifici destini individuali.
Quei sette anni questo ci insegnano.
L’unica cosa che si può fare è restituire la memoria a quelle persone (ed è quello che fanno storici come Cavalleri e Gabriele Giannantoni o giornalisti come Pansa) sperando di sviluppare una coscienza collettiva in rapporto, per l’appunto, a decisioni che possono comportare quegli effetti così tragici
Purtroppo la cronaca quotidiana di questi giorni (mi riferisco alla Siria, all’Iraq e all’islamismo terrorista dell’ISIS) mostra ancora una volta la “legge scientifica” della sequenza prima la politica e poi i singoli destini personali.
Da cui il compito di usare la “scienza della politica” per evitare il peggio.
Yvonne Sherratt, I FILOSOFI DI HITLER, Bollati Boringhieri, 2014
“MI CHIEDETE DI PARLARE”, Monica Guerritore dà la parola a Oriana Fallaci, Como, Teatro Sociale, 14 marzo 2013
In questo monologo, con grande coraggio personale e altissima capacità interpretativa, Monica Guerritore ha fatto il più grande gesto di restituzione della memoria a Oriana Fallaci: quello di far sentire la sua parola il suo modo di consegnarsi totalmente alla scrittura. Dopo che è stata vilipesa, massacrata moralmente, assassinata nella sua personalità, qui le si restituisce tutto il suo onore, tutta la sua intelligenza, tutta la sua dimensione espressiva.
Esce nella sua interezza quello che è stata ed è: una straordinaria costruttrice di documenti storici scritti “al momento” del formarsi della “storia”. E scritti con la fatica di usare le parole giuste per produrre conoscenza.
Grande gratitudine innanzitutto a Oriana Fallaci e poi alla stupenda Monica Guerritore che ha tramutato la scena teatrale in un affresco biografico.
gli avvertimenti in tempo reale di Oriana Fallaci dopo l’attentato alle torri gemelle di New York:
lettera notturna a C sul dopo elezioni politiche 2013
ciao c
Paolo Ferrario, Annotazione sul risultato delle ELEZIONI POLITICHE 24 /25 febbraio 2013 | Tracce e Sentieri.
In precedenza avevo QUI motivato il mio voto alle elezioni politiche 2013, argomentando su questi punti:
1. necessità per la crisi italiana dentro la vecchia ed esausta Europa di una GRANDE COALIZIONE di lunga durata
2. sostegno con il voto alla offerta politica centrale e autenticamente riformista delle Liste Monti
Non ho “errato” nel dare questo voto. Lo rifarei.
E’ il bersaglio che è fallito, perchè:
- esce un Parlamento con tre minoranze, ciascuna impossibilitata a governare
- le liste Monti sono ininfluenti, se non per la competenza indiscutibile del professore a negoziare per l’Italia in Europa. Ma il sistema politico italiano e le sue culture sono così meschini che lo isoleranno (non prima di insultarlo e denigrarlo con il metodo dell’assassinio della personalità)
- il Pd in crisi profonda per avere in precedenza nullificato la linea Renzi;
- ora un comico comanda a bacchetta i suoi cloni usando un linguaggio prefascista e prenazista (il “siete morti” e il “andatevene a casa”)
E’ un problema di “funzionamento” delle democrazie rappresentative i tempi di comunicazione diffusa.
La Polis nei momenti elettorali funziona così:
a) una testa un voto (e questa è la responsabilità individuale, l’unica che ciascuno può agire), la cui somma fa
b) la decisione collettiva
L’elettorato italiano, nella sua somma, ha prodotto il risultato peggiore dentro il sistema europeo, ossia:
l’ingovernabilità
Dal punto di vista psicologico il mio stato è depressivo: si passa da un corruttore e puttaniere adescatore di minorenni al potere da 20 anni a un comico che usa come un manganello le tecnologie del web. Da berlusconia alla grillocrazia.
Dal punto di vista della scienza della politica quella della ingovernabilità è la soluzione peggiore, nelle condizioni date.
C’è solo un faro di luce nella terra desolata a causa dei suoi abitatori: la figura smagliante di Giorgio Napolitano.
Nel deserto non c’è altro.
Il grande vecchio metterà in atto tutta l’arte delle (stressate e e logorate) istituzioni incarnate nella Costituzione.
C’è una sola via di uscita di sicurezza:
una Grande coalizione per adeguare le regole del gioco alla nuova situazione
Non più di lunga durata, come auspicavo, ma a termine.
Ma le impotenti, violente e primitive culture della infeconda contrapposizione Destra/Sinistra rendono quasi impossibile questa soluzione.
Sento appeso ad un passaggio linguistico dal “quasi” al “forse” il destino individuale e collettivo inscritto nella cosiddetta svolta storica delle elezioni del 24/25 febbraio 2013.
Paolo Ferrario
in quel del 26 febbraio 2013
Paolo Ferrario, Annotazione sul risultato delle ELEZIONI POLITICHE 24 /25 febbraio 2013
In precedenza avevo QUI motivato il mio voto alle elezioni politiche 2013, argomentando su questi punti:
1. necessità per la crisi italiana dentro la vecchia ed esausta Europa di una GRANDE COALIZIONE di lunga durata
2. sostegno con il voto alla offerta politica centrale e autenticamente riformista delle Liste Monti
Non ho “errato” nel dare questo voto. Lo rifarei.
E’ il bersaglio che è fallito, perchè:
- esce un Parlamento con tre minoranze, ciascuna impossibilitata a governare
- le liste Monti sono ininfluenti, se non per la competenza indiscutibile del professore a negoziare per l’Italia in Europa. Ma il sistema politico italiano e le sue culture sono così meschini che lo isoleranno (non prima di insultarlo e denigrarlo con il metodo dell’assassinio della personalità)
- il Pd in crisi profonda per avere in precedenza nullificato la linea Renzi;
- ora un comico comanda a bacchetta i suoi cloni usando un linguaggio prefascista e prenazista (il “siete morti” e il “andatevene a casa”)
E’ un problema di “funzionamento” delle democrazie rappresentative i tempi di comunicazione diffusa.
La Polis nei momenti elettorali funziona così:
a) una testa un voto (e questa è la responsabilità individuale, l’unica che ciascuno può agire), la cui somma fa
b) la decisione collettiva
L’elettorato italiano, nella sua somma, ha prodotto il risultato peggiore dentro il sistema europeo, ossia:
l’ingovernabilità
Dal punto di vista psicologico il mio stato è depressivo: si passa da un corruttore e puttaniere adescatore di minorenni al potere da 20 anni a un comico che usa come un manganello le tecnologie del web. Da berlusconia alla grillocrazia.
Dal punto di vista della scienza della politica quella della ingovernabilità è la soluzione peggiore, nelle condizioni date.
C’è solo un faro di luce nella terra desolata a causa dei suoi abitatori: la figura smagliante di Giorgio Napolitano.
Nel deserto non c’è altro.
Il grande vecchio metterà in atto tutta l’arte delle (stressate e e logorate) istituzioni incarnate nella Costituzione.
C’è una sola via di uscita di sicurezza:
una Grande coalizione per adeguare le regole del gioco alla nuova situazione
Non più di lunga durata, come auspicavo, ma a termine.
Ma le impotenti, violente e primitive culture della infeconda contrapposizione Destra/Sinistra rendono quasi impossibile questa soluzione.
Sento appeso ad un passaggio linguistico dal “quasi” al “forse” il destino individuale e collettivo inscritto nella cosiddetta svolta storica delle elezioni del 24/25 febbraio 2013.
Paolo Ferrario
in quel del 26 febbraio 2013
Paolo Ferrario, ELEZIONI POLITICHE 24 /25 febbraio 2013: le ragioni del mio voto alle liste Monti
Qui le Annotazione sul risultato delle ELEZIONI POLITICHE 24 /25 febbraio 2013 | Passato e Presente
“anche laddove tu non riesca a definire un senso,
puoi cercare di agire come se in quel momento ne andasse della tua vita nella sua interezza.
Noi siamo chiamati comunque a decidere, a risolverci.
L’interrogarci è una risoluzione“, Massimo Cacciari
DICHIARAZIONE DI PROPENSIONE AL VOTO
Nella Polis siamo destinati ad oscillare fra l’errore e la possibilità. In questo importantissimo momento del 2013 mi colloco nell’orizzonte della Possibilità. Sapendo che l’esito dipende dai tantissimi fattori storici che stanno sulla Terra isolata dal Destino.
La seguente argomentazione parte dal Monitoraggio sulle elezioni del 24/25 febbraio 2013
Parlo per me: “Una testa, un voto”
Dal mio punto di vista personale e da quello delle politiche sociali la mia Italia non ha bisogno di qualcuno che “vinca le elezioni”, ma di GOVERNI della durata di almeno dieci anni (2013-2023) e che assumano con cultura etica ed economica il compito di affrontare la crisi del sistema europeo dentro la strutturale trasformazione del mondo nella attuale fase storica.
I due polarismi di sinistra e di destra di questi tristissimi anni (1994-2011) si sono oggettivamente dimostrati incapaci nello svolgere questo ruolo.
Esercito il diritto di voto dal 1970 e dal 2001 sono passato dal “voto di appartenenza” (Pci, Pds, Ds, PD) ad un voto “programmatico” , cioè valutato per ogni specifica situazione elettorale. Tuttavia , dopo il 1998 e il 2008 (errare è umano, perseverare è diabolico), NON voterò mai più una coalizione in cui ci sia la presenza dei sabotatori degli ex Governi Prodi (le cosiddette “sinistre antagoniste” delle novecentesche culture comuniste, oggi rappresentate da Sel e dal neo inquisitore Torquemada Ingroia).
Il PD ha fatto una campagna elettorale da “meravigliosa macchina da guerra”, in ciò dimostrando di non avere alcuna memoria storica, pensando a come finirono le elezioni del 1994: il mio voto questa volta non può andare lì. Troppo ambigua e incerta quella alleanza. Pietro Ichino (quello che i nipotini dei comunisti del secolo breve vorrebbero ammazzare e che i camussosauri della Cgil si limitano ad odiare) http://mappeser.com/category/7a-fonti-di-studio-per-autori/ichino-pietro/) ha tracciato la rotta.
La storia d’Italia dimostra che sono state le convergenze verso il centro a determinare le riforme adeguate ai compiti dei momenti di transizione. Ricordo il centrosinistra (con i socialisti) dei primi anni ’60 e ricordo i governi di unità nazionale della fine degli anni ’70.
Il Governo Monti – Napolitano (novembre 2011-gennaio 2013) ha mostrato in tutta evidenza che abbiamo bisogno di “grandi coalizioni”, e non di aggressive e violente contrapposizioni. E l’abbandono veramente meschino del Pd della figura smagliante di Giorgio Napolitano (che proviene dalla più antica storia del Pci) mi disgusta e rende sicuro nella mia scelta.
Come dice Giorgio Gaber: nessun rimpianto.
Pur nella evidente debolezza della sua posizione all’interno del sistema politico italiano, voterò le liste Monti, per favorire la continuità di quella Agenda ed il suo linguaggio che hanno avuto il merito di rasserenare (per troppo poco tempo) il clima di intollerabile antagonismo presente sulla scena pubblica.
Vite parallele: GIORGIO NAPOLITANO E DAVE BRUBECK, di Paolo Ferrario
da POLITICA DEI SERVIZI SOCIALI | il sistema dei servizi in prospettiva storica.
Paolo Ferrario, ELEZIONI POLITICHE 24 /25 febbraio 2013: le ragioni del mio voto alle liste Monti
“anche laddove tu non riesca a definire un senso,
puoi cercare di agire come se in quel momento ne andasse della tua vita nella sua interezza.
Noi siamo chiamati comunque a decidere, a risolverci.
L’interrogarci è una risoluzione“, Massimo Cacciari
DICHIARAZIONE DI PROPENSIONE AL VOTO
Nella Polis siamo destinati ad oscillare fra l’errore e la possibilità. In questo importantissimo momento del 2013 mi colloco nell’orizzonte della Possibilità. Sapendo che l’esito dipende dai tantissimi fattori storici che stanno sulla Terra isolata dal Destino.
La seguente argomentazione parte dal Monitoraggio sulle elezioni del 24/25 febbraio 2013
Parlo per me: “Una testa, un voto”
Dal mio punto di vista personale e da quello delle politiche sociali la mia Italia non ha bisogno di qualcuno che “vinca le elezioni”, ma di GOVERNI della durata di almeno dieci anni (2013-2023) e che assumano con cultura etica ed economica il compito di affrontare la crisi del sistema europeo dentro la strutturale trasformazione del mondo nella attuale fase storica.
I due polarismi di sinistra e di destra di questi tristissimi anni (1994-2011) si sono oggettivamente dimostrati incapaci nello svolgere questo ruolo.
Esercito il diritto di voto dal 1970 e dal 2001 sono passato dal “voto di appartenenza” (Pci, Pds, Ds, PD) ad un voto “programmatico” , cioè valutato per ogni specifica situazione elettorale. Tuttavia , dopo il 1998 e il 2008 (errare è umano, perseverare è diabolico), NON voterò mai più una coalizione in cui ci sia la presenza dei sabotatori degli ex Governi Prodi (le cosiddette “sinistre antagoniste” delle novecentesche culture comuniste, oggi rappresentate da Sel e dal neo inquisitore Torquemada Ingroia).
Il PD ha fatto una campagna elettorale da “meravigliosa macchina da guerra”, in ciò dimostrando di non avere alcuna memoria storica, pensando a come finirono le elezioni del 1994: il mio voto questa volta non può andare lì. Troppo ambigua e incerta quella alleanza. Pietro Ichino (quello che i nipotini dei comunisti del secolo breve vorrebbero ammazzare e che i camussosauri della Cgil si limitano ad odiare) http://mappeser.com/category/7a-fonti-di-studio-per-autori/ichino-pietro/) ha tracciato la rotta.
La storia d’Italia dimostra che sono state le convergenze verso il centro a determinare le riforme adeguate ai compiti dei momenti di transizione. Ricordo il centrosinistra (con i socialisti) dei primi anni ’60 e ricordo i governi di unità nazionale della fine degli anni ’70.
Il Governo Monti – Napolitano (novembre 2011-gennaio 2013) ha mostrato in tutta evidenza che abbiamo bisogno di “grandi coalizioni”, e non di aggressive e violente contrapposizioni. E l’abbandono veramente meschino del Pd della figura smagliante di Giorgio Napolitano (che proviene dalla più antica storia del Pci) mi disgusta e rende sicuro nella mia scelta.
Come dice Giorgio Gaber: nessun rimpianto.
Pur nella evidente debolezza della sua posizione all’interno del sistema politico italiano, voterò le liste Monti, per favorire la continuità di quella Agenda ed il suo linguaggio che hanno avuto il merito di rasserenare (per troppo poco tempo) il clima di intollerabile antagonismo presente sulla scena pubblica.
Vite parallele: GIORGIO NAPOLITANO E DAVE BRUBECK, di Paolo Ferrario
Il mio voto alle elezioni regionali in Lombardia: Lista Monti, e cioè MOVIMENTO LOMBARDIA CIVICA
“anche laddove tu non riesca a definire un senso, puoi cercare di agire come se in quel momento ne andasse della tua vita nella sua interezza. Noi siamo chiamati comunque a decidere, a risolverci. L’interrogarci è una risoluzione“, Massimo Cacciari
Fino a cinque minuti fa ero per il VOTO DISGIUNTO alle elezioni regionali in Lombardia: voto alla lista Monti e voto al Presidente Ambrosoli.
Poi ho visto con minuziosa attenzione le liste che sostengono Ambrosoli Presidente e ho capito che NON POSSO VOTARE una coalizione che contiene al suo interno partiti ideologici del tutto opposti tra di loro e del tutto culturalmente incapaci a tenere sul lungo periodo una alleanza di governo.
Sono cosciente che l’esito elettorale sarebbe una spaventosa Lombardia legaiola. Ma i partiti di sinistra-centro (non di centro-sinistra) dovevano pensarci prima e offrire una vera alternativa a Formigoni. Che non è certo quella di una rinnovata “gioiosa macchina da guerra” , sia pur guidata da un (quotidianamente ricattabile) galantuomo come Umberto Ambrosoli.
In queste condizioni mi resta solo la possibilità di misurare la consistenza, anche in Regione Lombardia della lista Monti
I partiti che mi disgustano e obbligano a votare la Lista Monti ed il suo candidato presidentesono, nell’ordine:
- Di Pietro Italia dei valori: perchè i magistrati che fanno politica alterano il principio democratico dell’equilibrio fra i poteri e perchè Di Pietro è anche colui che ha selezionato i Scilipoti e i Razzi
- SEL Sinistra Ecologia Libertà: perchè Vendola era in prima fila a macellare con Bertinotti il primo Governo Prodi nel 1998
Una testa e un voto.
Questa volta c’è una offerta politica alternativa alle due coalizioni antagoniste (destre e sinistre) che stanno avvelenando il sistema politico italiano.
Paolo Ferrario
con MONTI per l’ITALIA
Elezioni USA. Oggi SONO AMERICANO!
ROMANZO DI UNA STRAGE, di Marco Tullio Giordana, 2012
… Romanzo di una strage aderisce in maniera piuttosto fedele alle verità processuali e lascia aperti tutti gli interrogativi che sono rimasti senza risposta. Tanto per citare un caso, quando Pinelli muore, sfracellandosi nel cortile della questura, l’obiettivo segue il commissario Calabresi, che in quel momento è fuori dalla stanza dell’interrogatorio: un modo per far vedere senza mostrare chi ha commesso quell’atto, se qualcuno l’ha commesso, e senza accettare la versione ufficiale del suicidio. Lo stesso omicidio di Calabresi viene rappresentato un attimo dopo che è stato compiuto: non si vede – e Giordana si rifiuta di fare supposizioni – chi preme il grilletto. Oggetto della rappresentazione cinematografica è dunque ciò che si sa, cosa che forse toglie “pathos” narrativo a chi è abituato a vedere gialli o thriller a sfondo politico in cui alla fine tutti i tasselli del puzzle combaciano e indicano un colpevole certo. La stessa ipotesi della “doppia bomba” – una piazzata dagli anarchici, che sarebbe dovuta scoppiare solo a banca chiusa, a notte fonda, senza mietere vittime e l’altra, micidiale, innescata dai neofascisti – viene presentata appunto per quello che è: un’ipotesi …
tutta la recensione qui: http://cadavrexquis.typepad.com/cadavrexquis/2012/05/romanzo-di-una-strage.html
“La ferocia dei moralisti è superata soltanto dalla loro profonda stupidità” Filippo Turati
“La ferocia dei moralisti è superata soltanto dalla loro profonda stupidità.“
Gramsci e Turati e il tarlo del massimalismo, di Alessandro Orsini
vai a: il tarlo del massimalismo
Giampaolo PANSA presenta: TIPI SINISTRI, i gironi infernali della casta rossa, Rizzoli, 2012
Erri De Luca come Ferdinand Céline: forse un decente scrittore, di certo un osceno politico, 18 aprile 2012
#Grillo e il grillismo del “siete morti”: il linguaggio del nuovo fascismo, vecchio come quello del prefascista Marinetti di inizio secolo
Giampaolo Pansa: ritratto di Giorgio Napolitano, 2012
Napolitano era uno dei personaggi delle mie vecchie cronache sul Pci, al tempo della Prima repubblica. In quell’epoca nutrivo per lui un timore reverenziale. L’uomo era notevole, dotato di grande cultura, di una forte intelligenza politica e di un aplomb da lord inglese. Possedeva anche un carattere da prendere con le molle. Le voci interne alle Botteghe oscure lo dipingevano scostante, sempre con la puzza sotto il naso. Un tipo facile a innervosirsi per un nonnulla. Se un giornalista non rispettava al minuto l’ora decisa per un’intervista, se un certo articolo non gli piaceva, se il cronista di turno gli proponeva una domanda fastidiosa, non c’erano santi: il compagno Giorgio prendeva cappello. Per questo motivo, ogni volta che mi toccava intervistarlo, andavo da lui con un cicinino di patema d’animo. Anche perché, e qui parlo di una virtù da apprezzare al massimo, Napolitano era un tipo meticoloso. E di una pignoleria senza scampo, che non faceva sconti a nessuno. Una difesa indispensabile nei confronti di un’informazione andante, imprecisa, dove l’errore non era più considerato un delitto come accadeva con i direttori di un tempo. Voleva sempre rivedere l’intervista, prima che venisse stampata. Si soffermava su ogni parola, su ciascuna virgola. Persino sullo stile. Lo apprezzava di rado. E la lettura preventiva si concludeva con un sospiro, dal significato non dichiarato, ma chiaro: “Purtroppo i giornali sono zeppi di mezze calzette. Braccia strappate al lavoro sui campi”. Quando il testo era già pubblicato, poteva accadere che ti spedisse una missiva sferzante. Per contestare un sottotitolo. O una frase del sommario che non coincideva alla lettera con le parole che aveva pronunciato. Infine ti capitava di ricevere una tirata d’orecchio persino per la fotografia scelta a corredo dell’intervista. Era uno stile insolito in un’epoca di facilonerie trionfanti. Ma contribuiva a rendere Napolitano un big difficile da abbordare. I compagni torinesi erano arrivati al punto di ribattezzarlo “re Umberto”: per la calvizie, le fattezze del volto, il tratto un tantino altezzoso. Un giorno che mi successe di usare il nomignolo in un articolo, ricevetti un rimprovero molto urbano nella forma, ma assai risentito: «Basta con questa storia di re Umberto! Per lo meno scegliete un termine di confronto più attuale, moderno». Per cavarmi d’impaccio, gli proposi: «Me lo suggerisca lei, onorevole». Napolitano si lisciò la pelata, poi buttò lì, con finta noncuranza: «Dite almeno che assomiglio a lord Carrington, il segretario della Nato». Allora non immaginavo che il compagno Giorgio sarebbe diventato il presidente della Repubblica. Ma fu quello che accadde. Visto con il senno di poi, risultò quasi un prodigio. In questo orrendo 2012, Napolitano è rimasto per molti, compreso me, l’unico leader politico nel quale sperare. E a cui aggrapparsi per non precipitare nel disordine, nel caos dei partiti, nell’ira delle piazze in rivolta. Dunque varrà la pena di raccontare come venne eletto, il 10 maggio 2006. C’ero anch’io a Montecitorio dove erano stati convocati i due rami del Parlamento. Da cronista scrupoloso, tenni un diario. Eccolo. Primo scrutinio, mattina 8 maggio 2006 C’è una premessa che non tutti conoscono. Dopo la seconda vittoria elettorale di Romano Prodi, il problema numero uno da risolvere era decidere a chi andassero le presidenze delle due Camere. L’Unione di centrosinistra aveva stabilito di prendersi l’intero piatto. A Montecitorio fu insediato Fausto Bertinotti e a Palazzo Madama Franco Marini, entrambi ex del sindacato. Adesso restava da decidere chi sarebbe andato al Quirinale. C’era un partito del centrosinistra che chiedeva di essere risarcito: i Ds. Nelle elezioni aveva conquistato soltanto il 17 per cento dei voti, ma era pur sempre il meno debole della coalizione. Dunque toccava ai reduci del Pci scegliere il candidato per il Colle. Ci fu subito una sorpresa. Un giornale di centrodestra, “Il Foglio” diretto da Giuliano Ferrara, lanciò la candidatura di Massimo D’Alema. Era una trappola o un scherzo? Difficile dirlo. Ma la candidatura di Max si afflosciò subito. I suoi sostenitori non erano in grado di gestirla nel modo giusto. E gran parte della coalizione lo avversava. Allora venne scelto Napolitano. Era il 7 maggio. La seduta congiunta delle Camere si aprì la mattina successiva. Nel Transatlantico vidi per primo D’Alema. Era un nume irato. Ma non smentì il proprio sangue freddo. Disse: «Napolitano è entrato in conclave da cardinale e credo che ne uscirà da papa». Piero Fassino aveva l’aria macilenta, con la pelle che gli cascava addosso, come un vestito troppo largo. Giuliano Amato era tramortito: non pensava che l’essere stato socialista fosse ancora un peccato mortale. Rosy Bindi, dalemiana bianca, era una casalinga disperata. Aveva lottato per vedere Max al Quirinale e adesso avvertiva il peso della sconfitta. Sul fronte opposto, Berlusconi aveva i santissimi che fumavano. La rabbia per le elezioni perdute per un soffio gli rodeva il fegato. Era gesticolante e incavolato a causa dell’apparente ribellismo della ditta Fini & Casini, ma soprattutto per la propria indecisione. Temeva che il futuro avrebbe dato ragione al leghista Roberto Maroni: lui andava dicendo che la Casa delle Libertà, creatura del Cavaliere, poteva anche crollare. Il Transatlantico di Montecitorio mi sembrò più di sempre un palcoscenico gremito di attori troppo noti e dove i guitti abbondavano. Paolo Cirino Pomicino se la rideva per la felicità. Era sopravvissuto a Tangentopoli e a qualche infarto, adesso poteva godersi lo spettacolo. Luciano Violante, in ultimo un tantino dubbioso sulla conquista del Quirinale, mostrava di aver ritrovato una granitica sicurezza. Gli chiesi: «Perché volete prendervi tutto il piatto, compreso il presidente della Repubblica?». Violante alzò le spalle con l’aria di chi non si cura di questioni a basso livello e rispose: «Se avessero vinto gli altri, farebbero la stessa cosa». Provai a ribattergli: «Voi dite sempre di essere diversi dagli altri…». Poi compresi che era meglio lasciar perdere. Eppure Violante era un moderato rispetto a qualche altro tipo sinistro che s’aggirava nel Transatlantico come un lupo nella foresta appena conquistata. Un territorio che andava ripulito da una quantità di razze inferiori. Questi ultrà rossi erano caldaie roventi che andavano a fanatismo, sputando fiamme. Ringhiavano che l’Unione di centrosinistra aveva fatto bene a papparsi l’intero bottino istituzionale. E si auguravano che il banchetto dei vincitori, chiamato all’inglese spoils system, fosse senza pietà per nessuno degli avversari. Giuravano che i loro leader non avevano sbagliato neppure una mossa. A sentire questi commandos, tutto andava nel migliore dei modi. Erano convinti che il potere del blocco d’acciaio guidato da Prodi sarebbe durato cinque anni e poi altri cinque ancora. Era molto tempo che non andavo a Montecitorio, dopo averci passato tanti giorni, nella Prima repubblica e nella Seconda. E in quel momento mi sentivo un po’ estraneo all’ambiente. Il corridoio dei Passi perduti sapeva di muffa. Tutto mi sembrava vecchio e coperto di polvere. I parlamentari nuovi erano di certo tanti, ma chi li conosceva? Quelli che avevo descritto o intervistato nel corso degli anni c’erano ancora tutti. Avevano i capelli grigi o bianchi, le rughe sul volto, il corpo ingrossato. Anche le deputate e le senatrici erano invecchiate. Le snelle erano diventate ciccione. Le prosperose avevano perso peso, ma si erano rinsecchite. Sotto gli abiti firmati, indovinavo strati di cellulite, seni rifatti, fianchi contenuti in guêpière così strette da togliere il fiato. Ma a comandare erano i soliti. Montecitorio era il Pantheon di una repubblica della Terza età. Era il Colosseo dei partiti disgregati, frammentati, spappolati. Che tuttavia imponevano sempre la loro volontà. E resero inutile il primo scrutinio. Il centrodestra votò per Gianni Letta. Il centrosinistra si rifugiò nelle schede bianche. Ma tutto quel biancore non doveva ingannarci. Sulle macerie incombeva il fantasma di re Umberto, ossia di Napolitano. Anzi, i fantasmi erano due. Nel senso che lo spettro del possibile presidente si era sdoppiato. E bastava passare da un crocchio all’altro dei grandi elettori per leggere ciò che si vedeva negli specchi contrapposti. Nel primo specchio c’era l’immagine del Re Cattivo. Un residuato bellico del vecchio Pci. Per di più, del Pci mai vincente e marginale, perché di destra, migliorista, riformista. E privo di coraggio: sempre all’opposizione di Togliatti, di Longo, di Berlinguer e di Natta, ma senza avere mai la forza di rompere con la setta degli stalinisti incalliti. Napolitano era un antenato riemerso da un mondo che non esisteva più. Lui ci guatava con il cipiglio di un tempo. Borioso. Pieno di sé. Gonfio di presunzione. I suoi nemici non avevano dubbi. Se il Re Cattivo fosse riuscito a varcare la soglia del Quirinale avrebbe tormentato per sette anni governi e parlamenti senza un attimo di tregua. Asfissiandoli con la sua maledetta pignoleria. Nel secondo specchio si ammirava il ritratto gaudioso del Re Buono. Un socialdemocratico coerente. E proprio per questo messo con le spalle al muro dal Partitone rosso dei comunisti cresciuti nel mito dell’Unione sovietica. (…)
Miriam Mafai (1926-2012)
Laura Conti mi parlava spesso di lei. Ho un vago ricordo del loro ridere di una psicologa emiliana dei primi anni ’60, che, alla domanda “ma perchè fate il sesso plurimo”, rispose ” .. ma è per l’angossia …”
vai a: http://www.treccani.it/enciclopedia/miriam-mafai/
Giampaolo Pansa piange la collega con cui ha tanto condivise a Repubblica e la ricorda come “un’eterna ragazza, una forza della natura”. “E’ sempre stata una donna giovane – continua – molto coraggiosa. Era una persona con cui era delizioso stare in redazione. La cosa che ricordo di più di lei era la sua risata: rideva come se fosse una ragazzina”.
il mio voto alle elezioni amministrative del Comune di Como: ancora sulla fine del “voto di appartenenza”
cara …
La nave Costa Concordia, ferita ed inclinata verso il precipizio, e i feroci oppositori del Governo Monti/Napolitano, di Paolo Ferrario
L’immagine della nave Costa Concordia ferita ed inclinata verso il precipizio è la perfetta e drammaticamente vera metafora dell’Italia sull’orlo del baratro.
E quindi è la rappresentazione visiva delle tragiche responsabilità che si stanno assumendo Lega Nord di Maroni e Bossi, Cgil di Camusso e altri sindacati, IDV (italia dei suoi valori) di Di Pietro nella loro feroce opposizione all’equipaggio guidato da Mario Monti e Giorgio Napolitano che tentano di evitare il peggio
Paolo Ferrario, 16 gennaio 2012
La nave Costa Concordia, ferita ed inclinata verso il precipizio, e i feroci oppositori del Governo Monti/Napolitano, di Paolo Ferrario « POLITICA DEI SERVIZI SOCIALI
L’immagine della nave Costa Concordia ferita ed inclinata verso il precipizio è la perfetta e drammaticamente vera metafora dell’Italia sull’orlo del baratro.
E quindi è la rappresentazione visiva delle tragiche responsabilità che si stanno assumendo Lega Nord di Maroni e Bossi, Cgil di Camusso e altri sindacati, IDV (italia dei suoi valori) di Di Pietro nella loro feroce opposizione all’equipaggio guidato da Mario Monti e Giorgio Napolitano che tentano di evitare il peggio
Paolo Ferrario, 16 gennaio 2012
il sito di PIETRO INGRAO: anche i cattivi maestri, a 95 anni, vogliono stare sulla rete del web
Messo qui solo per memoria dei miei (politicamente) inutili anni ’70 e ’80.
Narcisismo e forza del carattere: gli stalinisti (e, più precisamente per questa singola persona, coloro che hanno creduto di non essere stalinisti) hanno vita lunga. Come Mao, come Fidel Castro e l’infinità dei dittatori del secolo breve e delle sue propaggini …
Nessun affetto e nessun rimpianto: solo tempo e libri sprecati al mio tempo biografico
Fra autobiografia e politica: la pericolosa notte metropolitana, 11 marzo 2011
Milano – Como, 11 marzo 2011
Era una giornata lungamente attesa. Mercoledì 9 marzo ho partecipato alla “Maratona del silenzio“, pensata e organizzata alla Casa della cultura di Milano da Duccio Demetrio, Nicoletta Polla-Mattiot ed Emanuela Mancino.
La trasferta da Como a Milano comincia alle quindici e ventitré.
Arrivo puntuale e alle diciassette sono nella storica saletta (mi giunge alla mente il ricordo di Laura Conti, che fu presidente di quest’associazione, a suo tempo legata al Pci, negli anni 50/60). Vedo solo tre volti conosciuti. E’ la situazione ideale per immergermi senza distrazioni e con molta concentrazione nella sequenza davvero impegnativa di tanti interventi, uno dietro l’altro, di circa dieci minuti ognuno. Registro tutto e faccio delle piccole pause mentali leggendo il Corso Istituzioni di filosofia di Emanuele Severino (1968).
C’è equilibrio fra i sessi nella sala. L’età mediana mi sembra di persone che hanno più di quarantacinque anni. Molti capelli bianchi e rughe sul viso. E anche alcuni giovani. Ma la prevalenza è: alle soglie della prevecchiaia.
L’anonimato mi preserva dal brusio conversazionale che s’instaura nella pausa. davvero molto distonico rispetto agli intenti personali e culturali di “fare spazio” dentro ed attorno a sè. Terribili i cellulari che suonano, che si accendono e che sono compulsati ritualmente per rispondere sui tastierini piccolissimi. E’ un fatto di dissonanza cognitiva: il processo sociale (ipercomunicazione) è comunque più forte dell’intenzionale e ricco progetto del silenzio. Occorrerebbe, almeno, congedarsi per qualche ora dal controllo invadente di queste tecnologie. Tutti qui conoscono e apprezzano Michel Foucault: ma non c’è relazione fra le sue ipercritiche teorie e la loro dipendenza dalla tecnica, qui incarnata dai telefonini.
Avrò modo, altrove, di far sedimentare questa esperienza.
Alle ventitré l’incontro finisce con la commovente presenza di Franco Piavoli, pioniere dell’ascolto del silenzio della natura con il suo Il pianeta azzurro del 1982. Gli chiedo una firma autografa per me e Luciana. Sono commosso per questo incontro.
Ma è alle 23 che cambia del tutto la mia situazione. Comincia il duro viaggio di ritorno a Como che durerà tre ore: come andare a Venezia. Dopo le 22 e 30 non ci sono quasi più treni. Vado alla stazione Nord: niente da fare, Como è scollegata. Occorrerebbe aspettare la mattina. Vado alla stazione Garibaldi: niente da fare: il primo treno sarebbe alle cinque e trentotto della mattina.
Sulla metropolitana sono l’unico italiano/lombardo: vedo solo cinesi, sudamericani, slavi, africani. Provo la straniante sensazione di essere io lo Straniero, l’Altro. Di notte la città cambia il suo registro culturale. Nella notte metropolitana un europeo/italiano/lombardo/comasco non è più a casa sua, è l’Estraneo in ambiente ad altra Dominanza.
I confini fra “società multiculturale” e “società pluralistica” sono davvero molto labili. Dice Giovanni Sartori: “pluralismo e multiculturalismo sono concezioni antitetiche e neganti l’una dell’altra” (in Pluralismo, multiculturalismo e estranei, Rizzoli, 2000, p. 9).
In metropolitana, nel buio della notte, è poi evidente un conflitto evidentissimo: non solo sono il solo europeo/italiano/lombardo/comasco. Sono anche il solo anziano/prevecchio in mezzo a ventenni che parlano lingue diverse. Qui le persone sono giovani, giovanissimi, scattanti, forti, elastici. Io sono in equilibrio precario, lento, debole (fragile), impedito. Di notte le persone vecchie sono insicure. Eppure la comunicazione politica di questi giorni esalta la giovinezza erotico procreativa dei migranti, mettendo del tutto in ombra che ne è dei vecchi dentro questi vortici di cambiamento demografico.
La notte metropolitana è pericolosa. L’ho sperimentato.
Ho due prospettive: trovare un albergo a Milano o passeggiare per tutta la notte in una metropoli finalmente silenziosa e acquietata ma pericolosa. Allora provo a tornare alla Stazione Centrale. Qui il non-luogo, di notte, è ancora più inquietante. Percepisco dentro di me un senso d’insicurezza altissimo. Per arrivare alla linea dei treni devo attraversare spazi ampi abitati da gruppi di persone africane, meticcie, asiatiche. Mi osservano mentre cammino, per vedere se mi avvicino alle macchinette dei biglietti: lì dovrei estrarre la carta di credito. Non c’è nessuna squadra di pubblica sicurezza. La situazione di puro sguardo potrebbe trasformarsi in un attimo di minaccia e attacco.
Nella notte metropolitana una persona prevecchia, isolata può diventare preda e vittima del micro-crimine in una frazione di minuto.
Il massimo del paradosso mi arriva alla coscienza quando vedo i manifesti cubitali di Bersani del PD che annuncia i dieci milioni delle firme contro il Governo Berlusconi. Realizzo lì, nel deserto della notte metropolitana, nel non-luogo della Stazione Centrale a mezzanotte, che la novecentesca e ottocentesca cultura politica della sinistra è del tutto fuori centro con la mutazione in atto.
Il prevecchio rimasto solo nella notte multietnica percepisce lucidamente che c’è molto che non funziona più: le dinamiche dell’insicurezza individuale, quella che passa attraverso il camminare in queste ore, prevalgono. Nella notte metropolitana la società del welfare europea si ritrae e fa spazio ai gruppi pericolosi di cui parlano i libri di Cormac McCarthy e i film di Aldo Lado.
C’è un convoglio/tradotta alle ventiquattro e trentotto. Le carrozze sono tutte buie. Cammino fino a quella in cima, vicino al guidatore: il vagone è abitato da otto persone. Due giovani (svizzeri, per la verità sociologica) con documenti di viaggio irregolari litigano minacciosamente con il controllore, in quel momento unico e pure lui solo rappresentante del mondo delle regole.
Il viaggio è lentissimo. Arrivo a Como alle due di notte. Anche qui il non luogo della stazione è popolato da fantasmi inquietanti. Zombi notturni acquattati nelle zone buie. Scendo per il parco, sobbalzando per i passi veloci di un giovane che corre e che, per fortuna mi sorpassa.
Sotto casa un altro giovane posteggia l’auto e va a rifornirsi di droghe sintetiche nel bar delle slot machine che hanno preso il posto del glorioso cinema Politeama.
Apro il cancello. Sono arrivato. Solo ora mi sento un po’ più sicuro.
Ma fino a quando?
Sarebbe utile che le anime belle della sinistra antagonista e riformista uscissero dai loro condomini con portineria e facessero qualche volta un viaggio da Milano a Como attorno a mezzanotte.
Moderato conservatore
Alternativo alla sinistra massimalista, che ha fatto cadere per due volte i governi Prodi. E, dunque, alternativo a una alleanza politica del Pd con la sinistra di Vendola (che nel 1998, con Bertinotti, votò contro il primo Governo Prodi)
E, naturalmente, alternativo alla destra populista del partito padronale di Berlusconi.
Dunque: moderato conservatore, con voto non più di appartenenza e mobilissimo
Condivisioni argomentative: il pensiero di Cavrexquis su destra e sinistra, nella quasi-crisi di governo di questi giorni
Il paternalismo della sinistra mi fa vomitare. Un paternalismo via via più forte man mano che ci si sposta di più verso sinistra. Un paternalismo che, ancora più che negli esponenti politici del (centro)sinistra, si manifesta nei sostenitori convinti di questa parte politica (e non mi riferisco tanto ai generici elettori che votano a sinistra senza farsi troppe illusioni o perché pensano, a torto o a ragione, che sia il meno peggio). Non soltanto non vedono le ragioni di chi non ha votato come loro, ma nemmeno riconoscono che costoro possano avere delle ragioni che non siano o criminali o frutto di un’errata visione delle cose. Chi ha votato centrodestra è, per loro, per forza un povero imbecille – a voler essere gentili – che si è fatto abbindolare da Berlusconi. Non gli salta in mente che in quest’altra parte politica, tra tanti “berlusconiani mistici”, ci sono anche quelli che l’hanno votato perché gli sembrava il “meno peggio”. Ormai io capisco benissimo, invece, come in Italia molti abbiano preferito votare Berlusconi. E se queste incarnazioni dell’etica, del bene-in-terra, pensano di convincerli a votare a sinistra anziché a destra, dubito che ci riusciranno continuando a insultarli e a dirgli che sono dei deficienti o dei delinquenti. Irritano me, che in sedici anni Berlusconi non l’ho mai votato, e quindi non fatico a immaginarmi quanto irritino loro. E’ un atteggiamento che ben si riassume in un’affermazione che mi è capitato di leggere, uscita dalla penna (o dalla tastiera) di un giornalista di sinistra: la sinistra ricerca la verità, la destra la convenienza. E ‘sticazzi, mi verrebbe da commentare, alla faccia della modestia e del pragmatismo politico.
l’intero scritto qui: http://cadavrexquis.typepad.com/cadavrexquis/2010/12/al-fuoco-al-fuoco.html
Diario di un clima cattivo di Giampaolo Pansa Gli appunti del cronista nell’autunno-inverno 2009, in Il Riformista
un diario alla buona dell’autunno-inverno 2009.
Alla fine di settembre, Tonino Di Pietro ci offre un’ennesima sceneggiata: si fa fotografare davanti a Montecitorio con la coppola in testa e le smorfie di un boss di Cosa nostra, per dire che in Parlamento ci sono troppi mafiosi. Negli stessi giorni, Eugenio Scalfari si fa intervistare dall’Espresso e dipinge l’editore di Libero come un servo di Silvio Berlusconi. Il motivo? L’aver messo a dirigere il giornale Belpietro, «emissario del Cavaliere, una specie di commissario politico».
Sempre a fine settembre, muore per infarto Maurizio Laudi, uno dei magistrati che hanno battuto le Brigate rosse e Prima linea. I muri di Torino si coprono di scritte insultanti, opera di anarchici: «È morto un boia: Laudi», «Finalmente Laudi è morto», «Dio c’è, è morto Laudi», «Di Laudi si butta via tutto». A Pistoia, invece di scritte, le botte. Squadre antagoniste devastano la sede di Casa Pound, circolo di destra. È la quarta aggressione in meno di una settimana. Le altre sono avvenute a Napoli, Verona e Torino.
A metà ottobre, Alessandro Campi, poi consigliere culturale di Gianfranco Fini, scrive: «Basta navigare in rete, fare un giro tra blog e siti, per capire quale magma di odio e pregiudizio si trovi addensato nelle viscere della nazione, pronto a esplodere in qualsiasi momento». Detto fatto, Matteo Mezzadri, coordinatore del Partito democratico di Vignola (Modena), domanda su Facebook: «Santo cielo, possibile che nessuno sia in grado di ficcare una pallottola in testa a Berlusconi?». Il giovane dirigente viene cacciato.
Negli stessi giorni, le Brigate rivoluzionarie per il comunismo scrivono ai giornali: «Berlusconi, Fini e Bossi devono dimettersi e il primo deve consegnarsi alla giustizia comunista. La sentenza è inevitabile». Lo slogan è «No al colpo di stato, sì alla rivoluzione». Il 19 ottobre, a Torino, un gruppo che si firma Br con la stella a cinque punte, minaccia un delegato della Fiom-Cgil nella Flexider, azienda metalmeccanica.
Nella seconda metà di ottobre, si fa vivo il Comitato Anna Maria Mantini del nuovo Partito comunista italiano. Lei era una terrorista anni Settanta, sorella di Luca, militante dei Nuclei armati proletari ucciso durante una rapina per finanziare il gruppo. Anche la sorella cadrà in uno scontro con l’antiterrorismo. Il gruppo annuncia di entrare in clandestinità. Con l’aiuto dei Carc, i Comitati di appoggio alla resistenza per il comunismo.
Il 21 ottobre si scopre su Facebook che il gruppo «Uccidiamo Berlusconi» conta 12.333 iscritti. Quel giorno, nel giro di un’ora, se ne sono aggiunti seicento. Nel frattempo, una casa editrice di Chieti lancia il concorso «Descrivi la morte del Cavaliere e sarai pubblicato». Per contrappasso, sempre su Facebook nasce il gruppo intitolato: «A morte Marco Travaglio».
Sabato 24 ottobre a Torino, in piazza San Carlo, i centri sociali assaltano un presidio di Casa Pound e un banchetto della Lega. Tre ore di scontri con la polizia. Il 31 ottobre, nel carcere romano di Rebibbia, s’impicca la brigatista Diana Blefari. Aveva indicato alla polizia dove stavano nascoste le armi del suo gruppo, ma l’arsenale non si trova più. La Blefari aveva pedinato Marco Biagi, poi ucciso. Si era espressa così: «Fosse stato per me, Biagi l’avrei torturato prima di giustiziarlo».
Sabato 7 novembre, a Roma, i centri sociali vanno in corteo per protestare contro la morte in carcere di Stefano Cucchi. Anche qui scontri con la polizia, lanci di petardi e bottiglie, cassonetti rovesciati e dati alle fiamme. Lo stesso giorno a Firenze quattrocento antagonisti marciano chiedendo la scarcerazione di un loro compagno, arrestato per aver messo una bomba all’Agenzia delle entrate. Anche qui fumogeni, petardi e scritte sui muri: «Mannu libero e fuoco alle galere». Due giorni prima si era tentato l’assalto a un circolo di Forza Nuova, gruppo di destra.
A metà novembre, emergono i Nat, Nuclei di azione territoriale, sempre legati alla memoria dei fratelli Mantini. Hanno cinque cellule a Milano, Torino, Lecco, Bergamo e Bologna. Minacciano politici e giornalisti. Milano è la città più a rischio. Gli investigatori dicono: «Siamo molto vicini a un salto di qualità». Il 20 novembre a Torino, gli autonomi danno la caccia al ministro Mariastella Gelmini, arrivata in città. Poi assalgono la sede del Pdl, in corso Vittorio Emanuele. Vogliono occuparla. Scontri, devastazioni, feriti. Nel frattempo, alla Statale di Milano continuano le aggressioni agli studenti di Comunione e liberazione. E su Facebook nasce un nuovo gruppo che inneggia alle Brigate rosse.
Il 13 dicembre, a Milano, c’è l’attentato a Berlusconi. Tre giorni dopo un ordigno esplosivo distrugge un sottopasso dell’Università Bocconi. La firma è: “Federazione anarchica informale”. Stessa bomba e stessa sigla al Centro raccolta di immigrati clandestini a Gradisca d’Isonzo. In previsione del Natale, a Firenze, incursioni contro i negozi di via Tornabuoni e via Strozzi. E il sabato 19 dicembre, a Torino, corteo violento di squatter, anarchici, centri sociali. Ancora devastazioni e scritte contro il sindaco: «Chiamparino boia, speriamo che tu muoia». Basta così? Sì, per l’autunno-inverno 2009 può bastare.
da: Il Riformista.
Galli Carlo: Perché ancora destra e sinistra
Alla base della dicotomia, sostiene, c’è un elemento caratteristico e costitutivo dell’epoca moderna e ancora pienamente attivo nell’attuale mondo postmoderno: ed è il “nesso fra disordine come dato e ordine come esigenza”, il riconoscimento cioè, da un lato, della naturale instabilità della natura, inclusa quella umana (pervasa di individualismo e soggettività: la liberté della Rivoluzione francese e il diritto alla ricerca della felicità di quella americana), e dall’altro dell’importanza di un suo disciplinamento sociale (l’égalité, la “verità di per sé stessa evidente che tutti gli uomini sono stati creati uguali”). Destra e sinistra hanno rappresentato e continuano a rappresentare due opposti modi di interpretare e risolvere tale contraddizione. Per la sinistra il disordine della realtà è contingente, un accidente dovuto a errori, debolezze, malvagità, imputabili alla natura umana ma da essa riscattabili con l’impegno e soprattutto con la ragione. L’obiettivo, ancora irraggiungibile ma sempre presente nella sua ideologia e nelle sue azioni, è una stabilità garantita dalla giustizia: “la sua inquietudine ha un fine pacificato, la sua politica ha un fine liberatorio”. Per la sinistra, dunque, l’ordine è il telos, il fine ultimo. Per la destra è un mezzo, un dispositivo.
Perché ancora destra e sinistra
di Carlo Galli
Laterza
l’intero articolo qui:
ITALICA – Harvard Diary – Galli Carlo: Perché ancora destra e sinistra.
Walter Veltroni, "la possibile deriva del Pd e del centrosinistra verso una riedizione dell’Unione, che nel passato ha dimostrato di poter vincere ma non di governare, o la nascita di un terzo polo, arbitro del gioco politico, che impedirebbe ai cittadini di scegliere il governo del Paese…."- LASTAMPA.it
In poco più di dieci anni sono passati alla destra Francia, Germania, Inghilterra, Italia e anche i Paesi scandinavi. Nel Vecchio Continente si affermano una nuova destra populista e persino forze dichiaratamente estremiste se non esplicitamente neofasciste. Il Labour Party ha scelto tra due belle, giovani, candidature separate, al traguardo, solo da un punto percentuale di differenza. David ha svolto la sua campagna richiamandosi alle intuizioni del New Labour di Tony Blair che fece voltare pagina agli inglesi dopo il lungo periodo thatcheriano. Suo fratello Ed è un uomo di forte cultura ambientalista, un elemento identitario che cresce nell’opinione pubblica europea, e forse più vicino di altri alle Unions. Ma parliamo, in ogni caso, di veri e coraggiosi riformisti, di vere culture della modernità e dell’integrazione ….
Situazione diversa da quella italiana. Nella quale alla decomposizione dello schieramento di governo non corrisponde ancora, come è stato per Cameron, l’affermazione di uno schieramento alternativo.
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la possibile deriva del Pd e del centrosinistra verso una riedizione dell’Unione, che nel passato ha dimostrato di poter vincere ma non di governare, o la nascita di un terzo polo, arbitro del gioco politico, che impedirebbe ai cittadini di scegliere il governo del Paese….
usiamo troppo la parola «difendere», applicata a questa o a quella conquista del riformismo del secolo scorso, e troppo poco la parola «cambiare».
Prendiamo giustizia e scuola. C’è una sola cosa straordinaria in questi settori ed è la passione e la motivazione di chi vi lavora. Ma le mediocri performance di questi due essenziali servizi sono alla base della scarsa competitività e della crescente disuguaglianza: oggi, carriere e stipendi degli operatori dipendono, essenzialmente, dalla anzianità. È un incentivo distorcente. Bisogna privilegiare, previa valutazione di tutto e di tutti, il merito e l’impegno.
Abbiamo i salari più bassi tra i grandi Paesi dell’Ue, il costo del lavoro relativamente alto e una produttività del lavoro e totale declinante. Ci vuole un nuovo, coraggioso, patto tra produttori, ispirato alla crescita e al lavoro. E rimango convinto che una forza democratica non abbia oggi senso se non si propone di dare una risposta alla più inaccettabile delle moderne disuguaglianze, la totale assenza di certezza per l’oggi e di speranza per il futuro che oggi devasta la vita di milioni di giovani italiani, uno su tre dei quali è disoccupato.
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il federalismo è un’occasione soprattutto per il Mezzogiorno: costi e fabbisogni standard – per le prestazioni essenziali della Pubblica amministrazione – possono far emergere «buona» politica e «buona» società.
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tutta le lettera qui:
Gianfranco Fini manganellato dai giornali di proprietà di Berlusconi per la sua scelta politica di prendere le distanze dalla destra gheddafian-berlusconiana
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personalmente non ho nè denaro, nè barche nè ville intestate a società off shore, a differenza di altri che hanno usato, e usano, queste società per meglio tutelare i loro patrimoni familiari o aziendali e per pagare meno tasse.
Ho sbagliato? Con il senno di poi mi devo rimproverare una certa ingenuità. Ma, sia ben chiaro: non è stato commesso alcun tipo di reato, non è stato arrecato alcun danno a nessuno. E, sia ancor più chiaro, in questa vicenda non è coinvolta l’amministrazione della cosa pubblica o il denaro del contribuente. Non ci sono appalti o tangenti, non c’è corruzione nè concussione.
Tutto qui? Per quel che ne so tutto qui.
Certo anche io mi chiedo, e ne ho pieno diritto visto il putiferio che mi è stato scatenato addosso, chi è il vero proprietario della casa di Montecarlo?
E’ Giancarlo Tulliani, come tanti pensano? Non lo so. Gliel’ho chiesto con insistenza: egli ha sempre negato con forza, pubblicamente e in privato. Restano i dubbi? Certamente, anche a me. E se dovesse emergere con certezza che Tulliani è il proprietario e che la mia buona fede è stata tradita, non esiterei a lasciare la Presidenza della Camera.
Non per personali responsabilità – che non ci sono – bensì perchè la mia etica pubblica me lo imporrebbe.
Di certo, in questa brutta storia di pagine oscure ce ne sono tante, troppe. Un affare privato è diventato un affare di Stato per la ossessiva campagna politico-mediatica di delegittimazione della mia persona: la campagna si è avvalsa di illazioni, insinuazioni, calunnie propalate da giornali di centrodestra e alimentate da personaggi torbidi e squalificati.
Non penso ai nostri servizi di intelligence, la cui lealtà istituzionale è fuori discussione, al pari della stima che nutro nei confronti del Sottosegretario Letta e del Prefetto De Gennaro.
Penso alla trama da film giallo di terz’ordine che ha visto spuntare su siti dominicani la lettera di un Ministro di Santa Lucia, diffusa da un giornalista ecuadoregno, rilanciata in Italia da un sito di gossip a seguito delle improbabili segnalazioni di attenti lettori.
Penso a faccendieri professionisti, a spasso nel Centro America da settimane (a proposito, chi paga le spese?) per trovare la prova regina della mia presunta colpa. Penso alla lettera che riservatamente, salvo finire in mondovisione, il Ministro della Giustizia di Santa Lucia ha scritto al suo Premier perchè preoccupato del buon nome del paese per la presenza di società off shore coinvolte non in traffici d’armi, di droga, di valuta, ma di una pericolosissima compravendita di un piccolo appartamento a Montecarlo.
Ma, detto con amarezza tutto questo, torniamo alle cose serie. La libertà di informazione è il caposaldo di una società aperta e democratica. Ma proprio per questo, giornali e televisioni non possono diventare strumenti di parte, usati non per dare notizie e fornire commenti, ma per colpire a qualunque costo l’avversario politico. Quando si scivola su questa china, le notizie non sono più il fine ma il mezzo, il manganello. E quando le notizie non ci sono, le si inventano a proprio uso e consumo. Così, con le insinuazioni, con le calunnie, con i dossier, con la politica ridotta ad una lotta senza esclusione di colpi per eliminare l’avversario si distrugge la democrazia. Si mette a repentaglio il futuro della libertà.
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Luca Ricolfi, L'Italia immaginaria della sinistra – LASTAMPA.it
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Quel che non mi convince, invece, è l’analisi della società italiana che il documento delinea. Un’analisi che, in molti passaggi, non è diversa da quella che abbiamo sentito in tutti questi anni, o quantomeno non ne prende a sufficienza le distanze. Perché, a mio parere, il problema di fondo del Pd non è che non riesce a proporre soluzioni convincenti alla crisi italiana, ma che ha un’idea errata, ovvero distorta e tendenziosa, della società italiana. Il problema, in breve, è innanzitutto la diagnosi, prima ancora della terapia.
Facciamo qualche esempio. Nel documento si dice che la disuguaglianza è «crescente», e che la frattura Nord-Sud «è tornata ad accentuarsi» (la tesi è decisamente audace, diversi indicatori suggeriscono il contrario, almeno dal 1998 a oggi). Si riconduce l’aumento del debito pubblico alla presenza del centro-destra al governo, come se il balzo degli ultimi anni non dipendesse essenzialmente dalla crisi economica internazionale. Si parla di riforme nel settore pubblico come se Brunetta – e Ichino! – non avessero fatto nulla.
Si parla della «battaglia per la legalità nel Mezzogiorno» come se fosse perduta, senza una parola per lo straordinario lavoro di questi anni contro la criminalità organizzata. Si fanno proposte di investimento e di spesa (in istruzione, ricerca, ammortizzatori sociali) che costerebbero miliardi e miliardi, come se ci fossero le risorse per portarle avanti, o come se trovare tali risorse non comportasse sacrifici enormi e di lunga durata.
Soprattutto non si esplicita il fatto che alcune idee dei veltroniani, solo accennate nel documento ma molto chiare in vari interventi pubblici, sono indigeribili per il centro-sinistra com’è oggi. Mi riferisco, ad esempio, al finanziamento selettivo degli atenei e delle scuole, con conseguente penalizzazione degli atenei inefficienti e dei docenti poco produttivi. O alla neutralizzazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per i nuovi assunti, con l’istituzionalizzazione di forme di «flessibilità tutelata» (flexsecurity). Per tacere del federalismo, su cui il documento non spende nemmeno una parola ma che – se attuato seriamente – susciterebbe vivaci resistenze in una parte del Pd, specie nel Mezzogiorno.
Insomma, mi pare che il manifesto veltroniano, a dispetto del riformismo radicale di alcuni suoi firmatari, non ci fornisca una diagnosi dei mali del Paese
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Le pulsioni violente della estrema sinistra: Urla e fischi contro Pietro Ichino ma il pubblico della Festa lo fa parlare – Milano – Repubblica.it
Ospite della Festa Democratica di Milano, il giuslavorista Pietro Ichino è stato contestato da una trentina di giovani dei centri sociali che hanno tentato, inutilmente, con urla e provocazioni di interrompere il suo intervento.
Antagonisti contro il professore
Un gruppo di antagonisti, ieri sera, è arrivato nello spazio dei dibattiti a Lampugnano e quando il giuslavorista ha preso la parola ha iniziato a fischiarlo al grido di “Vai a lavorare”. Provocatoriamente, i giovani dei centri sociali hanno tentato di offrire a Ichino una tuta blu e una cuffia da lavoratore del call center e di srotolare uno striscione, ma i disturbatori sono stati allontanati dal servizio d’ordine del Partito Democratico e da un gruppo di agenti delle forze dell’ordine.
Per una decina di minuti sono continuate le urla e i fischi degli antagonisti, prima che fossero definitivamente allontanati dallo spazio dei dibattiti. Dopodiché la serata, incentrata proprio sui temi del lavoro è ripresa su sollecitazione del pubblico presente con interventi di tutti i relatori tra cui anche i segretario della Camera del Lavoro di Milano Onorio Rosati.
Nel corso della serata è stato anche devastato la stand dell’Aler da un gruppo di cinque o sei persone che ottorno alle 22 dopo aver protestato contro lo sgombero degli occupanti abusivi delle case popolare, hanno rovesciato scrivanie e gettato a terra il materiale informativo.
Urla e fischi contro Pietro Ichino ma il pubblico della Festa lo fa parlare – Milano – Repubblica.it.
Motivi per NON VOTARE PIU' PD: "Ferrero e Diliberto? Nessun accordo siglato" Ma nel Pd è allarme
intervista a Paolo Ferrero di rifondazione comunista:
Perché ha pensato di affidare un ruolo all’ex brigatista Francesco Piccioni?
“Piccioni è un amico, l’ho conosciuto dopo che è uscito di galera quando già faceva il giornalista al Manifesto. E’ uno che ha sbagliato. Non avrà alcun ruolo dentro Rifondazione”.
La pulsione violenta della sinistra e la negazione del diritto di parola: "Squadristi" Fassino e i fischi a Schifani alla Festa del PD di Torino
Gli squadristi della sinistra e la pulsione violenta: Bonanni contestato alla festa del Pd e costretto a lasciare il palco
Parla Bonanni, assalto al palco
La Stampa
Sul fondo si nota un gruppo di giovani. Sono seduti, composti e in
silenzio, da almeno mezz’ora. Il moderatore Dario Di Vico, giornalista del
Corriere della …
Carlo Galli, «La destra di Fini, conservatrice e progressista»
Oltre a lei anche Luca Ricolfi su La Stampa ha insistito sulla possibilità della nascita di una destra definita “normale”. Cosa si vuole intendere con questo aggettivo?
La destra normale è conservatrice. Con una formula si direbbe “legge e ordine”, il che non vuol dire essere reazionari, ma in alcuni casi anche progressisti. Faccio un esempio: portare ordine dove c’è la camorra non mi sembra un programma reazionario, ma piuttosto progressista. Le proposte di Fini sono di un conservatore che vuol essere lungimirante, come dimostra anche la volontà di garantire cittadinanza a una parte degli immigrati. Una volta si sarebbe detto “conservatori illuminati”. Fini tra l’altro ha ben precisato la sua collocazione a destra, e secondo me ha fatto bene. Perché è stato onesto, oltre che accorto. Onesto con i suoi sostenitori, e accorto in caso di elezioni. “Normale” dunque è quella destra che si occupa dei doveri, ma che non dimentica i diritti. Quello che dovrebbe fare, invertendo gli ordini, anche una sinistra “normale”. Normale è la destra di De Gaulle e Curchill, che da destra hanno combattuto il fascismo. Normale è una destra che crede nelle istituzioni, e che ha il culto dello Stato. Una destra repubblicana. La speranza è che, nel giro di qualche tempo, in Italia ci si possa confrontare tra una destra e una sinistra “normali”.
A tal proposito c’è chi ritiene che a sinistra ci sia qualcuno che si stia innamorando di questa “nuova destra”…
Secondo me nessuno si è innamorato di nessuno o deve innamorarsi di qualcuno. Semplicemente Fini è la destra che la sinistra deve riconoscere come avversario legittimo, un avversario che gioca secondo le regole e con il quale confrontarsi, cosa che in altri paesi avviene naturalmente da tempo
Ffwebmagazine – Galli: «La destra di Fini, conservatrice e progressista».
Luca Ricolfi, Non ci sono abbastanza liberali – LASTAMPA.it
Mai dire mai. Chi lo sa, potrebbe anche succedere. E se succedesse sarei il primo a rallegrarmene. Parlo della nascita, in Italia, di un «partito liberale di massa». Un partito anti-assistenziale, fiducioso nel libero mercato, determinato a modernizzare il Paese. E che, nonostante la sua vocazione a cambiare l’Italia, avesse un seguito elettorale largo. Un partito, per intenderci, che non fosse la riedizione dei suoi progenitori liberali, repubblicani, radicali, i quali – anche considerati tutti assieme – non arrivarono mai al 10% dei consensi.
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facendo parte della schiera di quanti pensano che l’Italia avrebbe solo da guadagnare dalla nascita di una simile creatura politica. Sono perplesso, innanzitutto, dal lato dell’offerta politica. Non ho mai creduto, ad esempio, che da due partiti illiberali, come il Pci e la Dc, potesse nascere un partito che avesse il liberalismo nel suo Dna; o, se preferite, che da due chiese potesse nascere una non-chiesa. Per questo penso che l’Opa di Chiamparino non potrà funzionare: il corpaccione del Partito democratico è troppo intossicato dal passato ideologico dei suoi fondatori, post-comunisti e post-democristiani, per reggere l’urto laico del sindaco di Torino (dove per me laicità non significa anticlericalismo, bensì libertà mentale). Allo stesso modo non penso che un partito di ispirazione genuinamente liberale possa nascere dagli eredi centristi della Dc, o dagli eredi post-fascisti dell’Msi. Non perché gli esponenti di questi partiti non lo vogliano, ma perché a frapporsi al progetto sono la loro storia, il loro insediamento prevalente nelle regioni assistite, la rete delle loro clientele nel Centro-Sud.
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La mia impressione è che, in questi giorni, si stia consumando un grande equivoco: chi sogna una destra europea, rispettosa delle istituzioni, aperta al dissenso, conservatrice ma non populista, tende a vedere il nuovo partito di Fini come la possibile incarnazione di una tale destra, ma al tempo stesso vuol credere che una tale destra – che io definirei semplicemente normale – sia destinata a evolvere in partito liberale di massa, come se l’essenza del liberalismo fosse solo lo «Stato di diritto» e non anche la difesa della concorrenza e la lotta senza quartiere al parassitismo economico. Detto altrimenti: è possibile che Fini dia vita (finalmente) a una destra classica, diversissima da quella di Berlusconi, ma questo non implica né che tale destra sia destinata ad assumere tratti liberali, né che sia capace di diventare di massa.
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finché esistono un polo di destra e un polo di sinistra, lo spazio di un eventuale Terzo polo non può andare molto al di là del 20%, di cui solo la metà (circa il 10%) occupato da una eventuale formazione liberal-democratica. Lo dicono i sondaggi di questi mesi,
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Piaccia o no, in Italia i partiti di massa tendono a essere illiberali, e i partiti di ispirazione liberale tendono a non essere di massa. Ma soprattutto il problema è che i diversi ingredienti del liberalismo si trovano per così dire sparpagliati nel sistema politico, anziché riuniti in un unico partito. Se parliamo di immigrazione, di carceri, di diritti individuali, i più liberali sono i radicali, i seguaci di Vendola e i comunisti. Se parliamo di Stato di diritto, di separazione dei poteri, di senso delle istituzioni, i più liberali sono il Pd e il nascente partito di Fini. Se parliamo di politica economica, i più liberali (o i meno illiberali) sono i leghisti e i riformisti «coraggiosi» del Pd e del Pdl, da Ichino a Brunetta.
Insomma, la mia impressione è che lo spazio per un partito liberale di massa non ci sia.
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La domanda politica per un partito liberaldemocratico in Italia non manca, specie nel Centro-Nord. E sono convinto che esso farebbe bene al sistema politico italiano, che di iniezioni di liberalismo ha un disperato bisogno. Dunque qualcuno lo faccia, questo benedetto partito. Quello di cui non sono convinto è che a riuscire nell’impresa possano essere le forze politiche che attualmente si proclamano liberali, e tanto meno che il suo seguito possa essere di massa.
Realisticamente, oggi in Italia lo spazio elettorale di una formazione compiutamente liberaldemocratica è quello di un partito medio, del 10-15%.
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Le due destre della politica italiana: Gianfranco Fini, Relazione di Mirabello, 5 settembre 2010
Nella teoria delle agende politiche sono di rilievo le date periodizzanti.
E’ probabile che la data del 5 settembre 2010 segni l’inizio del declino del berlusconismo, iniziato nel 1994.
Se così sarà, il dato politico è che non è stata la Sinistra (che per due volte – 1998 e 2006 – ha fatto fallire la prospettiva di Romano Prodi) a far concludere questi anni tristissimi, ma una variante della Destra.
I riferimenti al federalismo, alle politiche economiche, alla questione govanile, alla sicurezza, al welfare delle famiglie….. si connettono fortemente ai contenuti di questo blog di ricerca.
Qui sotto l’audio di questo (forse) storico inizio:
Le due destre della politica italiana: Gianfranco Fini, Relazione di Mirabello, 5 settembre 2010.
Il monastero della tortura
Pubblichiamo un brano tratto da «La dacia delle torture» di Marta Dell’Asta, articolo che compare sull’ultimo numero della rivista «La Nuova Europa», edita da Russia Cristiana Edizioni ‘La Casa di Matriona’ di Seriate. Tra gli altri contributi del bimestrale: «Il cuore del dissenso nelle Lettere di Havel» di Sante Maletta, «Stalin e la carta stampata» di Aleksandr Posadskov, «L’arte è più potente della politica» di Ljudmila Saraskina, «Gli anni meravigliosi di Reiner Kunze» di Thomas Brose, «Iosif Germanovic, che celebrava nei lager» di Rostislav Kolupaev, «Margherita Karikas, prigioniera di due regimi» di Monia Lippi, «Pellegrini nel mirino» di Angelo Bonaguro.
Mao à la Française How a dictator was transformed into an emblem of 'liberation'
Editoriali & altro …: L’antifascismo dei voltagabbana
Giorgio Israel, IL FASCISMO E LA RAZZA, Il Mulino, pp. 444, € 29
I nipotini della sinistra massimalista e di Stalin non avendo più argomenti usano le armi e istigano all'omicidio: L'ultima pallottola delle BR "Ichino sei un assassino"
I nipotini della sinistra massimalista e di Stalin non avendo più argomenti intellettuali e intersoggettivi usano le armi e istigano all’omicidio Paolo Ferrario):
“Pugni e grugni degli Anni ‘70 in un’aula di tribunale. La gabbia degli imputati a maglia fitta perfin più di allora, le dita serrate verso l’alto, gli slogan: «Ichino assassino». Mentre una Corte d’Assise pronuncia una sentenza di tredici condanne – fino a oltre 14 anni di carcere – per le nuove Brigate Rosse, quaranta persone tra il pubblico alzano la mano chiusa e urlano contro il professore di Diritto del Lavoro, consulente dello Stato, che non si è riusciti ad ammazzare, come Marco Biagi e Massimo D’Antona. «Assassino». Lo gridano in aula a Milano, processo d’Appello, imputati, parenti, amici, compari. “
… “Al di là della galleria di parole di solidarietà politica doverosa e distratta al professore, resta da ascoltare l’avvocato Giuseppe Pelazza, difensore di molti imputati: «Sono sentenze di un processo che fa parte di una battaglia politica e la Corte ha dimostrato di essere dalla parte del potere e contro chi lo contesta». Dalle gabbie si fanno cori per la «guerra di classe» e la «rivoluzione». E si dà dell’assassino all’uomo del quale, in una intercettazione ambientale, Bruno Ghirardi (dieci anni e dieci mesi scanditi ieri) diceva: «Ci armiamo per ammazzare Ichino». Ichino assassino?”
da Marco Neirotti, L’ultima pallottola delle BR “Ichino sei un assassino”, La Stampa 25 giugno 2010
Franco Ferrarotti, Il 68 quarant'anni dopo
Quarant’anni dopo
Autore: Franco Ferrarotti
Prezzo: € 12,00
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Il ’68 innova. Il terrorismo uccide. Ancora oggi i graffiti graffiano. Il potere che rifiuta di esercitarsi come potere viene attaccato come oppressione. Il ’68 non è legato al terrorismo. Gli è contiguo. Ha dato luogo ad una zona grigia, al “brodo sociale” in cui il terrorismo è cresciuto.
Ma il terrorismo è la tomba del ’68. Un’analisi lucida e partecipata dal sociologo che ha conosciuto personalmente tutti i principali protagonisti. Ferrarotti “barone” che ha appoggiato ma anche sfidato i sessantottini. Ne approvava le idee ma non i metodi di espressione.
Un Ferrarotti protagonista di una stagione che ha cambiato le sorti dell’Italia.
Il libro comprende una ricerca inedita sui graffiti comparsi sulle strade di Roma e all’Università “La Sapienza” curata da Maria Immacolata Macioti, sociologa e autrice di numerosi studi sulla società contemporanea.